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La Carta di Napoli del Festival Euromediterraneo dell’economia di questo giornale e delle istituzioni europee può contribuire a impostare una manovra e un piano di medio termine che indichi dalla Nadef l’alternativa di sviluppo che il governo Meloni persegue dopo la stagione del reddito di cittadinanza: creare posti veri nel Sud e sanare le diseguaglianze. Altrimenti si sbatte la porta in faccia al mondo capovolto che scommette su di noi. Come motore di sviluppo del Mediterraneo per l’Europa e catalizzatore di capitale umano, tecnologie e infrastrutture. È ora che i galletti della maggioranza la smettano di starnazzare, l’opposizione di fare demagogia e il sindacato segua la linea di responsabilità della Cisl di Sbarra

PER avere il numerino finale della manovra bisognerà vederne ancora delle belle e qualcosa di più concreto si comincerà a capire con la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), ma se vogliamo dare credito, come è giusto, alle fonti più autorevoli in materia il dato da cui si parte è quello di 35 miliardi e trovare le coperture è davvero un’impresa complicata. Se si desse ascolto a tutte le chiacchiere in libertà più o meno sempre elettorali si arriverebbe tranquillamente a 50 e oltre miliardi senza mostrare un minimo di rossore in faccia. Ci sono, però, alcuni elementi qualificanti di merito e quantitativi di cui si parla poco e che invece andrebbero ripetuti come un mantra per dare il segno di una rotta di politica economica salda nelle sue direttrici di conservatorismo riformista e solidale.

Per esempio, non si sente o non si legge mai nell’accezione giusta che i primi 12 dei 35 miliardi di cui il governo Meloni è a caccia di coperture sono per la decontribuzione dei lavoratori dipendenti che favorisce il Sud perché qui prevalgono i redditi medio-bassi (fino a 35mila euro) a cui è rivolta ed è, cioè, l’incentivo più sano per creare occupazione sana nelle regioni meridionali e fortificare il processo di crescita del Paese che opera in un mondo capovolto dopo che l’asse Sud-Nord è diventato strategico al posto di quello Est-Ovest. Sono stati i carri armati russi in Ucraina a spezzare per sempre i fili che legano la Germania alla Russia di Putin e a mettere in crisi, di riflesso, il rapporto della ex locomotiva europea con la Cina di Xi Jinping. Il risultato finale di tutto ciò è che il Sud italiano non è più periferia ma centro del nuovo mondo e candidato unico al ruolo di hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo e motore unico della sola crescita aggiuntiva ancora possibile per l’Europa.

I redditi del futuro saranno tutta un’altra cosa, ma fare capire il valore di questa scelta fin dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef), significa indicare con chiarezza qual è l’alternativa che questo governo persegue dopo la stagione del reddito di cittadinanza: aiutare la creazione di posti veri e di qualità nel nostro Mezzogiorno favorendo le imprese che vi operano e fanno miracoli e facendone un’area naturale di attrazione di capitali internazionali. Si tratta di patrimonializzare il doppio vantaggio dell’accorciamento delle catene della logistica globale e la posizione come area geograficamente strategica nel Mediterraneo di cui Napoli è la Capitale, ma che parte da Gioia Tauro e Porto Empedocle, passa per il doppio tesoro della Basilicata e la riserva di nuove energie da sole, vento e mare che riguardano Campania e Puglia oltre ovviamente a Calabria, Sicilia e Sardegna.

Fare capire il valore di questa scelta significa accogliere lo spirito della Carta di Napoli che è il frutto del festival Euromediterraneo dell’economia organizzato da questo giornale con la Commissione e il Parlamento europei. Dimostra di avere capito che il punto primo della carta che indica il cambio della narrazione del Sud non è il frutto di un’invenzione, ma del fatto oggettivo che del circa mezzo milione di occupati in più a tempo indeterminato creati dalla fase pre Covid a oggi in Italia oltre il 50% è già nel Mezzogiorno che ha cambiato passo e sempre più vuole continuare a farlo.

La minima flessione degli occupati a luglio che segna la fine di una crescita galoppante dell’occupazione è esattamente come il dato della debole caduta di fiducia delle imprese di agosto un’ulteriore spia della necessità che ha il governo Meloni di presidiare la stabilità della fiducia in Italia. Questo è il punto decisivo di oggi e va valutato a partire dai suoi territori meridionali che sono già ripartiti e chiedono solo diritti sociali negati e nuove infrastrutture materiali e immateriali che migliorano il contesto e consentono di continuare a creare occupazione di qualità trattenendo i cervelli e avviando a soluzione la grande questione sociale e civile italiane. Questo è il modo vero di affrontare la sofferenza terribile delle aree degradate delle periferie di Caivano oggi, ma anche delle tante altre Caivano d’Italia. Investire in qualità di studi e del lavoro finanziando lì, in quelle aree degradate non altrove, come si sta facendo a Napoli, significa restituire diritti e speranza a comunità per troppo tempo dimenticate o assistite, ma ancora prima significa attuare un disegno di politica economica e sociale che è decisivo per preservare il valore della nostra manifattura del Nord come del Sud e di quella europea a cominciare dalla manifattura tedesca.

