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Emmanuel Macron, Mario Draghi e Olaf Scholz in visita a Irpin, in Ucraina

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Il primo segnale è che l’Europa è unita. Il secondo è che c’è una troika che guida l’Europa costituita dai capi (Scholz e Macron) delle due potenze più rilevanti che sono Germania e Francia e da un terzo (Draghi) che è un tecnico che ha qualcosa da insegnare a tutti e governa oggi il terzo Paese fondatore (l’Italia) indebolito dalla sua ventennale caduta di peso economico e politico. Altrimenti l’Italia non sarebbe stata lì con Germania e Francia, addirittura con ruolo di primo attore, a dire tutti insieme che vogliono l’Ucraina in Europa e, come Draghi ha sostenuto prima di tutti, che vogliono che acquisisca da subito lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea. Per la prima volta l’Europa sta cercando una sua nuova guida non solo in un gioco combinato ristrettissimo di potenza economica degli Stati, ma anche di peso delle persone che nel caso di Draghi è il ruolo svolto con maestria alla guida della Bce che lo accredita oggi da premier italiano come un leader istituzionale del sistema europeo. Per questo su gas, grano e mercati l’Europa alla fine presterà ascolto a Draghi così come in Italia le riforme vanno comunque avanti

L’Europa ha dato due segnali forti nella giornata di ieri con Draghi, Macron e Scholz che incontrano Zelensky a Kiev davanti agli orrori di Irpin e parlando tutti insieme il linguaggio della pace. Il primo segnale è che l’Europa è unita. Il secondo segnale è che c’è una troika che guida l’Europa costituita dai capi (Scholz e Macron) delle due potenze più rilevanti che sono Germania e Francia e da un terzo (Draghi) che è un tecnico che ha qualcosa da insegnare a tutti e governa oggi il terzo Paese fondatore (l’Italia) indebolito in tutti i campi dalla sua ventennale caduta di peso economico e politico. Come dimostra la tradizione bilaterale franco-tedesca, consolidatasi in quest’ultimo ventennio, di direzione strategica esclusiva delle grandi questioni e dei grandi appuntamenti europei con occasionali, rarissime eccezioni.

Con tutto il rispetto per Conte, che come premier non ha fatto male, se c’era ancora lui, l’Italia non sarebbe stata lì con Germania e Francia, addirittura con ruolo di primo attore, a dire tutti insieme con la Romania che vogliono l’Ucraina in Europa e, come Draghi ha sostenuto prima di tutti, che vogliono che acquisisca da subito lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea. A ribadire che il mondo è con l’Ucraina e con la “resistenza eroica” del suo popolo. Che i valori della resistenza Ucraina sono i valori della democrazia europea e sono, dunque, i valori fondanti della comunità occidentale. Che nel momento in cui la storia chiede agli uomini di Stato scelte impegnative che decidono il futuro dei loro popoli, i capi di governo italiano e, a seguire, francese e tedesco si sono schierati dalla parte giusta.

Che è quella della democrazia contro l’autocrazia. Che è quella del conflitto di civiltà che senza una presa di coscienza collettiva può portare l’Occidente al suo suicidio e consegnare le chiavi del mondo a un domino autocratico di fatto già esistente ancorché disomogeneo e diviso al suo interno. Che vuol dire dare agli ucraini le armi per difendersi e costruire la pace che non può non essere la pace che lo Stato aggredito vuole, non quella voluta dallo Stato aggressore. Perché altrimenti il conflitto di civiltà segna la sconfitta di chi ha ragione e la vittoria cupa di chi ha torto.

Tutto questo e molto altro significa la giornata di ieri che chiede alla coscienza mondiale di fare i conti senza ipocrisie con le atrocità russe sgomberando il campo da presunte resistenze tedesche e ponendo l’Europa di fronte alle sue responsabilità nel grande gioco delle materie prime energetiche e agricole che sono l’altra faccia dei carri armati russi e di cui parleremo bene dopo.

Quello che non può sfuggire agli osservatori esterni e interni purché in buona fede è che per la prima volta l’Europa sta cercando una sua nuova guida non solo in un gioco combinato ristrettissimo di potenza economica degli Stati, ma anche di peso delle persone se ti rendi conto che di quella persona hai bisogno anche se si trova alla guida di un Paese che le due potenze economiche storiche dell’Europa non ritengono, di certo sbagliando almeno potenzialmente, alla loro altezza in questo momento e che invece lo ridiventa a tutti gli effetti ripercorrendo di fatto la stagione fondatrice che vedeva insieme Monnet, Adenauer e De Gasperi. Erano tutti e tre uomini di confine, ma erano dichiaratamente e orgogliosamente uno francese, uno tedesco, uno italiano. Parliamo di settanta anni fa.

Risuccede oggi dopo un periodo così lungo, guarda caso, perché alla guida dell’esecutivo italiano c’è un tecnico accreditato dal suo ruolo europeo reale svolto con maestria assoluta per otto anni alla guida della Banca centrale europea, che era e resta il ruolo europeo più importante oggi ancora più riconoscibile con la vistosa differenza di autorevolezza e incisività che emerge giorno dopo giorno tra chi lo esercita oggi (Lagarde) e chi lo ha esercitato prima di lei (Draghi). Tutto questo, perdonateci, per cercare di spiegare perché il tecnico italiano vale politicamente tantissimo anche se tutti o quasi i politici italiani non hanno capito niente e gli sputano addosso con la consueta inelegante faciloneria. Non hanno capito che questo non è un capo-partito e, tanto meno, aspirante, ma è ed è visto e apprezzato nel mondo per le qualità di un uomo che si è accreditato come un leader istituzionale del sistema europeo.

