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Stretta di mano tra Mario Draghi e Volodymir Zelensky

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Gli effetti delle sacrosante sanzioni economiche alla Russia legate a un conflitto di civiltà che tocca le fondamenta della democrazia occidentale, vanno riequilibrati dentro l’Europa – gas, prezzo dei titoli sovrani e materie prime agricole – e tra Europa e Stati Uniti. L’Europa segua Draghi nel fissare un tetto massimo al prezzo del gas e nel perseguire la necessaria lotta all’inflazione la politica monetaria europea ponga fine a un costo ingiustificatamente diverso tra italiani, spagnoli e greci, da una parte, tedeschi e Paesi nordici dall’altra. Non è più possibile che gli Stati Uniti continuino a tenere fuori l’Europa dai grandi deal tecnologici favorendo la Cina e non facciano arrivare il loro sostegno all’Europa in modo più sostanzioso su gas e grano. I pesi vanno riequilibrati

CI SONO tanti ma e tanti se. I negoziati dureranno a lungo. Come è normale che sia. A Kiev, però, è successo qualcosa che appartiene alla storia della nuova Europa e del nuovo ordine mondiale. Perché Draghi, Macron, Scholz con il presidente   della Romania vogliono che l’Ucraina entri in Europa, accelerano le procedure per la concessione del suo status di candidato. Perché all’Ucraina arriveranno le armi francesi, italiane e, soprattutto, quelle tedesche.

È successo che il primo attore di tutto ciò si chiama Mario Draghi che si accredita come leader istituzionale del sistema europeo. Lo fa da premier italiano e, cioè, del terzo Paese Fondatore dell’Europa, dopo Germania e Francia, ma come dimostra in modo inequivoco la coabitazione strategica almeno ventennale nella cabina di comando europea dei capi delle potenze economiche tedesca e francese, il ruolo di primo attore riconosciuto oggi a Draghi segnala che viene messo a frutto sotto la bandiera italiana il mandato di presidente della Banca centrale europea da salvatore dell’euro durato otto anni. Questi sono i fatti e sono chiari a tutti. Aiutano la storia perché i tre capi di governo erano tutti lì insieme a Kiev e, soprattutto, lì c’era la Germania che ha superato le sue titubanze e si è convinta a seguire la linea italo-francese.

Che sia successo qualcosa di rilevante è dimostrato dal fatto che Putin gioca pesante. Più taglia il gas, più aumenta il prezzo, più mette l’Europa in difficoltà. Siamo davanti a una escalation in piena regola di conflitto economico che precede e accompagna il conflitto di civiltà che si combatte sul terreno militare. Prima il congelamento delle riserve estere della banca centrale russa, la mossa ideata da Draghi che più danni in assoluto ha fatto all’economia russa. Poi gli embarghi sul carbone e sul petrolio. Quando poi Putin capisce che, pur con tutte le sue macchinosità e titubanze, l’Europa fa sul serio, allora chiude in ventiquattro ore il rubinetto ai francesi, riserva un trattamento molto speciale agli alleati storici tedeschi e sia pure a tappe fa altrettanto con l’Italia.

Noi dobbiamo essere pronti. Di sicuro il giro dell’Italia nel mondo di Draghi e del capo dell’Eni Descalzi rivelano una visione strategica più compiuta, rispetto agli altri Paesi europei, che si occupa del domani affrontando il presente. Perché non possiamo mandare le armi agli ucraini e fare finta di niente. Perché dobbiamo prepararci al razionamento ora che c’è il caldo che è di certo un disagio, ma molto meno forte delle bombe che cadono dal cielo sui palazzi e sulle teste delle persone. Dobbiamo dimostrare di non avere paura di dare una risposta dura in casa e a livello europeo. Dobbiamo dimostrare di avere capito l’importanza della sicurezza energetica e di fare le grandi trasformazioni come fecero Algeria e Russia con le crisi petrolifere degli anni Settanta.

Dobbiamo renderci conto che la settimana scorsa il prezzo del gas era ridisceso a 80 euro megawattora perché l’embargo non era più nell’aria ed è invece rivolato fino a 150 per poi ridiscendere a 120 perché c’è chi vuole lo scontro, non la pace. Dobbiamo renderci conto che su 210 miliardi di metri cubi di gas russo a oggi 150 sono comprati dall’Unione europea e questo ci rende un compratore con caratteristiche molto particolari che nessuna fanfara autocratica può eliminare. Non è vero che non c’è la forza di imporre niente a nessuno. Non è vero che l’Europa non può fare niente e avrebbe fatto bene a fare già quello che Draghi propone da tempo spalleggiato da tutti i Paesi del Sud Europa, dalla Francia e da molti altri.

Perché la forza di un tetto al prezzo massimo del gas russo da parte di un compratore costretto ora a pagare molto di più per avere molto di meno con le caratteristiche tipiche di quelle del compratore europeo non può non produrre effetti pesanti sull’economia russa e indurre a più miti consigli nei confronti dell’Europa. Perché tutto o almeno molto si gioca sul tempo.

Perché il riposizionamento in atto verso i mercati asiatici, indiani e, in genere, autocratici richiede comunque almeno un po’ di tempo e un po’ di investimenti. I soldi europei che fino ad ora sono serviti a finanziare la guerra servono alla Russia ora, ogni giorno, senza non ce la fa, può essere costretta ad accontentarsi di un prezzo fatto dal compratore europeo ancora buono ma non così ingiustificatamente abnorme. L’Europa, su questo fronte, deve mostrare più coraggio e seguire la spinta del leader istituzionale del nuovo sistema europeo che è Draghi.

Così come sta accadendo con tutte le precarietà della situazione sul fronte dello spread dove si sono recuperati i 50 punti dovuti a una comunicazione sgangherata di chi guida la politica monetaria, madame Lagarde ribattezzata madame Lagaffe, grazie all’annuncio di misure anti spread ma soprattutto alle comunicazioni di uno dei suoi membri più autorevoli qual è Panetta che ha collocato questi interventi dove devono stare e, cioè, dentro la stessa, necessaria politica monetaria di lotta all’inflazione che spinge ad alzare i tassi. Il punto è solo che questa sacrosanta lotta all’inflazione non può avere ingiustificatamente un costo diverso tra italiani, spagnoli e greci, da una parte, e tedeschi e Paesi nordici dall’altra. Perché gli effetti delle sacrosante sanzioni economiche alla Russia legate a un conflitto di civiltà che tocca le fondamenta della democrazia occidentale, vanno riequilibrate dentro l’Europa – gas, prezzo dei titoli sovrani e materie prime agricole – e tra Europa e Stati Uniti. 

Perché se le imprese americane pagano il gas cinque volte in meno delle imprese europee e la Cina allarga le sue braccia e mette dentro un po’ di Russia e di India, le cose per noi non vanno proprio bene. Non è più possibile, nella nuova situazione di guerra mondiale a pezzetti o di guerra lunga che dir si voglia, che gli Stati Uniti continuino a tenere fuori l’Europa dai grandi deal tecnologici favorendo la Cina e non facciano arrivare il loro sostegno all’Europa su gas e grano. Sembra quasi, come ripete spesso Prodi con una frase felice, che vogliano che l’Europa nuoti con loro, ma che ogni tre o quattro bracciate debba bere un po’ d’acqua.  


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