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Silvio Berlusconi e Matteo Salvini in Senato

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Nel Regno Unito la premier conservatrice Liz Truss non ha fatto altro che quello che proponevano Salvini e Berlusconi in campagna elettorale ed è ora costretta a nascondersi dietro le dimissioni del cancelliere dello Scacchiere e a dichiarare in pubblico la sua retromarcia totale sul taglio delle tasse. È bastato un semplice annuncio di scostamento di bilancio per creare un incendio finanziario e arrivare a un passo da trasformare i fondi pensione inglesi nei nuovi subprime della nuova crisi finanziaria globale. Figuriamoci che cosa potrebbe succedere a un Paese molto più indebitato come l’Italia. La Meloni dimostra nelle dichiarazioni e nei comportamenti di avere piena consapevolezza della delicatezza estrema della situazione. I suoi alleati, Salvini e Berlusconi, le diano una mano a cercare le persone migliori per fare le cose che si devono fare, non per piazzare le persone che risolvono i loro problemi interni di partito o altro. La Sinistra dismetta l’abito ideologico che fa male a se stessa e al Paese

Silvio Berlusconi non sa uscire di scena e questo determina conseguenze pesanti su quello che resta del suo partito e produce effetti non trascurabili sulla vita delle istituzioni. Bisogna che esca in fretta dal circuito infernale in cui si è infilato da solo con il più grave degli errori della sua lunga storia politica quando ha deciso di fare cadere Draghi nel momento in cui più serviva al Paese mentre avrebbe dovuto sostenerlo e rivendicarne i risultati per dare credito e forza al polo moderato del centrodestra. Ha ragionato con i sondaggi e ha fatto la solita campagna elettorale di promesse fuori dalla realtà della più grande crisi globale mai conosciuta con una situazione di alti tassi mondiale che può essere per l’Italia addirittura più incendiaria delle gravissime crisi energetiche e inflazionistiche determinate dal ricatto putiniano sul gas.

Questa ennesima sconfitta di Berlusconi si è tradotta giovedì nel plateale schiaffo in faccia subìto con l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato avvenuta grazie ai voti dell’opposizione che hanno sostituito quelli ritirati di Forza Italia decretandone pubblicamente l’irrilevanza. Di questa ennesima sconfitta se ne sono avvertite anche ieri le onde telluriche di assestamento con la scelta del capo della Lega Salvini di portare alla presidenza della Camera Lorenzo Fontana.

Non vogliamo cadere nelle solite derive ideologiche che appartengono al frasario decadente di un’opposizione che ha sbagliato come non mai e continua ancora a sbagliare, ma proprio avendolo ascoltato appare chiaro a tutti che la scelta di Fontana per la presidenza della Camera richiederà di costruire sul campo una figura all’altezza per statura e per immagine del ruolo istituzionale che va legittimamente a ricoprire. Ignazio La Russa sarà pure un animale politico, come dice Bersani, ma ha fatto un discorso vero istituzionale, pieno di impegni pubblici e di richiami forti alla storia del Paese che ne sanciscono un percorso di conciliazione. Quello di Fontana mi ha colpito favorevolmente per il richiamo insistito al ruolo dell’Italia come Paese Fondatore dell’Europa che indica un tracciato politico fuori da tentazioni sovraniste, ma mi è parso impregnato di richiami scivolosi all’autonomia e alla diversità dei territori con un accento giusto ma inutilmente insistito sull’orgoglio del Made in Italy che poco hanno a che vedere con il ruolo che lo attende e su come intende svolgerlo. Si deve lavorare molto per proseguire nel solco delle grandi tradizioni dei grandi presidenti della Camera e si deve evitare di dare l’immagine di un centrodestra che si avvita su se stesso.

Anche perché rappresenta l’esatto opposto del lavoro che sta svolgendo la premier in pectore, Giorgia Meloni, per dare al Paese un governo di alto profilo all’altezza delle sfide molto più che impegnative che lo attendono. Non c’è più spazio per l’avventura e per le soluzioni del populismo arrembante. Il Pd che ha sbagliato tutto in campagna elettorale e continua a demonizzare qualsiasi ipotesi di larghe intese almeno sui temi vitali contribuisce a spingere il Paese in un vicolo cieco. Non vorremmo disturbare il teatro televisivo permanente della commedia dell’arte italiana dove si parla solo di politichese dell’oltretomba o di catastrofismo depressivo, ma vorremmo ricordare a tutti che viviamo tempi in cui non sono ammessi distrazioni e errori.

Nel giro di meno di due settimane di passione con una Banca d’Inghilterra che si è svenata a comprare i titoli di Stato inglesi, la sterlina in caduta libera, i fondi pensione a un passo dal fallimento e la recessione servita in poche ore sul piatto, è saltata nel governo Tory di Liz Truss la poltrona chiave del cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, primo titolare delle Finanze e del Tesoro di origini africane nella storia britannica. Paga il conto della bufera politica e finanziaria alimentata in queste settimane dalla «mini manovra di bilancio » d’esordio d’impronta iper liberista – tagli miliardari di tasse in deficit malgrado l’inflazione, la crisi globale e l’ascesa dei tassi – da lui annunciata in Parlamento il 23 settembre. La premier conservatrice Liz Truss non ha fatto nient’altro che quello che proponevano Salvini e Berlusconi in campagna elettorale ed è ora costretta a nascondersi dietro le dimissioni del suo cancelliere dello Scacchiere e a dichiarare in pubblico la sua retromarcia totale sul taglio delle tasse.

È bastato un semplice annuncio di scostamento di bilancio per creare un incendio finanziario e arrivare a un passo da trasformare i fondi pensione inglesi nei nuovi subprime della nuova crisi finanziaria globale. Figuriamoci che cosa potrebbe succedere a un Paese molto più indebitato come l’Italia. La Meloni dimostra nelle dichiarazioni e nei comportamenti di avere piena consapevolezza della delicatezza estrema della situazione. I suoi alleati, Salvini e Berlusconi, le diano una mano a cercare le persone migliori per fare le cose che si devono fare, non per piazzare le persone che risolvono i loro problemi di partito interni o, peggio, interessi storici e nuovi che sono oggi incompatibili con il contesto generale.


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