Se fosse rimasto il direttore generale del Tesoro ed il governatore della Banca d’Italia o anche l’apprezzato presidente del Financial Stability board, Draghi non avrebbe potuto esercitare in Europa e nel grande scacchiere globale dove si gioca la partita del nuovo ordine mondiale il ruolo politico che esercita. Anche da Presidente del Consiglio italiano, purtroppo, sarebbe stato così. Sono stati il ruolo di presidente della Bce e il riconoscimento mondiale dell’azione svolta di salvatore dell’euro che legittimano questo ruolo internazionale del Draghi di oggi. Paradossalmente sono la sua credibilità personale e la debolezza strutturale italiana ricevuta in eredità che giocano entrambe a suo favore.

Perché non deve fare una politica di potenza, come devono fare tedeschi e francesi che alcuni temono e altri desiderano, ma può mettere la sua conoscenza dei meccanismi internazionali e un patrimonio di competenza che uniti a oggettiva intelligenza politica rendono la bandiera italiana una stella nel firmamento politico del nuovo corso europeo che dovrà contribuire alla definizione degli equilibri del nuovo ordine mondiale. Vedete quando la Russia sostiene che, siccome ci sono le sanzioni messe dall’Occidente, mancano pezzi di componenti e sono costretti a ridurre le forniture di gas di due terzi alla Germania e in misura minore ma significativa all’Italia, è evidente a tutti che sono penose bugie e che c’è un uso politico del gas, e a quel punto acquisisce naturalmente la forza di leadership politica europea la proposta lanciata da Mario Draghi in tempi non sospetti di fare cartello e porre un tetto europeo al prezzo del gas russo che si è scontrata con le miope resistenze tedesche e quelle pelose olandesi.

Hanno ottenuto il capolavoro che le forniture sono diminuite e la Russia incassa di più perché diminuendo i flussi i prezzi volano alle stelle, ieri si è arrivati fino a 148 euro a megawattora dagli ottanta delle ultime settimane e i venti di prima di Covid e guerra. È ovvio che, in questo contesto, al prossimo Consiglio europeo la proposta Draghi acquisisce molta più forza e tutti hanno modo di afferrarne la capacità tecnica di anticipare le cose. Quella stessa capacità tecnica che è servita per fare le uniche sanzioni che hanno fatto molto male all’economia russa e hanno riguardato il congelamento delle riserve estere della sua banca centrale. Sono tutte capacità tecniche che rivelano l’intelligenza politica di Draghi e danno peso politico all’Italia.

Come si fa a non notare, se si è in buona fede, che è stato Draghi il primo leader europeo a porre con forza il tema urgente di sminare i porti ucraini e di mettere in campo la risoluzione delle Nazioni Unite per evitare il dramma di una carestia mondiale e la fame del popolo africano? Che è stato il primo ad annunciare che formalizzerà la richiesta al rappresentante delle Nazioni Unite al prossimo G7? Perché c’è consapevolezza che il tempo stringe e non ci sono più di due settimane a disposizione per evitare che il raccolto di grano vada disperso.

Quando Draghi non commenta le scelte di politica monetaria della BCE perché ha speso otto anni della sua vita a difenderne l’indipendenza dai commenti dei politici, ma ti fa una brevissima lezione sulla differenza tra l’inflazione americana e quella europea che vuol dire tutto si percepisce il peso politico di quella competenza operativa di cui hanno vitale bisogno oggi l’Europa quanto l’Italia.

Che è quella per cui l’Italia torna alla guida di una nuova Europa che vuole tornare ad essere protagonista nel conflitto in corso e dentro la nuova globalizzazione per cui anche i tedeschi hanno fornito e forniranno armi all’Ucraina. Per cui sulla politica monetaria ci possono essere sbandamenti di leadership, ma la politica richiama tutti alla realtà che esige di combattere il rischio di frammentazione se si vuole combattere davvero il mostro inflazione. Per cui al ricatto energetico e agricolo dei russi si saprà rispondere partendo da chi ne capisce e ha tracciato la rotta mentre tutti si nascondevano. L’Europa finalmente esiste sui campi di battaglia militari e su quelli della pace e, forse, anche per questo, è ripreso il dialogo tra Usa e Cina e la telefonata di Xi Jinping a Putin si muove nella direzione della pace o del cessate il fuoco, non della guerra lunga.

Noi riteniamo che l’intelligenza politica di Draghi di cui vi abbiamo raccontato genesi e espressione possa e debba essere messa a frutto con l’esperienza del governo di unità nazionale. Ogni processo riformistico all’inizio è incompleto, ma proprio l’esperienza storica dei governi De Gasperi del Dopoguerra a cui quello di Draghi di oggi molto assomiglia ci dimostra che in politica ciò che conta è iniziare. Anche l’ultima delle riforme della giustizia della Cartabia da ieri è legge e questo significa che il cammino sulla strada del riassetto strutturale del Paese sta proseguendo. Le riforme dei Paesi seri non si fanno in un colpo solo, quelli vanno bene per i comizi o per il cabaret, ma avviando dei processi che poi vengono implementati. Questo hanno fatto le grandi democrazie occidentali ogni volta che hanno cambiato segno e passo alle loro economie.


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