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Il ripetuto richiamo della Meloni a non fare promesse che non siamo in grado di mantenere che è l’esatto opposto del populismo da ombrellone di Salvini e degli infiniti contratti da decine e decine di miliardi che hanno segnato le numerose campagne elettorali di Berlusconi. Una presa di posizione che indica la padronanza di due certezze oggi strategiche: a) quando fai questi contratti pubblici sventoli richieste di decine e decine di miliardi che sai di non avere e la più grande idiozia possibile per un Paese indebitato come il nostro è proprio questo sventolio perché fa in modo che chi te li deve dare i soldi te ne dà ancora meno; b) che non ci sono trucchi finanziari per fare scendere il debito, che l’unica strada maestra è quella della crescita, e che soprattutto nel quarto trimestre chi ci governerà si troverà a fare i conti con un vistoso rallentamento che diventerebbe ancora più vistoso se al linguaggio realista e alle scelte pragmatiche e fattive di Draghi subentrassero il linguaggio delle parole e il campionario dei sogni che nessuno è disposto a pagare.

Siamo sorpresi della sorpresa altrui. Sono mesi che scriviamo che l’Italia è la nuova locomotiva d’Europa, che la fiducia e la credibilità di Draghi e le scelte riformiste del suo governo hanno riacceso il motore del Paese. Sono mesi che scriviamo che la Germania è attraversata da una crisi industriale strutturale legata al nuovo quadro geopolitico e fa i conti con una successione di Scholz alla Merkel che non è all’altezza.

Quello che è accaduto in Italia in questo anno e mezzo nell’edilizia come nel turismo, nella manifattura come nei servizi, nei comportamenti dei consumatori, è qualcosa di assolutamente straordinario. Siamo di fronte a un + 6,6% del prodotto interno lordo (Pil) del 2021 al quale ai deve aggiungere un tendenziale del primo semestre 2022 di + 4,6%.

Fate la somma e rendetevi conto di che cosa stiamo parlando in un Paese che da venti anni cresce dello zero virgola. La disinformazione organizzata su questo dato indiscutibile integra un “attentato” al bene comune e rischia di ipotecare il futuro dell’Italia. Hanno avuto un ruolo importante in questa opera di autodistruzione sganciata dalla realtà anche il mondo delle rappresentanze produttive e di una parte del sindacato perché hanno cavalcato temi anche sacrosanti avvolgendoli in una nube rispettivamente di irrealtà o di catastrofismo. Il calcolo elettorale della politica populista che ha costretto al disbrigo degli affari correnti il governo che ha realizzato questo miracolo è imperdonabile.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo anche se, per nostra fortuna, sta andando molto oltre il disbrigo degli affari correnti proteggendo la nostra economia. Così come per ragioni di assoluta obiettività, mentre i Cinque stelle si fanno polvere, il protagonismo miope domina tra coloro che si candidano esplicitamente a raccogliere l’eredità di Draghi, il linguaggio della consapevolezza oltre che nel Pd di Letta ti capita di coglierlo proprio in chi guida la Destra di questo Paese, Giorgia Meloni, e viene inseguita dai fantasmi della storia del passato che a lei non sono riconducibili.

Si era già visto questo senso della realtà e di intelligenza nella collocazione internazionale con lo schieramento netto a favore dell’alleanza atlantica fatto dai banchi dell’opposizione in modo molto più risoluto dei suoi compagni di viaggio del centrodestra schierati al governo. Quello che mi ha invece colpito in questi giorni è il ripetuto richiamo della Meloni a non fare promesse che non siamo in grado di mantenere che è l’esatto opposto del populismo da ombrellone di Salvini e degli infiniti contratti da decine e decine di miliardi che hanno segnato le numerose campagne elettorali di Berlusconi.

Mi colpisce positivamente questa presa di posizione perché indica la padronanza di due certezze oggi strategiche:

a) quando fai questi contratti pubblici sventoli richieste di decine e decine di miliardi che sai di non avere e la più grande idiozia possibile per un Paese indebitato come il nostro è proprio questo sventolio perché fa in modo che chi te li deve dare i soldi te ne dà ancora meno;

b) che non ci sono trucchi finanziari per fare scendere il debito, che l’unica strada maestra è quella della crescita, e che soprattutto nel quarto trimestre chi ci governerà si troverà a fare i conti con un vistoso rallentamento che diventerebbe ancora più vistoso se al linguaggio realista e alle scelte pragmatiche e fattive di Draghi subentrassero il linguaggio delle parole e il campionario dei sogni che nessuno è disposto a pagare.

