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Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, in occasione del 30° anniversario della Direzione Investigativa Antimafia

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Mai avevamo sentito dalla viva voce di un Presidente del consiglio in carica scandire con nettezza anche “geografica” parole come quelle di “mafia imprenditrice” o di “mafie che si insinuano nei consigli d’amministrazione, nelle aziende che conducono traffici illeciti – al Nord e nel Mezzogiorno. Gratteri è un patrimonio del Paese nella lotta alla criminalità economica che appartiene alla speranza vitale di un’azione di contrasto capace di usare “la pista dei soldi” su scala nazionale e globale. A nessuno può essere consentito di dare anche solo la sensazione che noi di questo capitale di professionalità non abbiamo bisogno o più semplicemente lo lasciamo solo. Questo capitale per noi si chiama prima di tutto Nicola Gratteri.

Venerdì otto maggio del 2020 scrivemmo che “il tempo di agire è scaduto” perché “c’è una burocrazia che ammazza il Paese e una politica disarmata che non è in grado di metterla in riga”. Avevamo scritto che in alcuni territori del Sud c’era solo la liquidità della ‘ndrangheta, che i soldi di questa finanza parallela erano arrivati prima di quelli dello Stato, ma soprattutto che la ‘ndrangheta era diventata la banca del Nord, che eravamo davanti a un fenomeno nuovo di “mafia imprenditrice” perché si erano sviluppati gli anticorpi sociali ma non quelli economici e politici. Che uno dei tanti luoghi comuni che blocca questo Paese è la storia del contagio criminale che va dal Sud al Nord. La pandemia, con il suo carico di morti civili e economici, rendeva tutto più chiaro e più urgente.

Avevamo voluto sottolineare che sui patrimoni delle mafie l’Europa è all’anno zero, che il 98% dei beni illeciti o comunque riconducibili alla criminalità sfugge ancora ad atti di confisca. A fare cadere molti alibi e tabù italiani e europei, tra cui la criminalità organizzata in Germania e in Italia, erano stati in un forum con il nostro giornale il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, il magistrato e vicepresidente di Eurojust, l’Agenzia europea che coordina la lotta contro la criminalità, Filippo Spiezia, e lo storico delle mafie Antonio Nicaso. Voglio ringraziare pubblicamente oggi per allora Gratteri, Spiezia e Nicaso per il contributo di chiarezza investigativa, di visione strategica e di lucidità operativa che offrirono ai nostri lettori su un tema cruciale per la democrazia e l’economia del nostro Paese dentro un quadro internazionale in cui i capitali mafiosi sono una componente strutturale del capitalismo globale.

Lo fecero sulla base del coraggioso lavoro di una vita nei loro rispettivi ambiti e se ne percepivano la forza e le evidenze. Sono rimasto sorpreso non perché un magistrato di valore assoluto ed esperto della materia come l’ex procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, sia stato chiamato da altri magistrati alla guida della procura nazionale antimafia e che di sicuro farà bene, ma perché lo abbiano preferito a Nicola Gratteri che è di certo il magistrato europeo più avanti di tutti nella conoscenza dei meccanismi di criminalità economica al punto da vedere pendere sulla sua testa un progetto di morte che parte dai narcotrafficanti della Colombia e dagli uomini della ‘ndrangheta.

Gratteri è un patrimonio del Paese nella lotta alla criminalità economica che appartiene alla speranza vitale di un’azione di contrasto capace di usare “la pista dei soldi” su scala nazionale e globale ed è un magistrato che non è iscritto ad alcuna corrente, la cecità o altro ancora di scelte che spettano ai magistrati non ad altri impedisce al Paese di usufruire al massimo livello di questo capitale di competenze e, di riflesso, ne accresce la vulnerabilità personale.

Le analogie con il caso Falcone non sono azzardate. Le istituzioni italiane tutte sono chiamate a una prova ineludibile di responsabilità. Che va oltre il massimo livello di sicurezza già messo in atto.

gratteri
Nicola Gratteri

Abbiamo molto apprezzato le parole di ieri di Mario Draghi a Milano. Mai avevamo sentito dalla viva voce di un Presidente del consiglio in carica scandire con nettezza anche “geografica” parole come quelle di “mafia imprenditrice” o di “mafie che si insinuano nei consigli d’amministrazione, nelle aziende che conducono traffici illeciti – al Nord e nel Mezzogiorno. Inquinano il tessuto economico, dal settore immobiliare al commercio all’ingrosso. Controllano il territorio con la violenza, soffocano la libera concorrenza. Tra gli insegnamenti di Giovanni Falcone c’è quello, essenziale, di ‘seguire la traccia dei soldi’. Dobbiamo continuare a farlo per proteggere l’economia italiana, i cittadini, le imprese. L’apertura della sede milanese della DIA cinque anni fa è una risposta a questa esigenza”.

