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Enrico Letta

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Il problema è uno solo ed è un problema tutto interno al Pd. Un partito diretto da post democristiani, ma che deve fare i conti con post comunisti. Nel momento della verità i post comunisti non sono capaci di resistere al richiamo del massimalismo e dell’utopia che ha sempre bloccato la crescita del Paese e, di fatto, allargato le diseguaglianze. È un richiamo che ignora le ragioni della storia. Il Pd ha in casa tanti Fratoianni. Ha ragione Calenda quando sostiene che chi guida il Pd deve decidersi a dire che il massimalismo non è sinistra ma utopia. Fino a che non si riuscirà a dire questa cosa qui e a trarne le conseguenze nei comportamenti il Pd rimarrà sempre intrappolato. Letta ha il problema oggettivo di tenere insieme il suo partito, ma deve trovare il coraggio di ricordare le stagioni del fronte popolare francese e della Costituente italiana per dire alla Sinistra interna “cari amici la storia ci insegna questo e voi siete fuori dalla storia”.

Il problema è uno solo ed è un problema tutto interno al Pd. Un partito diretto da post democristiani, ma che deve fare i conti con post comunisti. Questo è il problema. Perché nel momento della verità i post comunisti non sono capaci di resistere al richiamo della foresta. È più forte di loro. È il richiamo del massimalismo e dell’utopia che ha sempre bloccato la crescita del Paese e, di fatto, allargato le diseguaglianze che dice di volere combattere. È un richiamo che ignora le ragioni della storia in modo più o meno consapevole a seconda dei casi.

Si è consentito a Fratoianni di Sinistra italiana, che ha votato 55 volte contro il governo Draghi che ha fatto il miracolo economico e ha rimesso in piedi un Paese, di attaccare la coalizione nel merito e, quindi, Calenda, con la solita protervia, nello stesso identico giorno in cui chiude un accordo elettorale con Letta contro le “destre-destre” in nome della difesa della Costituzione.

Per un leader politico del valore e del calibro di Enrico Letta che è stato il più fedele sostenitore del processo riformatore compiuto del governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, e che ha impostato la sua campagna elettorale chiedendo ai cittadini di fare pagare il conto a chi per biechi calcoli ha voltato le spalle all’interesse generale delle famiglie e delle imprese italiane, è uno smacco politico. Ci dispiace davvero molto doverlo dire perché sappiamo che la visione europeista di Letta e la consapevolezza delle cose del mondo che gli appartengono sono merce rara nella politica italiana. Stiamo parlando di un leader serio e affidabile, uno degli eredi migliori della tradizione cattolica capace di dialogare con il mondo laico più intelligente e capace di sintesi avanzate sui temi interni ed esteri.

Il punto è che, in questo delicato passaggio, emerge agli occhi del mondo che Letta non ha la forza per mettere in riga la sinistra interna del suo partito per ragioni di eccesso di realismo elettorale. Perché lui sa che una parte del partito è fatta di post comunisti che vanno convintamente in quella direzione. Purtroppo il Pd ha in casa tanti Fratoianni. È bene che il Partito democratico prenda coscienza fino in fondo che se non risolve questo problema non va da nessuna parte.

Perché Calenda è di sicuro fatto a modo suo e si poteva di certo gestire meglio. Perché avrà ora il problema delle firme e le problematicità del rapporto con Renzi ma in questo caso si ritrova certamente in una cornice di valori che sono naturalmente comuni e naturalmente attrattivi per quell’elettorato anche moderato che ha deciso di fare pagare nell’urna il conto a chi nella Destra di governo si è comportato alla pari del partito populista per eccellenza, che sono i Cinque stelle, e ha, quindi, tradito l’Italia.

Segue dalla prima
Questo è il dato politico di fondo che non può essere sottovalutato. Ha ragione Calenda quando sostiene che chi guida il Pd deve decidersi a dire una volta per tutte che il massimalismo non è sinistra ma utopia. Fino a che non si riuscirà a dire questa cosa qui e a trarne le conseguenze nei comportamenti il Pd rimarrà sempre intrappolato. Letta ha il problema oggettivo di tenere insieme il suo partito e ha paura che gli si spacchi da sotto. È condizionato dall’interno non dall’esterno.

Questo è il suo problema di oggi. Prendiamo il tema dell’ambientalismo, chi può essere contro? Il punto di ora, adesso, senza alcuna possibilità di se e ma, è quello di capire se chi è, come giusto, per l’ambientalismo è disposto o no ad accettare il gradualismo che implica di andare verso un equilibrio di tipo ambientalista moderno. Dove i rigassificatori a Piombino e ovunque si fanno perché è quello che oggi la tecnologia ci mette in mano per superare questa fase delicatissima causata dalla grande crisi energetica di origine bellica. Perché altrimenti tutto quello che siamo stati capaci di fare in termini di nuova politica estera energetica andrebbe in fumo. Siamo davanti all’eterno problema del gradualismo che i massimalisti non accetteranno mai.

Se si fosse ragionato così non avremmo avuto le stagioni storiche del fronte popolare in Francia, dove comunisti socialisti e radicali seppero stare insieme per fare un passo avanti non indietro, e della costituente italiana quando la sinistra la smise di sparare sul centro e sostenne che le cose che diceva il centro in quel momento a loro andavano bene e che ovviamente dopo le avrebbero superate. Noi sappiamo, o perlomeno intuiamo, che Letta questo ragionamento lo condivide, ma non è in grado di dire “cari amici la storia ci insegna questo e voi siete fuori dalla storia”. Questo discorso alla sinistra interna del partito va fatto, costi quel che costi.

Così come neppure può essere ignorato che è in atto una lotta furibonda di tutte le tribù interne del Pd per fare fuori il maggior numero possibile di alleati perché tolgono posti a loro e questo giochetto con Calenda non lo potevano fare. Preferiscono aiutare anche i raccomandati di Fratoianni piuttosto che dare spazio a una componente che sposta l’asse e incide sull’offerta politica della coalizione. Su Letta, forse, hanno qualche responsabilità anche molti di quei cattivi consiglieri che non capiscono niente di politica e continuano a ripetere tutti che andrà a votare il 50% degli aventi diritto. Fatto di gente già schierata e che, se va bene, ci sarà un altro 10% in più che non conta niente e che è invece quello che darà il risultato. Una fascia che, a nostro avviso, se si toccano i tasti giusti, può allargarsi ancora.

Fatto sta che tutti lottano per tenersi stretta quella quota del 50% che hanno già, ma alla mobilità dell’elettorato non ci pensa nessuno. Questa volta invece ancora più che in passato, come nel 2018, la mobilità dell’elettorato ci sarà eccome perché è successo con il governo di unità nazionale qualcosa che ha cambiato in profondità. Perché Draghi ha dimostrato che uno che sa fare il suo mestiere, i risultati li porta a casa. Che se ci metti uno bravo le cose si fanno, mentre fino ad adesso questo non era ancora successo tranne rare eccezioni. Perché alla fine anche con quelli bravi a gestire e governare come Prodi, penso alla sua seconda esperienza a Palazzo Chigi, l’azione era condizionata dalla stessa maggioranza e dalle sue divisioni. Draghi ha dimostrato di potere agire prescindendo dallepressioni meno nobili della sua maggioranza, ha messo a frutto il credito internazionale per rimuovere i vincoli interni alla crescita italiana, e i risultati si sono vistosamente visti. Quando non ha potuto più farlo, è saltato.


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