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Il ministro leghista Roberto Calderoli

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Siamo alla volontà recidiva della incostituzionale certificazione della spesa storica, che è il bottino regalato ai ricchi a spese dei poveri, attraverso il federalismo all’italiana attuato più di dieci anni fa con le medesime modalità che vengono oggi riproposte dallo stesso Calderoli.  Non può essere questa bozza neppure la base di ragionamento sull’autonoma differenziata perché va contro i principi fondanti della Repubblica di coesione e solidarietà. Peraltro si muove in controtendenza rispetto a quella centralizzazione decisionale a livello nazionale che è necessaria perché il Paese torni a riconoscere le sue priorità, perché i diritti di tutti i cittadini siano tutelati, perché fare gli investimenti, aprire i cantieri e attuare gli impegni di spesa assunti con l’Europa non sia più mera esposizione di annunci. Il ministro Calderoli deve vergognarsi di questa nuova bozza che ricalca principi e spirito della prima da lui già arrotolata e che ha come solo obiettivo di allargare i margini di azione per consentire alle Regioni più ricche di trattenere la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale

Avevamo chiesto più di un mese fa di mettere sotto tutela istituzionale il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, perché aveva fatto circolare una bozza di disegno di legge per l’autonomia differenziata che minava le fondamenta della Costituzione della Repubblica italiana. Sanciva la violazione a vita dei diritti di cittadinanza di almeno venti milioni di persone. Riduceva il Parlamento al ruolo di passacarte per di più con un mandato a termine di trenta giorni per esprimere un parere privo di alcun valore vincolante. Di fatto quella bozza riduceva una riforma di rilievo costituzionale, che determinerebbe la frammentazione istituzionale fino alla nullità decisionale dell’intero Paese oltre a abolire ogni minimo vincolo costituzionale di coesione e solidarietà, a poco più di uno scambio di segrete intese tra lui e i suoi danti causa che sono i capi leghisti delle Regioni del Nord.

Siamo davanti all’efferatezza di concepire sul piano legislativo qualcosa che assomigli molto da vicino a veri e propri rogiti notarili tra soggetti privati fatti con i soldi pubblici che sono di tutti i cittadini italiani. L’obiettivo manifesto era solo il bottino da portare a casa con la fretta di chi concepisce un disegno politico che deve essere mantenuto all’oscuro di tutti. Questo bottino consisteva nella stabilizzazione eterna dell’indebito privilegio di cui godono le Regioni ricche nei trasferimenti pubblici pro capite per i loro cittadini nei settori vitali della sanità, della scuola, e del trasporto pubblico locale, attraverso il trucco della spesa storica inventato più di dieci anni fa proprio dallo stesso ministro in una legge sul federalismo fiscale all’italiana che è un caso unico al mondo e fa ballare ingiustificatamente ogni anno decine di miliardi da un territorio all’altro.

Un obbrobrio che non si era mai visto per la gravità del disegno arbitrario concepito e la sfacciataggine con cui si era avuto l’ardire di metterlo per iscritto addirittura in una proposta di legge. Per tutte queste oggettive ragioni avevamo chiesto di mettere con urgenza Calderoli sotto tutela istituzionale per l’abnormità di una serie di comportamenti che costituiscono nei fatti il tradimento della Repubblica italiana nell’esercizio del mandato ministeriale. Si era fatta sentire subito la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiedendo di incanalare la discussione dentro la logica e i tempi di un eventuale riassetto istituzionale con il bilanciamento dei poteri conseguenti a eventuali scelte di presidenzialismo o di semi presidenzialismo che richiedono in modo  vincolante precise e qualificate maggioranze parlamentari. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha fatto molto di più e, davanti a tutti i sindaci italiani, alla conferenza di Bergamo di fine novembre dell’anno scorso, ha detto chiaro e tondo che “Punti fermi sono la garanzia dei diritti dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”.

