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Giorgia Meloni

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È assolutamente necessario che le classi dirigenti della società civile si facciano sentire rispetto alle classi politiche in campo. Devono parlare con tutti, il governo e le tante deboli opposizioni, e devono fare capire che le nostre esigenze non sono quelle dei giochini pre e post campagna elettorale. Ci riferiamo a ceti produttivi e ceti dirigenti, pensiamo alle aziende e alle loro rappresentanze, alla classe operaia e alle sue rappresentanze. Pensiamo alle università e ai ricercatori. Al capitale umano che parte dai banchi di scuola e arriva ai primati dell’intelligenza artificiale con il suo carico pesante di squilibri territoriali da colmare. Se non scatta questo meccanismo di insieme che è il meccanismo delle comunità che vincono nel mondo si può guadagnare qualcosa, ma non si produce il futuro

Francamente non sappiamo che cosa sia sopravvissuto alle macerie di un ventennio di crescita dello zero virgola e di una stagione di poco più di un anno e mezzo di governo di unità nazionale che ha ridato dignità all’Italia nel mondo e ha rimesso il treno della sua economia sui binari di un processo riformatore compiuto. Non lo sappiamo perché il voto degli italiani mostra piccoli segnali interessanti di cambiamento, punisce una parte dei capi partito che hanno in modo miope fatto cadere anticipatamente il governo Draghi in una fase internazionale delicatissima dove poteva dare il meglio per il nostro Paese e per l’Europa, ma non sembra avere inciso sulla ribalta della scena politica imponendo quel cambiamento di linguaggio e di contenuti che sono necessari per incidere sulla coscienza nazionale e affrontare passaggi così delicati.

Chi mostra almeno da quello che appare maggiore consapevolezza della gravità del momento e della difficoltà delle scelte da prendere è proprio la premier in pectore, Giorgia Meloni, anche se intorno a lei tra i suoi alleati quasi nulla è cambiato. Quello che a noi piacerebbe molto, diciamo che lo riteniamo assolutamente necessario, è che le classi dirigenti della società civile si facciano sentire rispetto alle classi politiche in campo.

Devono parlare con tutti, il governo e le tante deboli opposizioni, e devono fare capire a tutti che le nostre esigenze non sono quelle dei giochini pre e post campagna elettorale. È anche un modo di testare se esistono in Italia i cosiddetti poteri forti, che a nostro avviso non sono quelli che esprimono interessi lobbistici ma cultura dirigente di comunità e che, purtroppo sempre a nostro avviso, sono invece debolissimi almeno rispetto a quelli delle grandi democrazie europee. Se questi poteri, che riguardano l’impresa, il sindacato, la classe operaia, il mondo delle professioni, la società e la cultura, riuscissero almeno a spiegare alla politica di non fare tutte le fesserie che sono state fatte negli ultimi due decenni sarebbe già un grande passo in avanti.

Abbiamo nel Veneto multinazionali private che il mondo intero ci invidia ma questo sistema di imprese non ha impedito la deriva assistenziale leghista e la stessa cosa è successa per anni in Lombardia con Forza Italia. Il voto in massa del Sud al reddito di cittadinanza addirittura inquieta. Riuscire a costruire una coscienza nazionale che affronti unitariamente i macigni che ci rotolano addosso, significa affrontare una debolezza strutturale che dobbiamo colmare in tempi strettissimi.

Quando parliamo di ceti produttivi e di ceti dirigenti pensiamo alle aziende e alle loro rappresentanze, ma con la medesima dignità alla classe operaia e alle sue rappresentanze. Pensiamo alle università e ai ricercatori.

Al capitale umano che parte dai banchi di scuola e arriva ai primati dell’intelligenza artificiale con il suo carico pesante di squilibri territoriali da colmare. Se non scatta questo meccanismo di insieme che è il meccanismo delle comunità che vincono nel mondo si può guadagnare qualcosa, ma non si produce il futuro. Chiedere e ottenere ascolto per i ceti produttivi non significa presentarsi tutti con le proprie richieste corporative per strappare qualche caramella in più. In questo modo si arriva al reddito di cittadinanza delle imprese che significa sussidiatemi tutto con il bilancio pubblico che non c’è e che non può esistere se non facendo debito che non potremo pagare. Mentre il circolo virtuoso da percorrere è proprio quello che va all’incontrario.

È il circolo virtuoso che rimuove con le riforme i vincoli interni e consente di produrre surplus, che riduce le diseguaglianze riunendo Nord e Sud del Paese, che permette di alimentare il bilancio pubblico. Bisogna che quelli che sono competenti non facciano un uso strumentale della loro competenza. Bisogna che maturi questo discorso vero di senso di appartenenza a una comunità. Che significa essenzialmente una cosa e, cioè, che salvare la comunità vuol dire salvare sé stessi e allontanare per qualche tempo la propria decadenza.


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