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Il premier spagnolo Pedro Sanchez durante l'incontro a Roma con Giorgia Meloni

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Il punto da capire è se questo Paese nella sua presenza a Bruxelles è ancora o no una nazione. Se siamo o no un Paese che fa gioco di squadra a prescindere dalle sue miserie di politica interna. Il problema è se la nomenclatura dei territori, le schegge impazzite della Lega e i nuovi arrivati alla guida dell’opposizione riescono almeno a rendersi conto che intorno al Pnrr, prima operazione di debito comune, si gioca la partita di salvare o meno l’Europa e di dare sviluppo all’Italia. In un momento in cui può crescere lo spazio politico europeo di Giorgia Meloni sull’asse conservatori-popolari a patto che si rinsaldino i rapporti con Francia, Germania e Spagna e quando anche la Bce diventa meno dogmatica. Come farsi del male da soli.

FARE squadra come Italia in Europa non solo per risolvere il problema interno del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che è per noi essenzialmente quello strutturale di una burocrazia scassata e di un sistema costruito sul frazionamento delle decisioni e, quindi, generatore naturale di paralisi e ritardi. Cosa che peraltro il ministro per l’Europa, Raffaele Fitto, ha ben presente e sta impostando con chiarezza in casa e fuori mettendo tutti davanti alle proprie responsabilità. Fare squadra come Italia in Europa, ancora di più, perché il punto da capire oggi, che sovrasta il racconto da fotoromanzo della politichetta italiana, è se questo Paese nella sua presenza a Bruxelles è ancora o no una nazione. Se siamo o no ancora un Paese che sa fare gioco di squadra a prescindere dai partiti e dalle sue miserie di politica interna.

Il problema è capire se questi signori della nomenclatura politica dei territori, le schegge impazzite della Lega e i nuovi arrivati ai vertici delle opposizioni riescono almeno a rendersi conto che intorno al Piano nazionale di ripresa e di resilienza, espressione della prima volontà europea di fare debito comune, si gioca la partita di salvare o meno l’Europa. Perché il nostro inverecondo balletto mediatico e il gioco vergognoso degli interessi di bottega della politica partitocratica dentro la maggioranza e dentro l’opposizione non sono più solo un attentato al bene comune dell’Italia, ma rischiano seriamente di mettere in crisi la capacità dell’Europa di essere agente di sviluppo e la capacità dell’Italia di rimanere nel gruppo di testa europeo.

Tutto questo avviene paradossalmente in un momento in cui la premier, Giorgia Meloni, ha uno spazio politico europeo notevole da costruire e, se non indulge ad ambizioni smodate, ampiamente percorribile e realizzabile. Perché il centro destra cresce in Francia. Ha la maggioranza di governo in Polonia e Repubblica Ceca, è accreditato di un buon successo in Spagna se non proprio di conquistare la maggioranza. In Svezia, Finlandia, Olanda tira sempre lo stesso vento.

Diciamocela tutta. Se c’è stato il pellegrinaggio politico a Roma dei capi europei con in prima fila la presidente della Commissione von der Leyen e il presidente del Consiglio Michel, il leader dei popolari Weber e la presidente del Parlamento Metsola, è per una ragione sola. Perché è molto concreta la possibilità che si vada con le prossime elezioni europee a una coalizione di governo non più tra socialisti e popolari, ma tra popolari e conservatori. La Meloni è oggi capo dei conservatori europei e alla guida del governo del terzo Paese Fondatore. Se riesce a ricucire nella sostanza il rapporto con la Francia di Macron come si sta sforzando di fare e tiene un buon rapporto con il cancelliere tedesco Scholz e il premier spagnolo Sanchez, come dimostra anche l’incontro di ieri a Roma, allora può davvero occupare una posizione di leadership all’interno del nuovo spazio politico europeo.

Questi sono i fatti fuori dai pregiudizi e dai paraocchi delle demagogie. Come è un altro fatto che si profila giocoforza un atteggiamento più ragionevole della Banca centrale europea (Bce) visto che un po’ di paura i suoi vertici se la sono presa con le banche americane e svizzere per aria e gli episodi tedeschi. Diciamo che c’è qualche spiraglio in più per una politica monetaria più ragionevole e meno dogmatica. Anche i più scalmanati appaiono oggi più riflessivi e attenti allo sviluppo del credito perché se con questa forsennata crescita dei tassi vanno a pezzi le banche anche l’opinione pubblica tedesca dovrà farsene una ragione.

Possibile che dentro uno scenario così complicato ma anche denso di opportunità per l’Italia sul piano politico a livello europeo e sulla possibilità concreta di costruire una stagione di crescita duratura, bisogna sempre fare saltare tutto per ragioni di piccolo cabotaggio all’italiana? A noi sembra davvero troppo.


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