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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e il presidente de Consiglio europeo Charles Michel

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I mercati e le istituzioni europee si sono convinti che la Meloni non fa passi azzardati. Il miracolo nascosto di Draghi non si è interrotto e l’Italia cresce e esporta a un ritmo doppio della Germania e crea nuovi occupati toccando quota un milione. Il cammino riformatore che prosegue e la scelta del modello Fitto di una sola governance per i fondi europei rimettono in moto gli investimenti dentro un disegno di Paese a medio termine fondato sulla coesione. Il Piano Mattei per l’Africa, l’ancoraggio militare con i francesi a favore di Kiev e il dialogo con Berlino permettono di giocare la partita del Sud hub di energia e manifattura del Mediterraneo come fonte di crescita per l’intera Europa. A patto che prima in casa si faccia l’operazione verità sui vertici di Sace, Ice e Fincantieri che dovrebbero prendere esempio da quello che sta facendo Poste.

Bisogna dirlo con chiarezza e senza timori di piaggerie. Giorgia Meloni nei suoi primi cento giorni ha superato a pieni voti i due test più complicati che riguardavano il giudizio dei mercati e dell’Europa sulla nuova Destra al governo e sulla prima donna premier della Repubblica italiana. I mercati e le istituzioni europee si sono convinti che la Meloni non farà passi azzardati. Che è pienamente consapevole dell’importanza del controllo della finanza pubblica e della delicatezza della congiuntura internazionale. Che rimane saldamente ancorata ai princìpi europei e alle alleanze storiche del Paese spingendo l’Europa verso una politica estera e di difesa comuni che pongano al centro l’asse Sud-Nord e il ruolo del nostro Mezzogiorno come grande hub dell’energia e della manifattura mediterranea a favore della crescita del Vecchio Continente.

Sono tutti dati di fatto avvenuti per nulla scontati. Giorgia Meloni ha agito in continuità con l’Italia del miracolo nascosto di Draghi concentrando la gran parte degli interventi a sostegno di famiglie e imprese addirittura con gli stessi strumenti fiscali accentuando il sostegno ai ceti più deboli e facendo solo un piccolo pasticcio di comunicazione sull’abolizione dello sconto sulle accise della benzina. Un pasticcio in parte dovuto alla necessità politica di cominciare a piantare qualche bandierina a favore di alcune presunte basi elettorali assecondate e stimolate dalle pulsioni più spinte dei suoi alleati a caccia di voti per le prossime consultazioni intermedie amministrative e europee. Soprattutto il governo Meloni ha proseguito sulla strada del processo riformatore compiuto avviato dal governo Draghi in accordo con l’Europa liberalizzando i servizi pubblici locali e semplificando il codice degli appalti.

Nessuno tra coloro che conta in Europa dubita che ratificherà con il passaggio parlamentare l’adesione al meccanismo europeo di stabilità (Mes) e che, magari con qualche mal di pancia in più, si destreggerà anche nell’angolo stretto delle gare dei balneari ai quali è stata fatta qualche promessa di troppo. Soprattutto il governo Meloni ha fatto una scelta politica qualificante perché assolutamente di competenza ed è stata quella di riunire tutte le deleghe europee sotto un unico dicastero presso la Presidenza del consiglio affidandolo in mani esperte e, cioè, di chi come Raffaele Fitto ha svolto tutte le funzioni di amministratore di Regione, di ex ministro sulle stesse materie e di relatore esperto come copresidente del gruppo dei conservatori e riformisti nel Parlamento europeo. Al punto che anche in Europa si parla ormai di modello Fitto e si ritiene che solo grazie a questa governance centralizzata, peraltro concepita dallo stesso Draghi ma non attuata in modo corrispondente alla forza dell’ideazione, la bella addormentata degli investimenti pubblici europei che è l’Italia si possa finalmente svegliare dal lungo letargo.

L’Italia di oggi è solida tanto che lo spread scende e, al di là delle volatilità quotidiane, può calare ancora di più e si continua a creare nuova occupazione, un milione di posti lavoro a tempo indeterminato in più tra 2021 e 2022. Non era scontato il miglioramento della posizione sui mercati dei titoli sovrani e la prosecuzione del miracolo economico dell’Italia di Draghi preservando la crescita che a fine anno (2022) non può fare meno del 3,9% correggendo sempre in meglio le previsioni e non è escluso che le sorprese positive non siano finite. Per capire la dimensione di quello che si è fatto e si continua a fare la Germania doveva chiudere il 2022 a +1,9% e, cioè, a meno della metà dell’Italia, ma ha dovuto correggere ancora al ribasso fermandosi all’1,8%. Anche gli ultimi dati disponibili ci confermano che continuiamo a esportare a un ritmo doppio della Germania, sì, avete capito bene, noi più 20% loro più 10%, e continuiamo a creare nuove opportunità di lavoro di qualità riducendo rischio povertà e diseguaglianze. Sono cose serie tutte avvenute e niente affatto scontate che fanno della democrazia italiana una democrazia forte impermeabile ai catastrofismi più o meno interessati dei gufi mediatici e politici.

Quello, poi, che è stato fatto in politica estera con gli accordi in Algeria e in Libia e nella scelta netta di campo con il sostegno militare all’Ucraina in armonia con l’alleato strategico francese rientra a pieno titolo nella scelta di campo operata dal governo Draghi e fa dell’Italia la porta del Mediterraneo per l’Europa come hub dell’energia e della manifattura oltre a prenotare un posto di prima fila nella squadra che detterà le regole del nuovo ordine mondiale.

