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Sono state rimesse in discussione anticipazioni di liquidità su debiti pregressi anche per gli enti locali in dissesto costringendoli a ripianare in dieci anni ciò che si era concordato di restituire separatamente in trent’anni e che si sta regolarmente restituendo. Tutto di un colpo bisogna onorare debiti commerciali fatti da altri e ritenuti anche il frutto di un’emergenza nazionale strutturale che ha riguardato enti locali, asl e altre amministrazioni come se il Comune non fosse più in dissesto. Questo ulteriore vincolo va rimosso subito restituendo tutto alla liquidazione. Vale per Benevento come per Cosenza. Per Catania come per Afragola. Siamo sempre al Sud comunque. Anche per questo serve l’operazione verità sui divari e sui trasferimenti di spesa pubblica.

Per capire come è davvero differenziata la situazione in questo Paese è esemplare la storia del fondo anticipazione di liquidità, il cosiddetto Fal, che può fare saltare per aria 170 Comuni italiani di cui oltre due terzi sono nel Mezzogiorno. Per la precisione in Calabria, Campania, Sicilia. Si passa da Benevento a Cosenza.

Da Catania a Casoria e Afragola nel napoletano. Riguarda debiti accumulati da precedenti gestioni delle attuali amministrazioni comunali che gli enti locali si sono impegnati a saldare nelle modalità concordate attraverso il meccanismo di un Fondo escogitato dal ministero dell’Economia e finanze (Mef) e attuato dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) esattamente come stanno facendo. Si era deciso di tenere queste anticipazioni distinte dal debito pubblico proprio per evitare che incidessero sui coefficienti di bilancio contribuendo a fare avvitare la spirale della crisi in atto e ritardando i pagamenti stessi.

Di fatto tenendoli dentro non si sarebbe favorito l’assolvimento degli impegni contratti, ma si sarebbero piuttosto moltiplicate le difficoltà contabili per quegli stessi Comuni che hanno adottato e stanno attuando dolorosissimi piani di rientro. Quindi sarebbe stato ancora più difficile pagare la rata alla liquidazione.

Tutto bene, dunque? No, si è deciso viceversa che la rata dello speciale fondo anticipazione di liquidità (Fal) debba essere iscritta a bilancio imponendo nei conti una restrizione della spesa di pari importo. Nessuno mette in discussione questo impegno e tanto meno decide di non onorare la restituzione della rata concordata, ma il nuovo meccanismo finanziario escogitato con l’iscrizione a bilancio modifica i coefficienti complessivi, annulla le ragioni costitutive del Fal e moltiplica i casi di ulteriori crisi successive. Nessuno di questi Comuni ha messo in dubbio la restituzione della rata e onora i suoi impegni.

Perfino la Corte costituzionale è intervenuta sul tema sostenendo ovviamente i diritti dei creditori, ma stabilendo in modo chiarissimo che il legislatore deve tenere conto della sostenibilità e della composizione degli interessi in gioco. Per la verità la Consulta è andata oltre invitando esplicitamente a tenere conto delle condizioni di debolezza strutturale in cui si trovano alcuni Comuni praticamente tutti collocati nel Mezzogiorno. Quello che l’operazione verità della famigerata autonomia differenziata dovrebbe almeno aiutare a disvelare perché se lo Stato è davvero uno, ma le entrate cambiano a secondo delle attività del contesto territoriale e dei trasferimenti pubblici diseguali, è evidente che si producono questo genere di guasti.

Perché il federalismo fiscale all’italiana ha vincolato i flussi pubblici alla spesa storica dando sempre di più ai ricchi e sempre di meno ai poveri nascondendosi dietro una riforma del titolo quinto della Costituzione mai portata a termine.

Tutto ciò ha ulteriormente acuito i divari penalizzando i bilanci dei Comuni più in difficoltà. Molti dei quali sono quelli oggi in dissesto di cui stiamo parlando. La verità è che dopo una serie infinita di interventi legislativi e di legittimità costituzionale in senso opposto, i Comuni sono stati obbligati dal 2019 a considerare le anticipazioni ricevute come un disavanzo di bilancio da ripianare in dieci anni anziché nei trenta previsti di ammortamento e questo ulteriore vincolo coinvolge con il nuovo provvedimento gli enti locali in dissesto.

Tutto di un colpo bisogna onorare debiti commerciali pregressi inevasi ritenuti anche il frutto di un’emergenza nazionale che ha riguardato enti locali, asl e altre amministrazioni come se il Comune non fosse più in dissesto. Si era fatto un piano di ammortamento trentennale che consentiva una forma di pagamento diversa dalla rata del prestito e, attraverso un meccanismo finanziario che coinvolge Cassa depositi e prestiti (Cdp), tutti questi debiti da pagare si erano fatti confluire in un fondo che sterilizzava la spesa impedendo utilizzi impropri. Parallelamente si consentiva al Comune in dissesto, proprio grazie alla separatezza dei conti, di continuare ad attuare il piano di risanamento. Qualche Comune o Regione che hanno fatto i furbi non restituendo quello che dovevano restituire sono stati subito messi in mora.

Ora con la nuova normativa si è di fatto aggiunto un onere ulteriore anche per i Comuni in dissesto facendo mettere in bilancio ogni anno una certa quota di ripiano che fino a novembre 2022 era esclusa. Questo è il punto. Facciamola breve. Per Comuni in dissesto che devono ridurre le spese sotto l’essenziale e contemporaneamente aumentare al massimo le entrate l’unico modo che hanno per andare avanti è quello che si decida con urgenza di rimettere la gestione di questo pacchetto di debiti storici all’organismo di liquidazione e a un funzionario liquidatore che divide i conti separando tutto ciò che è successo prima di una certa data da quello che è avvenuto dopo fino a oggi.

Serve un emendamento al milleproroghe che diventi immediatamente esecutivo. Questo emendamento deve restituire il pacchetto di debiti al fondo in cui era stato collocato e al suo gestore individuato dall’organo di liquidazione. Se non si blocca subito questo nuovo perverso meccanismo finanziario il numero dei Comuni destinati a saltare toccherà quota 250 e poi continuerà a crescere ancora. Ovviamente a pagare saranno sempre le comunità del Mezzogiorno che sono state penalizzate certo soprattutto in passato da amministrazioni incapaci e clientelari, ma che hanno comunque sempre dovuto fare i conti con trasferimenti pubblici da amministrazioni di serie B rispetto a amministrazioni ritenute ingiustificatamente di serie A.

Quello che poi proprio non si capisce è perché a pagare il conto dovrebbero essere gli amministratori che non hanno alcuna responsabilità dei debiti pregressi e stanno mettendo a posto i bilanci. Altro mistero di un’Italia costitutivamente diseguale che ha davvero bisogno di un’operazione verità che ovviamente tutti rimetteranno in discussione


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