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Mario Draghi

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Dopo il governo del boom di Draghi avremo il governo della recessione chiunque sia chiamato a guidarlo indipendentemente dalle sue responsabilità. I partiti ne prendano atto e si attrezzino. Perché la realtà è che gli scostamenti di bilancio italiani non sono più “coperti” dagli acquisti pandemici della Bce o dagli eurobond della Commissione europea. Siamo tornati a Francoforte e a Bruxelles all’Europa degli interessi divergenti come dimostrano più che il rialzo dei tassi l’assenza di comunicazione strategica della Lagarde e la frenata tedesca sul tetto al prezzo massimo del gas. Non esiste oggi un caso Italia sui mercati perché non c’è una divaricazione tra noi e il Bund nel rialzo dei tassi anche se già paghiamo di più per collocare i nostri titoli. Esiste oggi invece un caso Italia che è quello di una classe politica in campagna elettorale che non prende coscienza della gravità dei problemi nazionali e internazionali e può bruciare il capitale di reputazione garantito dal governo Draghi. Dal linguaggio alle scelte, vocabolario e contenuti dei partiti in campagna elettorale vanno rovesciati.

Cari partiti, stracciate i finti programmi con cui ci avete ammorbato fin qua e cercate di capire che è cambiato tutto. Smettetela di vivere su Marte perché le prossime due settimane sono quelle cruciali e ricordatevi che il voto si decide anche l’ultimo giorno o addirittura all’ultima ora. Il dibattito pubblico è completamente lunare alterato sistematicamente nei suoi fondamentali dalla peggiore informazione televisiva europea che è, eccezioni a parte, quella italiana. Dopo il governo del boom di Draghi, riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo meno in casa, avremo il governo della recessione chiunque ne sia chiamato a guidarlo e indipendentemente dalle sue responsabilità.

Il commissario dell’Economia dell’Unione europea, Paolo Gentiloni, nella conferenza stampa al termine dell’Eurogruppo di ieri, ha avuto parole di estrema chiarezza: “Una recessione non è inevitabile, ma, va detto con onestà, il rischio di una recessione è evidentemente aumentato”. Non commettete l’errore di leggere in chiave di politica interna le dichiarazioni di Gentiloni che sono molto edulcorate rispetto alla realtà oggettiva, pensando magari alla sua collocazione politica e al suo passato di premier espressione di quel Pd che i sondaggi danno oggi indietro.

La realtà per l’Italia è che gli scostamenti di bilancio non sono più “coperti” dagli acquisti pandemici della Banca centrale europea o dagli eurobond della Commissione europea. Siamo tornati a Francoforte e a Bruxelles all’Europa degli interessi divergenti come dimostrano più che il rialzo dei tassi la preoccupante assenza di comunicazione strategica della Lagarde e la frenata tedesca sul tetto al prezzo massimo del gas che è invece urgentissimo. Non esiste oggi un caso Italia sui mercati perché non c’è una divaricazione tra noi e il Bund nel rialzo dei tassi, ma è un dato di fatto che i 7 miliardi di BOT a un anno sono stati collocati sopra il 2% riportandoci ai tassi del 2012 e che il rendimento del Btp decennale si è stabilizzato in area 4%.

Esiste oggi invece un caso Italia che è quello di una classe politica in campagna elettorale che non prende coscienza della gravità dei problemi nazionali e internazionali e che senza un brusco rientro nel mondo della realtà rischia di bruciare il capitale di reputazione garantito dal governo Draghi, sopravvissuto alla più vile e irresponsabile crisi di fiducia a cui è stato costretto. Lasciare al governo Draghi con pieni poteri la gestione delle gatte da pelare fino a marzo rispondeva all’interesse generale del Paese e della politica italiana e già ne stiamo pagando il conto in casa con il rallentamento sui decreti aiuti e fuori casa con il ritorno dell’Europa franco-tedesca di sempre.

Bisogna, purtroppo, prendere atto che madame Lagarde continua ad essere inadeguata al ruolo di presidente della Bce ogni volta che interviene. Soprattutto lo è nel comunicare le sue scelte. Perché non si percepisce come sarebbe giusto percepire che una cosa è l’inflazione europea dovuta al caro energia di origine bellica e un’altra cosa è l’inflazione americana prodotta dalla domanda da loro massicciamente finanziata come è negli Stati Uniti. La politica monetaria con il rialzo dei tassi è molto efficace quando l’inflazione è prodotta dalla domanda come negli Stati Uniti, meno efficace in Europa dove siamo in presenza di un’inflazione da offerta perché sono i prezzi dell’energia e delle materie prime a determinare tutto o quasi.

Allora, ecco che, a questo punto, diventa davvero cruciale accompagnare la decisione storica di un rialzo dello 0,75% dei tassi almeno con l’indicazione di un tasso obiettivo e l’esplicitazione di una rotta di comunicazione strategica. Viceversa la percezione è che la Lagarde e la Bce procedano al buio con madame completamente suddita della battaglia tra falchi e colombe e, quindi, dei falchi. Vedete, il suo predecessore Draghi aveva una decisione di strategia solida e non la mollava andando avanti con voti a colpi di maggioranza, purtroppo lei non avendola cerca il compromesso quotidiano che poi arriva puntualmente in una sintesi opportunistica tra linea aggressiva anti inflazione e riacquisti sotto traccia a minore intensità dei nostri titoli pubblici reinvestendo le scadenze dei Bund.

Insomma: si va avanti alla giornata, e si decide mese per mese. Morale: mancano sincronicamente all’appello Bce e Commissione europea che nel 2020 e nel 2021 hanno pagato tutti gli scostamenti di bilancio italiani, la prima con gli acquisti pandemici, la seconda con il Recovery europeo. Sono entrambe oggi il nostro problema perché la Bce alza i tassi e compra sempre meno senza una vera strategia di fondo, l’Europa rinvia le decisioni forti sull’energia perché quella concordanza di interessi che ha creato l’illusione del Covid si è già rotta da tempo e la Commissione è paralizzata dalla divisione di interessi.

Siamo davanti a un’Europa che sposta in avanti le decisioni sul gas perché gli interessi austriaci, olandesi, norvegesi, tedeschi sono contrastanti con i nostri. Questi contrasti che determinano l’assenza di una soluzione diventano un problema e una ingiunzione di recessione che alla fin fine l’America e i Paesi forti dell’Europa ritengono l’unica cura possibile per fare scendere l’inflazione. In mezzo ci siamo noi che paghiamo un conto più caro degli altri e che se continuiamo a vendere sogni e, soprattutto, se tireremo fuori proposte stravaganti come accadde ai tempi del Conte 1, allora pagheremo un conto ancora più salato. Dal linguaggio agli approcci, per non parlare delle riforme di sistema e del sostegno produttivo non assistenziale, il vocabolario della campagna elettorale di queste ultime due settimane andrebbe rovesciato. Dopo il voto, poi, chi capisce bene, se no resti fuori. Perché con la recessione non si scherza. Per noi sarebbe la terza in un arco di tempo tutto sommato ristretto. Non ci rialziamo più.


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