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Giorgia Meloni

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In un quadro globale percorso da venti di recessione, non basta un’azione buona di un minuto. Oggi il governo Meloni vive la sua “primavera di Praga”, ma deve mantenere a lungo un po’ più di crescita degli altri Paesi europei o perdere comunque meno. Il turismo aiuta e trascina i servizi. La manifattura va, ma deve superare la crisi tedesca. Se hai tassi di crescita migliori o meno peggio degli altri, nemmeno le parole della Lagarde incideranno sui nostri tassi di interesse. I mercati saranno meno preoccupati del nostro debito. Bisogna lavorare di olio di gomito e farlo tutti i giorni. Realizzare un grande piano di investimenti fatto di progetti di qualità coerenti con le scelte strategiche operate e fattibili. Bisogna essere consapevoli del miracolo degli ultimi tre anni dopo un quarto di secolo di stagnazione. Perché duri almeno quanto è durata la stagnazione

Il richiamo a Helmut Kohl e alle sue parole di non governare guardando ai sondaggi avendo il privilegio di guidare un esecutivo con orizzonte lungo, è di sicuro il tratto più qualificante delle comunicazioni di Giorgia Meloni in Parlamento alla vigilia del nuovo vertice europeo. Questo richiamo è di importanza strategica di uguale livello a quello giustamente insistito sul Piano Mattei e sulla costruzione di un rapporto nuovo con l’Africa che significa sviluppo alla pari.

Questo dato, in particolare, coincide con uno dei punti di riferimento strategici della Carta di Napoli che ha segnato i lavori del Festival euromediterraneo dell’economia (Feuromed) organizzato da questo giornale in collaborazione con Commissione e Parlamento europei. Siamo ovviamente pienamente d’accordo su questo indirizzo strategico del governo Meloni che ha determinato il riposizionamento del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e fa ora del Mezzogiorno d’Italia non più periferia ma centro del nuovo Mediterraneo. Che è, allo stesso tempo, la porta dell’Europa sul Mare nostrum e l’unico grande hub energetico e manifatturiero possibile per intercettare la guida del nuovo asse strategico globale Sud-Nord e assicurare all’Europa intera la crescita aggiuntiva possibile.

Ci è piaciuta anche la segnalazione di un’attenzione addirittura settimanale ai dati relativi all’economia dell’Italia che da storico fanalino di coda dell’Europa è oggi l’economia che cresce di più e continua a creare occupazione, addirittura nel Sud il doppio della media nazionale, e preserva un tasso di affidabilità sui mercati che consente uno spread migliore dell’altro anno beneficiando ovviamente della continuità con Draghi nella politica economica e in scelte di assoluta eccellenza come quella di Fabio Panetta per la successione di Visco alla guida della Banca d’Italia. Vogliamo cogliere questa occasione per sottolineare che, come avevamo ampiamente previsto, quasi nessuno si è accorto nell’informazione italiana che la fiducia dei consumatori a giugno è alle stelle, che la fiducia delle imprese italiane è infinitamente superiore a quella delle imprese tedesche e francesi, che il turismo e i servizi sono talmente esplosi soprattutto nei pernottamenti internazionali da fare impazzire le rivelazioni statistiche di settore.

Questo secondo miracolo economico italiano, dopo quello del Dopoguerra, continuiamo a raccontarlo solo noi e anche se siamo consapevoli che è grave che la faziosità altrui tolga futuro ai nostri giovani, ci abbiamo fatto l’abitudine. Succedeva perfino con Draghi che tutto il mondo ci invidiava, ma in casa siamo sempre stati capaci di sminuirne il lavoro togliendo altra fiducia e parlando a sproposito di rimbalzi.

Soprattutto da parte di chi è mosso da sentimenti di pura invidia avendo avuto responsabilità altrettanto importanti in passato con risultati di segno opposto. Ovviamente oggi tutti si dilungheranno sulla mancata ratifica del meccanismo europeo di stabilità (Mes) e sulla logica negoziale o a pacchetto con cui il premier italiano ha dichiaratamente detto di volere impostare la discussione su nuovo patto di stabilità europeo, Unione bancaria, fondo unico di garanzia dei depositi, politica di alti tassi della Bce. Tutto dentro una scelta di metodo, non di merito, che riguarda il Mes.

