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Mario Draghi in auto verso il Quirinale

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Ha fatto benissimo a dimettersi. Perché le istituzioni si rispettano. Perché la maggioranza di unità nazionale non c’è più.  Perché è venuto meno il patto di fiducia. Perché quello che ha fatto la scialuppa sopravvissuta dei Cinque Stelle è un atto politico grave oltre che inqualificabile. Nel pieno della più grande crisi globale si gioca a fare la crisi di governo per un termovalorizzatore a Roma, mantenendo peraltro i propri ministri nell’Esecutivo. La verità è che Draghi dà un peso alle parole e, a differenza della nostra politica politicante, è conseguente. Le facce dei ministri fulminate dalle parole di Draghi raccontano il film della politica italiana della doppia morale come meglio non si potrebbe. Per loro è inconcepibile lasciare una posizione di governo in queste condizioni politiche, ma evidentemente non è così facile afferrare le ragioni di servizio dell’interesse nazionale che per chi ha fatto la storia non possono essere oggetto di compromesso. Proprio per questo, però, Mattarella ha fatto benissimo a respingere le dimissioni e noi abbiamo il dovere di dire che Mario Draghi compie un errore se accetta di rimanere dimezzato, ma non è un errore se è chiaro che sono gli altri che si “arrendono” a lui. Si tratta di sfidare i partiti a un patto d’onore e di evitare di rendersi compartecipi anche indirettamente di questo delirio. L’alternativa unica rimasta sul campo è affidarsi nelle mani di un commissario nel senso forte del termine che non vuol dire che la politica è commissariata ma piuttosto che si rende finalmente conto che la corda è stata così tanto tirata da spezzarsi. Che sono rimasti in piedi Draghi e questa fortunata esperienza di governo che devono chiudere la partita decisiva del Pnrr e affrontare le emergenze belliche e economiche.

DRAGHI ha fatto benissimo a fare quello che ha fatto. Ha fatto bene a dimettersi. Perché le istituzioni si rispettano. Perché la maggioranza di unità nazionale non c’è più. Perché è venuto meno il patto di fiducia.  Perché quello che ha fatto la scialuppa sopravvissuta dei Cinque stelle è un atto politico grave e le contraddizioni che lo accompagnano sono un’oscenità che va molto oltre la politica.  Nel pieno della più grande crisi globale bellica, economica, inflazionistica, energetica, agricola, si gioca a fare la crisi di governo per un termovalorizzatore a Roma, mantenendo peraltro i propri ministri nell’esecutivo.  Il suicido politico di Conte che diventa il Bertinotti 2 non interessa davvero a nessuno.

La verità è che Draghi dà un peso alle parole e, a differenza della nostra politica politicante, è conseguente. È difficile farlo capire al rumore mediatico che fa da sempre la grancassa di quella politica politicante. Le facce dei ministri fulminate dalle parole di Draghi raccontano il film della politica italiana della doppia morale come meglio non si potrebbe. Per loro è inconcepibile lasciare una posizione di governo in queste condizioni politiche, ma evidentemente non è così facile afferrare le ragioni di servizio dell’interesse nazionale che per chi ha fatto la storia sa bene che quelle ragioni non possono essere oggetto di compromesso.

Ha fatto benissimo il Presidente Mattarella a respingere le dimissioni di Draghi e a invitarlo a presentarsi mercoledì prossimo in Parlamento per rendere comunicazioni e, soprattutto, affinché si effettui nella sede propria la valutazione che si è determinata a seguito del pasticcio imperdonabile dei Cinque stelle che hanno ancora una volta dimostrato di giocare con le istituzioni sulla pelle degli italiani. Lo spirito sano del Parlamento che è più forte della sua anima populista ha davanti a sé giorni preziosi per prendere coscienza di quale è la vera posta in gioco.

Il problema che abbiamo davanti non è la crisi di governo, ma il rischio da sventare del default del Paese. Capiscono tutti che questo rischio non si può nemmeno correre, ma se siamo noi a decidere di fare affondare la barca in cui stiamo tutti è ovvio che nulla si può fare per evitarlo e che non ce ne è più per nessuno. Soprattutto se decidiamo di fare affondare l’unica barca che naviga veloce tra quelle europee, che è la barca italiana, nei mari tempestosi della crisi bellica energetica, degli shock inflazionistici, del conflitto di civiltà tra autocrazie e democrazia, di un nuovo ordine mondiale da costruire. Soprattutto se decidiamo di farlo qualche giorno prima di un consiglio direttivo storico della Banca centrale europea (Bce) che dovrà mettere in campo uno strumento anti frammentazione perché non sia intaccata la trasmissione della politica monetaria che, tradotto per noi, significa fare in modo che il nostro spread non si impenni.

