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Un momento di Feuromed

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Il rumore domestico mediatico-politico, sganciato dalla realtà in Italia e in Europa, impedisce di cogliere il senso della sfida di nuova programmazione che la delega politica alla gestione di tutti i fondi europei ricevuta dal ministro Fitto e l’impostazione con cui la sta gestendo vogliono esprimere dopo un lungo letargo. La Carta di Napoli di Feuromed mette al centro il capitale umano con le sue università miste tra le due sponde del Mare Nostrum. Si muove nella direzione di recuperare lo spirito e l’azione di quelle stagioni di programmazione che hanno cambiato il Paese e che oggi non può non partire dalla collocazione strategica euromediterranea determinata dal nuovo quadro geopolitico globale. Un disegno di proiezione ventennale con scelte di dettaglio che riguardano l’energia, la nuova manifattura, le grandi reti materiali e immateriali e l’industria del mare

Non siamo più in grado di disegnare progetti di lungo termine come è sempre accaduto ogni volta che questo Paese ha voluto fare un salto in avanti che è rimasto nel tempo. Il Piano Marshall e la prima Cassa del Mezzogiorno accompagnarono il passaggio dell’Italia da economia agricola di secondo livello a economia industrializzata e poi, nel decennio successivo, addirittura a potenza mondiale. La stagione degasperiana e quella del primo centrosinistra a trazione fanfaniana furono espressione di un’idea di programmazione nazionale con obiettivi chiari e uomini all’altezza per perseguirli.

Per questo il rumore domestico mediatico e politico, sganciato totalmente dalla realtà di quello che sta accadendo in Italia e in Europa, impedisce di cogliere in casa nostra il senso della sfida di nuova programmazione che la delega politica alla gestione di tutti i fondi europei ricevuta dal ministro Fitto e l’impostazione con cui la sta gestendo vogliono esprimere dopo un lungo letargo di idee e azione. Serve, oggi più che mai, una programmazione nazionale condivisa che si muova nel solco tracciato dalla Carta di Napoli che abbiamo voluto lanciare con il primo Festival euromediterraneo dell’economia (Feuromed).

Indica, a nostro avviso, la radice culturale, l’indirizzo strategico e il percorso operativo per realizzare un disegno organico di priorità da sistema Paese che esprimono la collocazione strategica euromediterranea, determinata dal nuovo quadro geopolitico, calata dentro una serie di sfide di dettaglio. Che riguardano allo stesso tempo l’energia e la nuova manifattura, come le grandi reti materiali e immateriali e l’industria del mare. Un disegno di lungo termine di proiezione ventennale che metta al primo posto il capitale umano e, cioè, un grande investimento comune – europeo, pubblico e privato – per formare la nuova classe dirigente del nuovo Mediterraneo.

Questo è quello che serve oggi al Paese cominciare a costruire, altro che il pollaio quotidiano sul nulla. Ci sono altri precedenti che aiutano a capire. C’è stata una stagione politica in cui si è deciso di fare l’alta velocità ferroviaria, di privatizzare l’Anas e le Ferrovie. Si è deciso e lo si è fatto. Non si è pensato all’oggi e neppure al domani, ma al dopodomani. C’è stata un’altra stagione illuminata in cui si è capito che il capitale industriale privato delle grandi famiglie si stava sgretolando come poi è in gran parte avvenuto e si è deciso di accompagnare la trasformazione in public company delle grandi imprese di servizi e di tecnologia di provenienza pubblica.

Se oggi abbiamo l’Enel, l’Eni, Terna, Leonardo e così via come sono oggi, lo si deve alle scelte compiute allora, figlie di quella capacità di programmare il futuro e di pensare in lungo. Che decise, peraltro, di affiancare a questo processo di privatizzazione di mercato dei grandi asset strategici del Paese sopravvissuti alle ondate di deindustrializzazione ricorrenti un’altra scelta forse ancora più importante. Come fu quella di puntare sulla media impresa di qualità che affondava le sue radici in uno sviluppo globale partendo dal territorio e con scelte decisamente controcorrente come quella di puntare con l’Università della Calabria sulla industria informatica del futuro.

Se oggi siamo l’economia europea che corre più di tutti con primati senza pari nelle esportazioni globali e risultati di qualità assoluta che vanno dall’agro-alimentare alle nuove tecnologie, lo si deve a quelle decisioni prese molto tempo prima e alla programmazione nazionale in esse contenuta. La nuova narrazione del racconto del Mezzogiorno che abbiamo voluto fare a Napoli con Feuromed è nata in primis dalla esigenza di restituire un racconto reale della situazione del Mezzogiorno che è un esempio nascosto di organizzazione e di primati da consolidare, ma ancora di più dalla volontà di spingere a recuperare proprio quello spirito di programmazione e di realtà di cui abbiamo vitale bisogno.

Noi siamo ovviamente favorevolissimi alla costruzione del Ponte sullo Stretto che può regalare all’Italia almeno mezzo punto di Pil, ma fare scelte di questo tipo come ancora prima quelle delle energie rinnovabili, della nuova manifattura, del ritorno al nucleare di qualità, delle reti veloci che cambiano le città significa proprio capire che cosa è la programmazione e volerla concepire e declinare su scala ventennale con le sue ricadute interne e esterne. Pensate quanta strada dobbiamo ancora compiere se un’agenzia di rating internazionale come Fitch assegna all’Italia una crescita di Pil dell’1,2% quando l’Istat parla dell’1,8%, ma l’Ufficio parlamentare di bilancio che paghiamo tutti noi impone di non mettere nel Def un numerino superiore all’1% se no non convalida il bilancio. Per avere il suo via libera bisogna che il numero sia sbagliato e che noi paghiamo un conto in termini di meno margini di manovra e di effetto depressivo. Povero Paese!


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