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Giorgia Meloni e, sullo sfondo, Mario Draghi

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La sfida più importante che la coalizione di destra chiamata a governare questo Paese dovrà vincere è quella di portare avanti il processo riformatore compiuto avviato da Draghi, preservare la reputazione acquisita, e conseguire in Europa quel nuovo debito comune che la crisi energetica oggi impone. In questo passaggio stretto c’è la salvezza o la rovina del Paese. Perché il rischio ai massimi oggi della crisi finanziaria e gli shock energetici e sociali già in atto impongono una risposta di governo all’altezza come fu negli anni Settanta con l’incubo della congiuntura. Una risposta che attraversa le istituzioni con nomine all’altezza dell’equilibrio necessario e il profilo interno e internazionale del nuovo esecutivo politico, voluto dagli italiani. La scelta di Giorgetti all’economia esprime un segnale di continuità con l’azione del governo Draghi che ha avuto elogi espliciti da Europa e mercati e favorito per l’Italia la conquista del podio della crescita europea

La sfida più importante che la coalizione di destra chiamata a governare questo Paese dovrà vincere è quella di trasformare la stabilità obbligata di governo in stabilità di convinzione. Può sembrare una banalità, ma in questo passaggio stretto c’è la salvezza o la rovina del Paese. Perché il girone infernale che dovrà attraversare sotto i colpi concentrici di una situazione di alti tassi senza precedenti e di un morso  inflazionistico di origine bellica che chiude le economie dei Paesi e alza ai massimi il rischio di crisi finanziaria, impone a tutti e in modo particolare all’Italia una stabilità di convinzione che porta avanti il processo riformatore compiuto avviato da Draghi, preserva la reputazione acquisita, e consegue in Europa quel nuovo debito comune che la crisi energetica oggi impone.

Si cammina sul bordo strada di una lastra ghiacciata a causa di un quadro geopolitico che ridisegnerà l’ordine mondiale.  C’è in gioco un’Italia che ha fatto per tre anni consecutivi meglio della Germania e ha conquistato il podio della crescita europea e rischia oggi uno scivolone fatale che rompe le ossa e annulla tutto quello di buono fatto fino a oggi. Questa, non altre, è la sfida vera che la Meloni deve vincere e che il Paese tutto non si può permettere di perdere. Che attraversa le istituzioni e il profilo interno e internazionale del nuovo esecutivo politico, voluto dagli italiani.

La presidenza della Camera e del Senato sono  due punti di equilibrio e di rappresentanza generale. Un tema che non si è posto nessuno se non in prima battuta la stessa Meloni che francamente sta mostrando una consapevolezza della situazione che a volte sfugge ai suoi partner della coalizione e a parti rilevanti della opposizione. In questi ruoli si sono cercate sempre, a volte con successo a volte no, figure adatte che esprimono inevitabilmente una caratterizzazione politica ma che non appaiono di parte proprio per garantire quell’equilibrio istituzionale che può essere decisivo in momenti delicati. Questo è assolutamente vero in generale, ma lo è ancora di più oggi per la vita di un governo politico a cui la sovranità popolare ha dato la maggioranza in entrambe le Camere. Alla vigilia, peraltro, di una stagione che si preannuncia costituente su temi fondanti che possono incidere sull’unità del Paese come sono il presidenzialismo e l’autonomia differenziata.

Avremo due presidenze fortemente caratterizzate politicamente e confidiamo sull’esperienza di lungo corso di Ignazio La Russa perché dallo scranno della seconda carica dello stato svolga quella funzione equilibratrice di rappresentanza delle istituzioni che aiuti la formazione in Parlamento di una consapevolezza che aiuti a garantire al Paese una stabilità di convinzione non obbligata.

Citiamo lui e non il presidente in pectore della Camera, il leghista Riccardo Molinari, perché l’esperienza accumulata anche in incarichi istituzionali lo legittima a svolgere con severità questo ruolo fondamentale. Nei confronti della coalizione di governo ma anche nei confronti delle forze di opposizione divise tra di loro e almeno in un caso anche molto frazionate al loro interno. Che, forse, proprio per questo sarebbe stato opportuno coinvolgere a livello di presidenza di uno dei due rami del Parlamento.

Se si pensa ancora che si può  ribaltare tutto, non abbiamo capito che non c’è lo spazio per fare questo ribaltone. L’interesse del Paese non lo consente. Perché le tensioni belliche, inflazionistiche, energetiche, monetarie e quanto tutto ciò incide sui traffici globali, esigono una risposta ora non domani. Anche errori puramente dichiarativi possono pregiudicare il futuro dell’Italia. C’è un precedente storico che si riferisce a mondi completamente diversi che può comunque essere utile ricordare.

Negli anni Settanta la congiuntura è stata un incubo della classe politica e di governo dell’epoca perché dal ’64/65 in poi si era raffreddata la grande espansione post bellica e ci fu la famosa presa di posizione del duo Carli-Colombo che mise in crisi il primo centrosinistra perché, di fatto, intimò di non fare più riforme e politica espansiva in quanto sarebbe stato tropo rischioso e avrebbe messo in crisi la stabilizzazione. Oggi la situazione della nuova congiuntura che questo giornale prova a raccontare quotidianamente in splendida solitudine esprime una situazione anche finanziaria molto peggiorata a livello internazionale e nazionale. Questo punto fondamentale viene ignorato o non sottolineato mai abbastanza.

Allora, negli anni Settanta, si teorizzò una stabilizzazione per non fare le riforme e chiudere lì la lunga fase espansiva del miracolo economico italiano, oggi è necessario l’esatto contrario dato che bisogna stabilizzare per potere fare le riforme e fronteggiare la nuova congiuntura. Che impone, anzi, una stabilizzazione combinata con un contributo che viene anche da fuori del governo. Perché lo richiede la delicatezza del momento e perché uno degli effetti della stabilizzazione è rendere l’alternanza non più traumatica. Altrimenti si va avanti con lo sbaraccare sempre tutto all’infinito che è il tipico processo con cui non si conclude mai nulla. Resteremmo un Paese in cui hai voglia di dire che sono solo i cinque stelle a elargire favori a tutti, la realtà sarebbe quella di un’Italia in cui tutti, stringi stringi, hanno la stessa mentalità. Che è quella che dice: dacci oggi il nostro bonus quotidiano e facciamo assistenzialismo. No, così finisce male.


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