Vogliamo, però, a questo punto essere un po’ brutali. Dopo avere fatto bene tutte queste cose Giorgia Meloni e il suo governo si giocheranno tutto, ma proprio tutto, sul Mezzogiorno. Che è l’unica possibilità di crescita aggiuntiva concreta per l’intera Europa oltre che per l’Italia. Diciamoci le cose come stanno. L’economia italiana sta facendo faville e la recessione è stata solo un incubo di mezza estate di catastrofisti di professione che per interessi miserevoli, anche mediatici, propagandano un racconto terrorizzante dell’economia che è puntualmente smentito dalle rilevazioni della statistica nazionale. Quello che manca è la visione di una politica che garantisca capacità realizzativa a un’economia che fa miracoli dimostrando miopia nel non capire che non riuscire a sbloccare investimenti e lavoro nel Mezzogiorno significa condannare l’intera economia italiana. Le parole di Giorgia Meloni, pronunciate con passione e lucidità in sede di presentazione del progetto di Poste (Polis) cruciale per l’unità del Paese, sull’esigenza di giudicare l’azione di governo nel medio termine e l’insistito richiamo a ricucire la frattura tra cittadini di serie A e di serie B fanno ben sperare e delimitano il campo da gioco dove questo governo più che in altri sarà giudicato. Gli osservatori internazionali si sono convinti che il problema italiano è la mancanza di lungimiranza dei suoi governi perché durano un anno o due. Serve invece un governo che duri tutta la legislatura e abbia la forza di fare capire a tutti che c’è un sacco di costi da pagare prima che i frutti arrivino, ma che questa è la strada obbligata per l’Europa e per l’Italia. L’esempio del progetto Polis di Poste in fase di realizzazione presentato ieri è emblematico di un cammino che va in questa direzione, merito di una guida a tre Farina, Del Fante, Lasco molto affiatata, e le stesse parole della premier sull’importanza di bandire l’ansia da prestazione e perseguire una strategia di medio termine sono davvero segnaletiche di un nuovo possibile corso che le opposizioni farebbero bene a non sottovalutare.

Questa, d’altro canto, è la grande sfida politica che ora deve vincere Giorgia Meloni. Quella di dimostrare al mondo che l’Italia ha finalmente una governance politica stabile e che ha deciso di entrare in profondità sui problemi sciogliendo finalmente il nodo della capacità realizzativa. Si chieda conto ai nuovi vertici della Sace (Alessandra Ricci), dell’Ice (Ferro e Luongo) e, ancora di più, della Fincantieri, Pierroberto Folgiero, sprovvisto delle competenze e della visione del suo predecessore, perché non sono in grado di fare davvero rete e mobilitare investimenti adeguati garantendo al sistema Paese condizioni di competitività e di attrattività pari a quelle dei concorrenti francesi e tedeschi sullo scacchiere decisivo del futuro che è l’asse Sud-Nord e del Mediterraneo. Si chieda conto e, in assenza di risposte convincenti e volontà collaborative, si agisca prontamente di conseguenza. C’è un problema di investimenti e di creazione di un ambiente fiscale che attragga capitali internazionali avendo coscienza che le grandi crisi finanziare, il Covid e la guerra mondiale delle materie prime determinata dalla guerra russa nel cuore dell’Europa hanno contribuito a una ulteriore caduta di efficienza della amministrazione del Sud su cui tranne la parentesi del governo Draghi si è investito nulla arrivando al punto che non è più vero che la spesa pro capite per dipendenti pubblici è superiore al Sud rispetto al Nord.

È vero l’esatto contrario e in misura molto significativa come abbiamo documentato ne “La grande balla” e da queste colonne quotidianamente. Diciamo che più di uno scandalo si è trattato di un atto di pura miopia frutto di un federalismo malato. La Meloni giochi la carta del governo di legislatura per fare tre cose tre che consentano di aggredire il grande unico squilibrio territoriale sopravvissuto in Europa che è quello del nostro Mezzogiorno e che l’Europa stessa ha ormai capito che per ragioni geografiche e geopolitiche può essere la sua sola salvezza.

Punto uno. Ricostruire la pubblica amministrazione in modo serio nei suoi ambiti meridionali.

Punto due. Mettere mano come si sta facendo al Pnrr tirando fuori le priorità e soprattutto facendo quello che si promette di fare in termini di investimenti e di incentivi fiscali.

Punto tre. Attrarre capitali esteri con una nuova governance adeguata che significa fare l’operazione verità sull’operato degli attuali vertici di ICE, Sace e Fincantieri e salire di livello nel coordinamento e nella qualità dell’azione con una cabina di regia che venda il Paese nel mondo per quello che vale. Ricordandosi che in epoche differenti a svolgere questo ruolo di regia sono stati uomini del calibro di Draghi, di grandi ambasciatori come Varricchio, di Saccomanni e altri ancora. Bisogna ripartire da donne e uomini di oggi di pari valore con il sostegno di un governo di legislatura che individui con l’opposizione anche figure chiave come quelle che riguardano i rapporti con l’Europa da preservare di comune accordo anche dopo, chiunque vinca le elezioni.

Questo significa ragionare da sistema Paese e vincere la sfida della stabilità della governance italiana.


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