Bisogna raccontare bene che cosa vuol dire uscire dalla cultura degenerata del reddito di cittadinanza, che non significa affatto non sostenere in modo serio chi vive in povertà, ma indicare la rotta del grande cambiamento di prospettiva che la storia e la geografia assegnano in contemporanea a questi territori e a queste comunità. Ricordare che agli oltre 12 miliardi in manovra per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale messo in campo da Draghi e Meloni bisogna aggiungere altri 4 miliardi per accorpare da 4 a 3 le aliquote fiscali a sostegno dei redditi più bassi, significa ancora una volta attuare lo spirito della Carta di Napoli cogliendone il segno strategico della lotta alle diseguaglianze e della riduzione delle disparità dando a chi ha meno e rendendo più competitivo il primo lavoro. Ai 35 miliardi ci si arriva con altri 7/8 di spese indifferibili che riguardano l’indennità di vacanza contrattuale, investimenti e missioni internazionali, fino a 3,5 miliardi per la sanità, 1/2 miliardi per il Ponte sullo Stretto, 1/2 miliardi per Regioni e enti locali, 1 miliardo per fringe benefit/detassazione premi produttività e non determinati nei dettagli il calcolo della indicizzazione delle pensioni ancorché ricomputato e quello dei contratti da rinnovare, più urgenze varie che ogni manovra porta con sé.

Dobbiamo fermarci qui con il massimo delle asperità. Lasciare invece da parte ogni altro tipo di chimera pensionistica che dovrà essere piuttosto una voce delle entrate della manovra e tagliare tutto quello che è tagliabile e privatizzare tutto quello che è privatizzabile facendolo cum grano salis. Perché la prima cosa da fare è trovare i soldi che servono per finanziare queste priorità senza fare deficit aggiuntivo e non bloccando la discesa del rapporto debito/Pil. Questo significa fare discorsi seri avendo anche l’accortezza di chiarire nella Nadef che si difenderà e attuerà il Repower Eu con i suoi 3,5 miliardi di investimenti in infrastrutture e i 14 miliardi di bonus energetici per famiglie e imprese e che tutti i progetti di unificazione delle reti ferroviarie e digitali e tutti i piani di rinascita urbana non perderanno un euro di cassa europea e/o italiana, anche se magari la cambieranno, ma facendolo in assoluta continuità e alimentando un trend di investimenti che va ben oltre il giugno del 2026. Che la sanità ha la priorità negli investimenti che si recuperano in manovra, nei fondi europei e in quelli complementari secondo una logica pluriennale chiara e leggibile. Che altrettanto si farà sulla scuola come sugli asili nido senza alimentare le solite illusioni e facendo invece le cose. Se si vuole continuare a litigare sulle consunte bandierine elettorali, lo si faccia pure. Si può tranquillamente arrivare con la bocca a dire di volere spendere 50 miliardi partendo da 4 disponibili, perché non 100 se ci piace giocare al presunto bancolotto elettorale, ma non si racimolerà un voto in più, l’Italia perderà il suo governo di legislatura e ogni rappresentanza di vertice in sede europea e l’Europa non avrà il suo hub energetico e manifatturiero del Mezzogiorno. Avremo tutti insieme con la solita insulsa politica del rumore sbattuto la porta in faccia alla storia del mondo capovolto di oggi che, nonostante la guerra nel cuore dell’Europa, la bolla cinese, il ridimensionamento globale e la caduta tedesca, ha deciso di scommettere per una volta su di noi. Come motore di sviluppo del Mediterraneo e attrattore di capitali produttivi internazionali a partire dai grandi investimenti tecnologici.

Questo discorso è troppo importante perché i galletti della maggioranza non la smettano di starnazzare, l’opposizione non la smetta di fare demagogia e il sindacato tutto non segua la linea della responsabilità e della verità tracciata dagli eredi di Pastore che costituiscono oggi con la Cisl di Sbarra un baluardo sopravvissuto di responsabilità. Ognuno faccia la sua parte sul campo. È l’unico modo per disinnescare la miccia populista dell’incendio mediatico permanente che toglie il futuro all’Italia. Bisogna farlo ora e metterlo nero su bianco nella Nadef perché il tempo delle chiacchiere estive è scaduto e non ci sono supplementari da giocare. Tutti si ricordino della Carta di Napoli.


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