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Questo abominio permanente delle minime coerenze programmatiche e di comportamenti tiene per tutta la vita un Paese spaccato tra guelfi e ghibellini, muove le tifoserie e mette sotto scacco il futuro degli italiani. Se si continua così, arriva un momento in cui viene qualcuno da fuori e il Paese se lo mangia. Questo bipolarismo finto è la malattia con cui l’Italia deve fare i conti. Perciò esiste oggi uno spazio politico enorme per il centro, ma a patto che non sia un centro che fa altro spettacolo. A patto che si abbia davvero un sussulto di serietà che vuol dire capacità di costruire decisioni all’altezza del compito. La consapevolezza di volere rompere lo schema dei guelfi e dei ghibellini che emerge anche dall’interno degli schieramenti dei guelfi e dei ghibellini può aiutare molto. Resta una domanda: il no del Paese reale allo scempio di fare cadere il governo Draghi che decideva si indirizzerà su un voto consapevole frutto di valutazioni di non così immediata comprensione o prevarranno le solite tifoserie?

Bisogna rompere lo schema guelfi e ghibellini. Che vuol dire fare uscire l’Italia dal bipolarismo senza contenuto. Quello che dice “voglio comandare io perché sono l’unico autorizzato” e quello che gli risponde “avete comandato da troppo tempo, ora tocca a noi”. Non si può costruire un futuro politico in questo modo.

Questo abominio permanente delle minime coerenze programmatiche o tout court delle finte coerenze programmatiche e di comportamenti tiene per tutta la vita un Paese spaccato tra guelfi e ghibellini, muove le tifoserie e mette sotto scacco il futuro degli italiani. Se si continua così, se si vuole rappresentare all’infinito l’Italia come una mela spaccata a metà, arriva un momento in cui viene qualcuno da fuori e questo Paese se lo mangia. Bisogna trovare una base di unità nazionale come accade in tutte le grandi democrazie del mondo e di volta in volta la politica interpreta questa base di unità nazionale.

Di comune, però, ci deve essere qualcosa. Che resiste e si fortifica nelle diverse declinazioni in un contesto mondiale che riscrive la globalizzazione e vive la stagione dura del conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo libero. La politica di questo Paese ha bisogno di un ideale comune, se no è solo lotta di tribù. Chi lo dice che la tassa sui patrimoni per favorire i diciottenni è contro il principio di uguaglianza e frega tutti quelli che sono stati giovani prima? Nessuno a 19, 20, 21 anni ha diritto ad avere nulla, hanno la colpa di essere stati giovani prima dei diciottenni di oggi. Sono chiacchiere.

Sono immagini, non sono un progetto politico. Sono un modo del Pd per dire facciamo pagare più tasse ai ricchi salvo scoprire che i ricchi davanti al fisco non esistono. Sono un modo per fare finta di ignorare che non si tratta di punire qualcuno per prendere qualche voto in più dei poveri, ma di capire che le tasse sono parte di un disegno, questo sì, che ha bisogno di equità fiscale e che si misura con la distribuzione dei pesi. Perché serve a mantenere il sistema pubblico, a garantire l’efficienza dei servizi, a soddisfare i bisogni delle persone che hanno meno. Mi spiegate, solo per fare un esempio, che cosa significa una coalizione dove c’è Salvini che vuole la flat tax al 15%, Berlusconi al 23% e la Meloni che vale più di tutti e due messi insieme che vuole la riforma dell’Irpef con tre aliquote – per inciso la proposta della delega fiscale del governo Draghi di cui Salvini e Berlusconi erano primari azionisti politici e di cui lei era all’opposizione – e concede al massimo di parlare di una flat tax incrementale?