L’unica cosa di cui siamo certi è che a settembre verrà ratificato dal parlamento italiano perché l’ancoraggio europeo di questo governo non è più in discussione e nessuno, fuori dall’Italia, a partire dai vertici della Commissione europea, ritiene che l’Italia non intenda assumersi le sue responsabilità di Paese Fondatore nella costruzione della nuova Europa. Diciamo che in casa e fuori si è capito che la Meloni al dunque non fa strappi e questo è un merito di non poco conto. Che, soprattutto, nei momenti topici questo modus operandi è risultato sempre vincente. Prendiamo, ad esempio, anche la scelta del generale Figliuolo come commissario per la ricostruzione dell’Emilia- Romagna. Si è rivelata una mossa di straordinaria intelligenza politica perché preserva i ruoli dei Presidenti di Regioni e mette Bonaccini fuori gioco sul piano della polemica politica perché fa un nome che nessuno si può permettere di attaccare. Nemmeno lui. Ora, però, dato a Cesare quel che è di Cesare e che una bolla mediatica fuori dalla realtà sistematicamente non riconosce a Giorgia Meloni e al suo governo, vogliamo avvisarla di lavorare attorno alle gru per il governo dell’economia italiana e per la costruzione della nuova Europa. Perché se vuole che il sondaggio settimanale sull’economia non le riservi sorprese negative, in un quadro globale percorso da incertezze e venti di recessione, non serve un’azione di governo di un minuto, ma di forte continuità, che duri nel tempo e anzi migliori ancora nel tempo.

Oggi il governo Meloni vive la sua “primavera di Praga”, non sarà il caso Santanché a bloccarla, ma si deve invece preoccupare di mantenere una crescita sempre un po’ più degli altri Paesi europei. Questo è il punto decisivo. Il turismo ci aiuta alla grande e si trascina alla grande anche i servizi, ma l’Italia dovrà sempre potere contare sul resto della manifattura spinta dalla sua capacità di diversificare l’offerta sui tanti mercati del mondo e dall’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e dall’utilizzo coerente di tutti i fondi europei. Lavorando con la visione di lungo termine espressa dalla scelta di competenza unica sul piano politico voluta dal governo, ma capitalizzando anche la nuova impronta programmatica, il metodo di confronto con l’Europa e il varo di una riorganizzazione strutturale che sono stati tutti voluti e perseguiti con assoluta determinazione dal ministro Fitto. Che mai e poi mai, neppure per un secondo, Giorgia Meloni dovrà lasciare solo. Altrimenti cade in un battibaleno tutto il castello.

Bisogna lavorare di olio di gomito e bisogna farlo tutti i giorni. Bisogna credere e agire per la realizzazione di un grande Piano nazionale di investimenti fatto di progetti di qualità coerenti con le scelte strategiche finalmente operate e valutando per tempo le reali fattibilità. Bisogna essere prima di tutto consapevoli del miracolo che è avvenuto negli ultimi tre anni che è quello di una crescita molto sostenuta dopo un quarto di secolo di stagnazione. Dobbiamo continuare a crescere e se il mondo intero rallenterà ovviamente rallenteremo anche noi, ma dovremo rallentare sempre un po’meno di Germania e Francia. Se hai tassi di crescita migliori o meno peggio degli altri nemmeno i giochetti con le parole della Lagarde o semplicemente i suoi ricorrenti errori di valutazione, avranno un impatto reale sui nostri tassi di interesse. Perché sui mercati saranno tutti meno preoccupati anche del nostro debito.

Possiamo essere più tranquilli anche quando la nostra economia, agganciata a quella del resto degli altri Paesi, andrà inevitabilmente giù se tutti scenderanno, ma solo se riusciremo ad andare in termini relativi sempre un po’ meglio degli altri. Se riusciremo a preservare l’immagine e, magari, a ulteriormente rafforzarla di un Paese un po’ più dinamico che può risolvere da solo il problema del debito. Questo è il punto strategico di fondo da cui dipende tutto. Coincide con il ribaltamento di un quarto di secolo di storia economica italiana. Da fanalino di coda dell’Europa a locomotiva della nuova Europa nel mondo capovolto dall’accorciamento post pandemico delle catene della logistica, dai carri armati russi in Ucraina, e da una globalizzazione che non è più di competizione ma di conflitto tra mondo autocratico e mondo occidentale. Un conflitto che ha tanti scenari di guerra economica e militare dove solo un’Europa unita almeno nei grandi obiettivi potrà combattere e vincere contro le armi dei russi e i soldi dei cinesi sui quadranti decisivi di Africa, del Mediterraneo allargato, e dell’India.


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