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Il ministro Roberto Calderoli

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Lo schema Calderoli attribuisce poteri che non esistono a due contraenti, Regioni e Governo, che non hanno la soggettività  per negoziare tra di loro senza passare prima per il Parlamento. Non si dice: il tetto per la scuola lo poneva il governo, ora lo pone la Regione, distribuiamo compiti già assegnati. No, qui si vuole dire che i programmi di istruzione li fa la Regione non più lo Stato e ciò è devoluzione alle Regioni di un potere dello Stato. Sotto questo livello costituzionale ignorato, c’è la sostanza dei diritti di cittadinanza di cui si fa strame da quando si decise di attribuire le risorse pro capite per sanità, scuola e trasporto pubblico locale in base alla spesa storica. Per cui si è arrivati a creare una voragine tra territori del Nord e del Sud, ma anche tra aree metropolitane e interne. Sono i numeri dell’operazione verità del nostro giornale, certificati dagli atti della Commissione di indagine parlamentare. Fanno paura e nessuno ne parla.

È davvero avvilente l’approssimazione con cui si discute in televisione, sui giornali e, addirittura, nel dibattito della politica italiana della cosiddetta autonomia differenziata. Dove tutto viene ridotto a una recita in politichese con figure e controfigure che alzano vessilli puramente ideologici. Senza che nessuno si permetta di farli tornare con i piedi sulla terra o almeno di formulare qualche timida osservazione tecnica. Non esistono più neppure conduttori, tranne poche lodevoli figure, che hanno conservato l’abitudine di documentarsi su ciò di cui dovranno discutere con i loro ospiti.

Si alzano rumorosamente solo vessilli che ignorano le basi fondanti della Repubblica italiana e del diritto costituzionale che le tutela. Si alzano rumorosamente vessilli che ignorano le inchieste giornalistiche del nostro giornale e perfino gli atti della commissione parlamentare di indagine che ne è conseguita che ha certificato le decine di miliardi che separano annualmente i trasferimenti pubblici pro capite per sanità, scuola e trasporto pubblico locale tra abitanti delle regioni ricche e abitanti delle regioni povere, tra aree metropolitane e aree interne del Nord come del Sud.

Si ritiene di potere fare strame dei diritti di cittadinanza di venti milioni di persone nonostante i solenni, ripetuti richiami del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Si assiste allo spettacolo quotidiano sorprendente di un ministro della Repubblica, Roberto Calderoli, di lunga navigazione parlamentare e di indubbia esperienza istituzionale che si ostina a sorvolare su tutto ciò che gli atti parlamentari della indagine conoscitiva hanno certificato  con audizioni, documenti, dichiarazioni dei ministri suoi predecessori e si continua a muovere dentro uno schema di rapporto tra Regioni e Governo che esclude il Parlamento e rende nullo ab origine il processo avviato sul piano costituzionale.

Questo tema che, a nostro avviso, è incompatibile con ragioni di solidarietà oggi obbligate dal contesto internazionale e nuoce al recupero di capacità decisionale e di efficienza del sistema Italia, non può neppure essere impostato sul piano costituzionale se tutto non viene fatto partire dal Parlamento e se non si sottopongono a un referendum popolare le sue eventuali decisioni sovrane. Lo schema Calderoli pecca di questo errore di base che è addirittura di impostazione. Perché attribuisce poteri che non esistono a due contraenti, Regioni e Governo, che non hanno la soggettività per negoziare tra di loro senza passare prima per il Parlamento.

Impostato in questo modo siamo di fronte a uno schema di legge che si pone contro la Costituzione perché si fa dipendere tutto da una legge ordinaria che consentirebbe a Regioni e Governo di fare una negoziazione per la distribuzione di poteri. Non si tratta qui di dire: prima il tetto per la scuola lo poneva il Governo, ora lo pone la Regione, distribuiamo in modo diverso compiti già assegnati. No, qui si vuole dire che i programmi di istruzione da ora in poi li fa la Regione, non più lo Stato, e questa ipotetica decisione che manda in frantumi l’unità fondante della scuola del Paese è devoluzione alle Regioni di un potere dello Stato.

Regioni che sono, peraltro, a loro volta poco più di partizioni territoriali che sono state fatte a pancia perché, ad esempio, nella Costituente si discuteva se fare o meno la regione della Lunigiana tra Liguria e Toscana e non è mai esistita una entità storica del Molise. Che invece è Regione. È stato deciso che Emilia e Romagna formassero una sola entità ma la prima e la seconda sono entità con storie diverse ed è perfino complicato ancora oggi capire se Imola è Emilia o Romagna anche se fa parte della provincia di Bologna.