Al di là del dato oggettivo che il realismo della Meloni sorprende positivamente anche sui temi pensionistici – altro pezzo pregiato della propaganda salviniana che mette a rischio, questa sì, l’unica clausola seria di salvaguardia del futuro dei nostri giovani perché garantisce in prospettiva su stabilità dei conti e rientro del peso debito pubblico – è chiaro a tutti che già la situazione è difficile, ma governare partendo così è impossibile.

Avete capito qualcosa su chi si candiderà per guidare la coalizione di centrodestra in Sicilia? Mi spiegate come si fa a tenere insieme il Pd europeista della responsabilità e il Fratoianni del no all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato per non parlare del no detto 55 volte a tutto ciò che ha fatto il governo Draghi? Siamo seri, questo bipolarismo finto è la malattia con cui l’Italia deve fare i conti. Perciò esiste oggi uno spazio politico enorme per il centro, anche perché veniamo da una stagione di governo che non ha raccontato balle, ma a patto che non sia un centro che fa altro spettacolo. A patto che sia una cosa seria, che si abbia davvero un sussulto di serietà che vuol dire capacità di costruire decisioni all’altezza del compito. Serve una soluzione non a parole, ma con i fatti.

Attenzione: dentro le coalizioni contrapposte qualcosa già si muove e anche da qui va colto tutto ciò che si può cogliere in termini di omogeneità di contenuti per le coalizioni stesse, la loro identità, e per quello che c’è da fare insieme come la complessità dei problemi pretende. Si avverte l’esigenza di rompere lo schema che abbiamo fondamentalmente ereditato dalla nostra storia e che Berlusconi ha fatto rivivere dicendo “fermiamo il comunismo”. Questo Paese ha funzionato quando non era bipolare. La prima Repubblica non è stata bipolare, era un sistema di bipolarismo polarizzato (dixit Sartori) perché c’erano molti partiti che si polarizzavano naturalmente in una situazione variamente bipolare che rifletteva però il bipolarismo della nostra prima Repubblica, di qualcosa cioè che apparteneva alla nostra storia.

Non all’illusione ideologica di importare i sistemi anglosassoni, come sono quelli americani e inglese, anzi meglio, come li vogliamo interpretare noi con un partito di destra e un partito di sinistra che si contrappongono, ma che restano in realtà comunque molto plurali al loro interno e si basano su un reciproco riconoscimento internazionale. Smettiamola di giocare con la storia degli altri e costruiamo la nostra nuova storia all’altezza della nostra storia passata migliore. Non possiamo più permetterci il lusso di avere un governo di coalizione che ci mette due mesi che non abbiamo per fare la finanziaria più difficile degli ultimi dieci anni, mentre il mondo ci impallina sotto i colpi del solito rischio politico italiano e dei soliti cliché che ci fanno molto male, spesso ingiustamente.

Mi resta una domanda: il Paese ha capito o no qual è la vera posta in gioco? C’è nel Paese un rifiuto profondo di questo finto bipolarismo o alla fine rivinceranno le solite tifoserie? Il no del Paese reale allo scempio di fare cadere il governo Draghi si indirizzerà o no su un voto consapevole frutto di valutazioni di non così immediata comprensione? Se il no si risolve come in quello del voto ai Cinque stelle del 2018 siamo fritti perché non usciamo dal teatrino delle vergogne, anzi lo rivitalizziamo.

Quello che serve davvero è la consapevolezza di volere rompere lo schema dei guelfi e dei ghibellini anche dall’interno degli schieramenti dei guelfi e dei ghibellini dove le persone più avvedute hanno capito che per questa strada delle finte coalizioni non si va da nessuna parte anche se non hanno ancora la forza di imporsi. Non possiamo tornare, da una parte, con i giochetti per sbarazzarsi di Salvini e, dall’altro, con un’alleanza che va da Cottarelli a Fratoianni. Non si può pensare di rifare i giochi di sempre sotto la calura agostana, perché questa volta i giochi li fai sulle macerie. Serve un’altra dirigenza politica perché non si può più vivere di chiacchiere. Quel tempo è finito.


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