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Sergio Mattarella

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La scelta di competenza di riunire tutte le deleghe europee sotto un unico dicastero collocandolo a Palazzo Chigi è un passo in avanti. Perché garantisce una interlocuzione stabile tra finanziatore e finanziato e parte da un’operazione verità che interrompe il racconto italiano che scambia gli impegni con la spesa. Il Pnrr vale quanto il Piano Marshall del Dopoguerra e si attua con il modello Fitto di dire le cose come stanno, riallineare scadenze e priorità, mettere in moto una macchina centralizzata con poteri sostitutivi, onorare gli impegni riformistici assunti. Se saltano trenta giorni ma si fanno le cose sui porti e sul sistema idrico sarebbe bene evitare allarmismi che indeboliscono l’Italia al tavolo negoziale europeo. Dove si discute di regola della spesa pubblica, che può farci molto male, e di rientro sul debito in 4 o 7 anni. Dove si disputa su una politica industriale europea che consenta all’Italia di esercitare un ruolo di guida sull’asse Sud-Nord per la filiera energetica e industriale del futuro. Bisogna fare gioco di squadra e andare tutti alla stanga.

In Italia si strumentalizza sempre tutto. Ci sono quelli che vogliono dire che Giorgia Meloni è tornata a casa a mani vuote dal Consiglio europeo. C’è chi vuole invece dire che è stato un grande successo per lei e che l’Europa è cambiata. La verità è che l’Europa è quella di sempre. Non si risolve mai nulla in un vertice europeo. Si avviano piuttosto dei processi e poi bisogna vedere come vanno avanti.

Non è nei vertici che si fanno queste cose, non è su questi palcoscenici che si prendono decisioni operative. In realtà da sempre si raccolgono un po’ di buone parole, si mettono giù delle reti e poi bisogna vedere se ci sono strutture in grado di tirare queste reti e portare a casa le cose. Questo lo devono fare i politici, lo devono fare le strutture di Palazzo Chigi, della Farnesina e dell’Economia con le corrispondenti strutture europee e, quindi, c’è un problema di valore complessivo delle classi dirigenti.

Una cosa che va segnalata è che la scelta di competenza di riunire tutte le deleghe europee sotto un unico dicastero collocandolo a Palazzo Chigi e affidandolo a Raffaele Fitto, che conosce bene le istituzioni europee e i problemi operativi italiani per le responsabilità avute in passato, segna di sicuro un passo in avanti. Perché garantisce una interlocuzione stabile tra finanziatore e finanziato e permette di partire da un’operazione verità che interrompe il racconto italiano che confonde impegni con la spesa. Senza questa premessa di verità cade tutto.

Purtroppo noi rimaniamo un Paese in cui le classi dirigenti non sanno fare squadra o, per lo meno, fanno fatica a farla. Appena cambia il governo, cambia il ministro, si tende a non confermare più quasi nessuno e nessuno fa più niente. Questo processo con il governo Meloni si è giustamente attuato in misura molto inferiore al passato proprio per la consapevolezza che troppi traumi, alcuni sono obbligatori visti i risultati fallimentari, condannano inevitabilmente a una scarsa efficienza.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso come meglio non si potrebbe la solennità del momento che vive il Paese facendo un richiamo storico alla stagione del miracolo economico italiano del Dopoguerra e all’uomo che la impersonifica, Alcide De Gasperi. Il riferimento è a una polemica con i dossettiani che rivendicavano il diritto del partito, la Democrazia cristiana, di svolgere un ruolo di pungolo nei confronti del governo che esprimevano.

Anche perché De Gasperi faceva tutto a livello di strutture dell’esecutivo, era convinto che il governo di un Paese si esercita con quegli uomini e quei mezzi dentro un mandato politico chiaro che è quello ricevuto dagli elettori. Nel congresso di Venezia del ’49 De Gasperi rispose a Dossetti “la parola pungolo non mi piace perché si usa con i buoi” ma subito aggiunse “va bene, a patto che quelli che protestano scendano dal pungolo e si mettano tutti alla stanga a tirare il carro”.

De Gasperi in realtà non voleva che il partito entrasse nelle cose del governo. C’erano in questa scelta degli aspetti favorevoli perché teneva conto del fatto che il partito fosse fatto di gente che non sapeva le cose, ma anche negativi perché non si va davvero avanti nel governo di un Paese se non si riesce a contemperare il discorso teorico o se vuoi critico con le cose concrete da fare. Questo è l’eterno dilemma della politica. È ovvio che il buon governo dovrebbe avvalersi del lavoro di strutture efficienti e di contributi seri della politica. È ovvio che dovresti avere entrambe le cose. Partiti che invece di fare propaganda ragionano con alla testa leader davvero di valore.

Nella politica italiana questo è complicato anche perché le azioni concrete danno risultati che si vedono nel lungo periodo, ma la politica pensa solo all’immediato. Sul Pnrr come problema in sé, che vale quanto il Piano Marshall del Dopoguerra, bisogna evitare di dare all’estero l’immagine di un Paese che non riesce a combinare niente, ma bisogna partire dall’operazione verità di Fitto. Perché solo riallineando scadenze e priorità e mettendo in moto una macchina centralizzata con poteri sostitutivi si può provare realisticamente a centralizzare gli obiettivi. Perché non c’è allarmismo da fare se la rata arriva trenta giorni dopo ma si aggiusta la governance del sistema idrico, si mettono a gara le connessioni portuali e si evitano alcuni lavori inutili.

La verità è che solo con un’interlocuzione costante con l’Europa si possono mettere a posto i dossier più delicati e solo con questa consapevolezza che Fitto ha pienamente il governo potrà continuare a onorare gli impegni riformistici assunti. Gli allarmi a ripetizione di ogni genere di istituzione e di opposizioni che non pensano mai all’interesse nazionale indeboliscono l’Italia al tavolo negoziale europeo. Dove bisogna discutere di regola della spesa pubblica, che può farci molto male, e di rientro sul debito in quattro e sette anni. Dove bisogna vincere la battaglia di una politica industriale europea che esca dagli spazi fiscali di bilancio nazionali e consenta all’Italia di esercitare un ruolo di guida propulsiva sull’asse Sud-Nord per la filiera energetica e industriale del futuro. Che è quella del nuovo mondo e che vede il Sud al centro della strategia euromediterranea e l’Italia al centro dell’Europa federale.

Tutto si tiene, e soprattutto ci conviene, ma bisogna almeno capirlo e comportarsi di conseguenza. Bisogna fare gioco di squadra e andare tutti alla stanga.


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