Poi, ancora più diretto e chiaro, arrivando al cuore del problema italiano: “le cosche come quelle della ‘ndrangheta si sono diffuse nel Nord Italia – in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Veneto, in Valle d’Aosta, in Trentino Aldo Adige. Qui si è radicata la ‘mafia imprenditrice’, come ha denunciato il Questore di Milano Petronzi. Si impossessa di aziende in difficoltà, si espande in nuovi settori, ricicla denaro sporco, rende inefficaci i servizi, danneggia l’ambiente. Per questo, il contrasto alla criminalità organizzata non è solo necessario per la nostra sicurezza. È fondamentale per costruire una società più giusta. La lotta all’illegalità impone anche una miglior tutela della spesa pubblica. Dobbiamo fermare e punire chi cerca di drenare fondi pubblici a vantaggio di società mafiose. Le indagini giudiziarie e l’attività investigativa sono una parte essenziale di questo sforzo.”

In queste parole di Draghi c’è la traccia di un itinerario moderno che vuole mettere in sicurezza i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), non con le solite parole intrise di demagogia, ma piuttosto “semplificando le procedure, migliorando il sistema di contrasto alle infiltrazioni, rafforzando i controlli”. Facendo, cioè, cose effettive che vuol dire ampliare gli strumenti a disposizione dei prefetti, a partire dalla prevenzione collaborativa, senza creare nuovi ostacoli per le imprese.

Si avverte la responsabilità di difendere “la straordinaria opportunità” che il PNRR offre all’Italia di essere credibili verso i cittadini e di onorare gli impegni assunti con i partner europei dai quali dipende il bene più prezioso per il futuro dei nostri giovani. Che è fatto di cose che si toccano e di cose che fanno o non fanno di un Paese un sistema funzionante e rispettato. C’è molto poco di commemorativo nei passaggi che segnano la nuova governance del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e nell’azione concreta disboscatrice di tutte le stazioni corruttive che segnano la via crucis degli appalti italiani. Un luogo dove si incrociano pericolosamente la mala politica e la mala burocrazia accompagnate da quella mafia imprenditrice che è il punto di massima immoralità e decadenza della cosiddetta borghesia italiana ma opera indisturbata in Germania come in Olanda e in mezzo mondo.

Perché, appunto, i capitali mafiosi sono diventati una componente fondamentale del capitalismo globale e prima se ne prende atto meglio è. Anche qui Draghi ci aiuta: “Le istituzioni si rafforzano tramite la collaborazione internazionale. Questo mese, l’Italia ha siglato un nuovo protocollo che migliora il coordinamento tra Stati nella lotta alla criminalità informatica. Da un anno è operativa in 22 Stati membri la Procura europea che indaga su reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea – dai casi di frode al riciclaggio. La sua creazione è stata condivisa da questo Governo e corrisponde alla visione esposta da Falcone nell’audizione al Consiglio superiore della magistratura nel 1992. In quell’occasione auspicò la creazione di un gruppo di lavoro di magistrati in grado di garantire un coordinamento effettivo tra Stati”.

Dentro questa scelta c’è una sfida da vincere ancora più ambiziosa: “L’Italia può e deve avere un ruolo guida a livello europeo nella lotta alla criminalità organizzata. Siamo all’avanguardia nella legislazione antimafia e nella protezione dei testimoni e dei loro familiari, uno strumento fondamentale per la giustizia sin dai tempi del maxi processo. Lo ha riconosciuto il primo ministro olandese Mark Rutte in una sua recente visita a Roma, quando ha annunciato che i ministri olandesi verranno in Italia per imparare dai nostri esperti. L’esperienza accumulata in tre decenni di lotta alle mafie ci ha dotato di strumenti sofisticati, dalle applicazioni più varie. Le norme antimafia italiane possono essere un utile punto di riferimento nella discussione in corso a livello europeo sulla confisca dei beni degli oligarchi russi.”

A proposito sempre di cose che si possono fare e si fanno. Che sono le stesse cose che si sono fatte e si stanno facendo investendo sul capitale umano e sul Mezzogiorno con il Pnrr come non si è mai fatto prima. Investendo sulla sua scuola e sulle sue università e su quella cultura delle competenze e della legalità che è il seme più importante per fare crescere l’albero del riscatto sociale, economico, civile. Partendo dagli asili nido e dai sindaci riluttanti di molti, troppi Comuni del Mezzogiorno. Perché da lì, come dalle mense scolastiche e dalle palestre nelle scuole, c’è l’inizio di una storia nuova che dobbiamo costruire tutti insieme perché ricompone i rapporti sociali, si ricorda degli ultimi, isola, respinge e condanna la prepotenza organizzata della holding globale.

Avendo la piena consapevolezza che ci sono alcuni capitali di professionalità senza i quali la battaglia della legalità nemmeno si combatte. A nessuno può essere consentito di dare anche solo la sensazione che noi di questo capitale non abbiamo bisogno o più semplicemente lo lasciamo solo. Questo capitale per noi si chiama prima di tutto Nicola Gratteri.


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