Questa frase, da quel giorno, è sempre sulla prima pagina del Quotidiano del Sud-l’ALTRAVOCE dell’Italia. Per noi rappresenta una bandiera identitaria. Ricordiamo a tutti che la denuncia di anni del nostro giornale ha determinato una commissione di indagine parlamentare che ha consacrato nella sede più autorevole l’operazione verità con il suo carico di sperequazioni intollerabili e che oggi nessuno può più mettere in dubbio quei numeri. Tanto meno un ministro della Repubblica.

Fatto sta che dopo interventi così netti da parte della massima carica dello Stato italiano e del Presidente del Consiglio, il ministro  Calderoli si era affrettato a definire in sostanza carta straccia quella bozza di autonomia differenziata di cui in qualche modo disconosceva la paternità. Non era così. Perché all’articolo 3 della nuova bozza dello stesso ministro è scritto che “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (di seguito, LEP) sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio”. I cosiddetti LEP sono la base ineludibile del principio di uguaglianza dei diritti civili e sociali evocati di tutti i cittadini italiani e di cui Mattarella peraltro ha di nuovo parlato con la consueta chiarezza nel messaggio di fine anno. Ora, scrivere che sono “determinati” con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri non vuol dire affatto mettere nero su bianco che sono attuati e che diventano, cioè, erogazioni effettive ai singoli cittadini che sono oggi fortemente penalizzati dal trucco della spesa storica inventata dallo stesso ministro più di dieci anni fa. Viceversa, nello stesso schema di disegno di legge all’articolo quattro comma tre punto a è scritto testualmente che “le risorse necessarie per le funzioni relative a ciascuna materia o ambito di materia sono determinate in base al criterio della spesa destinata a carattere permanente, fissa e ricorrente, a legislazione vigente, sostenuta dallo Stato nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti”. Qui, cioè, ancorché smaccatamente ingiuste, le erogazioni sono effettive.

Siamo sempre lì, siamo fermi alla recidiva volontà della incostituzionale certificazione della spesa storica, che è il bottino regalato ai ricchi a spese dei poveri con il federalismo all’italiana concepito e attuato più di dieci anni fa proprio con le medesime modalità che vengono oggi riproposte. Non può essere questa neppure la base di qualsiasi ragionamento sull’autonoma differenziata che, peraltro, a nostro avviso, va in netta controtendenza rispetto a quella centralizzazione decisionale a livello nazionale che è assolutamente indispensabile perché il Paese torni a riconoscere le sue priorità, perché i diritti di tutti i cittadini siano finalmente tutelati, perché fare gli investimenti pubblici, aprire i cantieri e attuare gli impegni di spesa assunti con l’Europa non sia più mera esposizione di annunci. Il ministro Calderoli deve vergognarsi di questa nuova bozza che ricalca principi e spirito della prima da lui già giocoforza arrotolata e che ha come solo obiettivo di allargare i margini di azione per consentire alle Regioni più ricche di trattenere la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale.

Uno scandalo assoluto che rivela un progetto politico che si muove in direzione opposta a quella coesione e a quella solidarietà invocate dal Capo dello Stato per preservare l’importante crescita italiana conseguita con il suo carico di fiducia dalla comunità economica, sociale e civile del Paese. Si fermi Calderoli o lo si metta comunque nelle condizioni di non nuocere più. Deve almeno capire che è finito il tempo delle provocazioni e che, rispetto al suo primo nefasto blitz fiscale di più di dieci anni fa, ora tutti sanno come stanno le cose e nessuno gli permetterà più di ripetere i vecchi trucchi. Il cammino che deve percorrere è a ritroso, non quello di andare avanti sulla strada sbagliata di prima. Non intravediamo più in questi suoi comportamenti neppure una briciola di quell’esperienza normativa, politica e istituzionale che pure abbiamo sempre ritenuto di riconoscergli. Con l’unità della Repubblica non può essere consentito a nessuno di scherzare. Tanto meno lo può fare un ministro in carica della stessa Repubblica. Almeno questo dovrebbe ricordarselo.


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