Fatta questa premessa ci sentiamo di dire alla Meloni che, qualora dovesse essere chiamata alla prima responsabilità di governo, è assolutamente necessario che le chiavi di tre ministeri strategici nei rapporti con l’Europa e i mercati – Economia, Esteri e Infrastrutture – siano affidati a persone che hanno dimostrato con la loro vita quello che sanno fare e che riscuotono il consenso degli interlocutori internazionali da cui non si può prescindere.

Questo favorirebbe di molto l’attuazione del programma politico della Meloni e renderebbe finalmente il Paese agli occhi del mondo stabile nelle sue collocazioni, lo liberebbe dal fardello del rischio politico che incide sui rendimenti dei nostri titoli sovrani e, soprattutto, accrescerebbe le risorse disponibili e le capacità di fare crescita, produrre ricchezza e lavoro, riunire le due Italie. E qui veniamo al punto più politico che coincide peraltro con l’unico disegno strategico possibile di crescita competitiva dell’Italia e di rafforzamento del suo ruolo guida nella costruzione della Nuova Europa.

Bisogna prendere atto che dopo la guerra mondiale a pezzetti in atto a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, la delocalizzazione come la conoscevamo noi è morta e, infatti, il Paese che soffre di più è proprio la Germania che di quella delocalizzazione era il principale fruitore. Le catene produttive con investimenti in Polonia, Russia, area allargata dei Paesi dell’Est, Cina, sono tutte in crisi. Il modello della Germania della Merkel lasciato in eredità a Scholz e costruito sulla caduta del muro di Berlino è in crisi perché il massiccio investimento tedesco poggiava proprio sull’illusione che la guerra fredda era finita.

Poggiava sull’assunto di una competizione tra grandi potenze ormai chiusa dove la Germania puntava a stabilizzare una posizione egemonica inglobando l’area dell’est Europa e stringendo alleanze industriali e finanziarie con Putin. Senza tenere conto che laRussia è l’avversario di questo meccanismo perché non vuole essere un pezzo più o meno alla pari degli altri Paesi europei. Per almeno due motivi. Il primo perché non lo è propriamente un Paese europeo. Il secondo perché è un sistema molto multinazionale e molto proiettato verso l’Asia.

Allora, se questo è il nuovo quadro geopolitico che esige una delocalizzazione più corta, è chiaro a tutti gli osservatori internazionali che l’asse di sviluppo del nuovo mondo sarà Sud-Nord, a partire dai punti strategici della logistica dell’energia e dell’industria del Mare, e che questo pone il Mezzogiorno d’Italia alla guida del processo di ricostruzione nazionale e di costruzione della Nuova Europa. Ci sono capitali nel mondo come non mai che cercano collocazioni e destinazioni fruttifere.

A questi capitali internazionali, mobilitando le economie private dei territori e investendo come si è cominciato a fare con il governo Draghi molto seriamente sul capitale umano, bisogna dire che il nuovo Eldorado degli investimenti si chiama Mezzogiorno. Perché è dentro uno dei Paesi del G7 e, quindi, ha un sistema regolamentare avanzato, perché può contare su una rete di intelligenze delle sue università che è di primo livello, perché ha già una rete di servizi migliore dei Paesi concorrenti della globalizzazione selvaggia, ma li migliorerà ancora fortemente grazie all’attuazione del Piano nazionale di riprese e di resilienza (Pnrr) con i suoi investimenti nei traporti veloci ferroviari e digitali.

Perché ha un clima dove si vive meglio e dove le energie del futuro hanno un forte potenziale di sviluppo coniugate peraltro con una base di risorse tradizionali non pienamente sfruttate. Bisogna migliorare ancora la pubblica amministrazione del Mezzogiorno e bisogna dedicarsi a questa missione con uomini capaci, scelte meritocratiche, un modello più centralizzato e nuovi reclutamenti sul territorio che valgano per l’oggi e per il domani. Il Mezzogiorno d’Italia può diventare la nuova Florida o la nuova Silicon Valley dell’Europa. Ecco un grande progetto politico per uno schieramento conservatore saldamente radicato in Europa e capace di non deludere le aspettative del suo elettorato. Non c’è nulla di semplice in questo momento di nuovo ’29 mondiale. Non c’è nulla di semplice a maggior ragione in Italia. Però, questa è la sfida delle sfide e vincerla cambia tutto. Per l’Italia e per l’Europa.


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