Che cosa ci può essere di più intelligente per noi se non di decidere di fare saltare il comandante della barca che è garante dei fondamentali della nostra economia ricostituiti e che più di ogni altro dà assicurazioni ai Paesi del Nord che non si chieda aiuto per coprire rischi politici? Abbiamo in casa il leader della Nuova Europa, Mario Draghi, e vogliamo bruciarlo dietro una fiducia numerica che è la somma algebrica delle ipocrisie politiche italiane e abbiamo anche l’illusione che nessuno, al di là delle Alpi, si renda conto di ciò. La solitudine di Draghi è la solitudine di un Paese che non è in grado di compattarsi dietro un leader se non è il leader degli  sfasciacarrozze o del catastrofismo.

Come potersi unire, per carità, dietro un capo di governo che guida un Paese che chiuderà il secondo trimestre che tutti davano in recessione profonda con un altro bel più 0,6% e una crescita dell’intero primo semestre ben oltre il 3% in un range che arriva fino al 3,3%? Che è, di sicuro, la prima crescita dell’eurozona? Che costringe l’Europa a ritoccare le sue stime sull’Italia per il 2022, avendo previsto un +2,4% che si deve  correggere alzandola al 2,9%? Vogliamo tornare ad essere il Paese in cui tutte le stime interne e estere sono sempre sbagliate per eccesso perché facciamo sempre meno di quello che pensavamo di fare? Come impedire che si continuino a cavalcare l’incertezza e l’insofferenza, accrescendole in modo irresponsabile e, cioè, ignorando in mala fede che si è fatto moltissimo per ridurre la prima e si è fatto molto e ancora di più si vuole fare per sostenere chi ha meno e attenuare la riduzione del potere di acquisto delle famiglie?

Che ce ne frega se all’esterno di questa particella politica impazzita di ciò che sopravvive a sua volta frammentata dei Cinque stelle,  si cerca silenziosamente di mettere ordine, l’importante è che il rumore faccia in modo che nessuno si fidi più di questo lavoro. Che importa se la volatilità dei mercati è la conseguenza di questo ignobile pasticcio e anche l’occasione per alcuni di guadagnare legittimamente, ma soprattutto è il modo migliore per fare pagare   un  prezzo più alto proprio a coloro che a parole si vorrebbero tutelare?  Comanda la demagogia,  comanda in politica e comanda nel circuito perverso dei media del rumore a essa collegato. Il resto non conta o viene dopo, è ininfluente rispetto al mare in piena della demagogia e della catastrofe.

Lo abbiamo scritto ieri e lo ripetiamo oggi visto che non lo dice nessuno. Ma davvero possiamo pensare di essere un Paese che si può permettere di fare a meno di 30 e passa miliardi tra decreto aiuti e nuova rata del Piano nazionale di ripresa e di resilienza? Chi è così temerario da ritenere di potere sopravvivere alla crisi di credibilità verticale che si determinerebbe con la caduta del governo Draghi che azzererebbe la fiducia ritrovata degli investitori internazionali e produrrebbe un danno extra a tutti i soggetti economici italiani che stanno facendo meglio di tutti i loro concorrenti europei? Siamo un Paese che si può permettere di interrompere un miracolo economico  che sta producendo quasi 10 punti di Pil di crescita in un anno e mezzo dopo un ventennio segnato da quello zero virgola che è la sintesi algebrica di tutte quelle questioni  italiane produttive e salariali che si è costretti oggi ad affrontare? Siamo un Paese che si può permettere di prendersi qualche mese di campagna elettorale in stile argentino, che ha l’inflazione al 60%, mentre c’è un’agenda Draghi, dal cuneo fiscale al salario minimo, per non parlare ancora prima del caro energia, che obbliga ad agire ora, ieri, non dopodomani? Siamo un Paese che può smettere di lottare per fare gli investimenti produttivi nel suo Mezzogiorno con i capitali del Pnrr  e quelli degli investitori privati internazionali e nazionali  sulla logistica energetica, sull’industria del mare, sulle grandi reti di trasporto e digitale veloci, oltre che sul capitale umano, dagli istituti tecnici alle università?

Siamo, soprattutto, un Paese che nel pieno di una guerra lunga nel cuore dell’Europa e di un nuovo ordine mondiale può fare a meno della leadership internazionale di Draghi per avere un ruolo da protagonista nella partita della Ucraina che è quella del nuovo conflitto di civiltà tra autocrazia e democrazia? Siamo, soprattutto, un Paese affetto da pulsioni così violentemente suicide da decidere noi di fare a meno di chi viene considerato da tutti l’architetto politico della Nuova Europa che è quella della capacità di bilancio e di debito comuni che sono a loro volta l’ossigeno finanziario per i nostri investimenti e l’unica possibilità concreta perché  arrivi una qualche forma di recovery energetico?