Se si vogliono fare scelte così impegnative bisogna muoversi in un alveo parlamentare a maggioranze qualificate perché si parla di riassetto costituzionale e bisogna sottoporre tutto tramite referendum al voto dei cittadini. Per questo, ammesso e non concesso che si voglia ancora parlarne, l’orizzonte è quello dell’intera legislatura e si deve muovere parallelamente, direi addirittura in modo organico, con le ipotesi di riassetto presidenziale o semi presidenziale della Repubblica italiana.

Sotto questo livello altissimo e obbligato ancorché dilettantescamente ignorato da tutti o quasi, che è quello costituzionale, c’è poi quello di sostanza che riguarda i diritti di cittadinanza degli italiani di cui si fa strame almeno dall’entrata in vigore del federalismo fiscale di Calderoli del 2009 quando si decise di attribuire le risorse pro capite per sanità, scuola e trasporto pubblico locale in base alla spesa storica. Per cui con il passare del tempo si è arrivati a creare una voragine tra territori del Nord e del Sud ma anche tra territori metropolitani e interni del Nord.

Durante l’indagine conoscitiva condotta in Parlamento dalla allora presidente della Commissione Finanze, Carla Ruocco, fu audito il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. La Presidente fece riferimento ai dati di spesa pubblica territoriale emersi in sede di audizioni da parte delle istituzioni che li rilevano e disse, cito a mente, che lo squilibrio era di 60 miliardi, sì, avete capito bene, 60 miliardi. Il ministro Boccia rispose: la correggo Presidente, sono 61,2 i miliardi non 60. Vi rendete conto di che cosa stiamo parlando e perché tutti omettono la questione contabile?

Ora poiché per recuperare questo gap bisognerebbe fissare i livelli essenziali di prestazione e poiché le Regioni che ricevono di più dicono di volere alzare quelli delle Regioni che hanno meno fino all’altezza di ciò che ricevono loro e, in più, vogliono trattenersi un po’ di compartecipazione delle loro entrate fiscali sul territorio per spendere ancora di più, vi sarà chiaro che siamo su scherzi a parte o sulla recita di turno della bandierina politichese di turno della più screditata classe politica europea.

Avendo contezza reale dell’entità delle somme in gioco il governo di unità nazionale guidato da Draghi, facendo una cosa che non era mai stata fatta prima, ha fissato i livelli essenziali di prestazioni sociali (LEPS) che riguardano il welfare per gli anziani e l’infanzia trovando le risorse per colmare questa sperequazione che è meno di un decimo della sperequazione complessiva. Per la verità ha fatto anche molto di più, imponendo e attuando in sede di Piano nazionale di ripresa e di resilienza, una attribuzione di risorse superiore al 50% del totale per sanità, scuola e trasporto pubblico locale. Proprio per cominciare a colmare in modo strutturale il divario di partenza nel rispetto dei diritti di cittadinanza tra chi è ingiustificatamente avvantaggiato e chi viene arbitrariamente condannato a rimanere sempre più indietro.

Se si vuole ostinatamente continuare a parlare di autonomia differenziata si parta dall’operazione verità sul piano economico e si avvii un dibattito costituzionale serio sulla forma dello Stato. Avendo il dovere di tenere presente il mondo in cui viviamo che è percorso da due grandi crisi globali e che venti regioni sono oggettivamente troppo piccole per sopravvivere. Non hanno le classi dirigenti all’altezza per misurarsi con l’entità quotidiana dei problemi posti dalla crisi pandemica e da quella economica di origine bellica.

Non facciamo che ripetere che senza l’Europa non entriamo nella partita del nuovo ordine mondiale, figuriamoci che fine facciamo se ci presentiamo con venti staterelli. Che, peraltro, hanno venti uffici a Bruxelles che è solo un modo per buttare soldi, aumentare la confusione e rischiare di mettere l’Italia nelle condizioni di fallire l’appuntamento con la grande opportunità del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. L’esatto contrario di quello che sta perseguendo con intelligenza politica e tecnica il ministro Fitto mettendo insieme tutti i fondi europei e i poteri effettivi di governance dei processi. Anche da questo punto di vista il dibattito malato italiano sulla autonomia differenziata non aiuta.


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