Siccome, come abbiamo scritto ieri, la risposta a tutte queste domande è no, assolutamente no, allora oggi abbiamo il dovere di dire che Mario Draghi compie un errore se accetta di rimanere dimezzato, ma non è un errore se è chiaro che sono gli altri che si arrendono a lui. Si tratta di sfidare i partiti a un patto d’onore e di evitare di rendersi compartecipi anche indirettamente di questo delirio prendendo magari atto che non è possibile condurre  una mucca a suonare i violini alla Scala. Bisogna stare molto attenti ai giochetti di chi vorrebbe trascinare anche di straforo Draghi in questa danza macabra della irresponsabilità.

Si lasci a Conte – che peccato ridurre un’esperienza dignitosa da premier a una specie di Bertinotti 2 – e ai suoi  maître à penser dell’informazione che lo consigliano e indirizzano, l’onere di spiegare ai loro cittadini elettori-lettori che hanno fatto saltare il governo che ha dato  35 miliardi di aiuti in quattro mesi senza fare nuovo debito alle imprese e alle famiglie e che ha attuato tutti i target del Pnrr senza fare perdere un euro delle decine di miliardi di fondi europei, perché si permette di volere fare anche un termovalorizzatore a Roma dove, come è noto, c’è un giubileo alle porte e non c’è nessun problema di raccolta e smistamento di rifiuti.  È vero, forse, il Pd doveva uscire allo scoperto prima e rendersi conto che con i Cinque stelle ridotti a una fazione fuori dal mondo e dalla realtà non si poteva fare nemmeno un centimetro di strada insieme. È vero, c’è stata una competizione tra un pezzo di Cinque stelle e un pezzo di Lega, che significa competizione tra un pezzo di populismo contro un altro pezzo di populismo, e tutti questi populismi sono stati circondati da molti, troppi pavidi. Tutto vero, però l’Italia è una cosa troppo seria per consentire a un gruppo di matti di rompere il giocattolo.

Conte ha bruciato la sua grande carta politica di condurre i Cinque stelle nell’alveo di una forza ambientalista e progressista. Salvini deve rendersi conto che non esiste un’alternativa politica seria a questo tipo di governo per questo Paese in questo momento di fibrillazione mondiale. La politica ha fatto così tanti pasticci da doversi arrendere ad essere ancora commissariata per un po’. L’alternativa unica rimasta sul campo è affidarsi nelle mani di un commissario nel senso forte del termine che non vuol dire che la politica è commissariata ma piuttosto che si rende finalmente conto che la corda è stata così tanto tirata da spezzarsi. Che è rimasto in piedi Draghi e questa fortunata esperienza di governo che deve chiudere la partita decisiva del Pnrr e affrontare le emergenze belliche e economiche di livello globale con la dignità che l’Italia ha saputo riconquistare in questo anno e mezzo.

Tutti i partiti devono soprattutto convincersi a rivendicare i risultati del loro lavoro con Draghi perché se quest’ultimo è il commissario loro sono la squadra che ha fatto il risultato. Mattarella non è Napolitano e, per sua scelta, non prende i partiti per la collottola  e il gioco astratto costituzionale davanti alla gravità dei problemi potrebbe non tenere. Non funziona più perché non si può chiedere a Draghi di andare a sbattere la faccia per cosa. Può funzionare invece che Draghi vada avanti e si facciano le cose. Non si può chiedere né a lui né a altri di tirare a campare perché non sono più quei tempi. È una situazione delicatissima in cui si fanno i conti con un mondo di matti, ma proprio per questo il commissario, sotto l’ala protettiva di Mattarella, deve provare a fare il botto. Bisogna che la politica e, ancora prima,  la società economica, civile, l’impresa e sindacati devono capire che il mondo è percorso da un conflitto tra autarchie e democrazia e che non consente posizioni ambigue. Si devono tutti rendere conto che  il costo economico più elevato di questa guerra lunga la pagano i Paesi europei e l’Italia è tra questi.

Non scherziamo, per piacere, con l’Italia e, se abbiamo davvero a cuore chi ha meno, cominciamo con il dire che il governo europeo che ha fatto di più su questo versante è quello italiano, ma soprattutto che ha la piena consapevolezza di fare ancora di più senza fare saltare i conti e senza fare nuovo debito che pagano i nostri figli. Non possiamo consentire alla barca italiana che sta correndo più velocemente delle altre di fermarsi, perché oggi fermarsi significa ribaltarsi e affondarsi.


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