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Il dialogo non può essere il riconoscimento reciproco di fondamentalismi, ma il luogo in cui ci si sforza di trovare un terreno comune su cui si superano i fondamentalismi. La piazza del dialogo del mondo dove ciò può avvenire siamo noi. Questo senso profondo della storia riguarda il vero umanesimo dell’Occidente e dell’Italia anello di congiunzione con i Mediterranei. Proprio le vicende di questi giorni dimostrano che il mondo moderno ha un grosso problema a dialogare con l’altro mondo musulmano, ebreo, arabo e così via. C’è un risentimento verso l’altro ricambiato che si può almeno provare a superare attraverso il dialogo affinché questa paura e questo rifiuto dell’altro si trasformino in qualcosa di positivo.

Non si può andare avanti con una situazione in cui non si dimostra un minimo di attenzione nei confronti di civili che perdono la vita senza alcuna colpa. Se si dimentica completamente il problema dell’equilibrio che mai può consentire nuovi stermini non solo non si contrasta il terrorismo, ma addirittura lo si alimenta, a suo modo lo si giustifica. Perfino nella lotta al terrorismo che abbiamo avuto in casa, la storia ci insegna che se si fosse ceduto allora a leggi speciali o a poteri di polizia si sarebbe data più acqua in cui nuotare ai terroristi.

Non si deve consentire a Hamas di riunire i Sud del mondo in un unico grande braciere esplosivo con tutte le autocrazie schierate insieme in una lotta unica all’Occidente ridotto a una cittadella assediata. È un tema molto delicato, perché si percepisce il sentiment di qualcosa di nuovo che porta pericolosamente a ricongiungersi i Sud del mondo. Noi come Italia e, più specificamente, come Mezzogiorno italiano siamo proprio l’anello di congiunzione naturale tra l’Occidente e i quattro Mediterranei con Medio Oriente e Africa in primo piano.

Questo giornale vuole essere la voce dialogante dei quattro Mediterranei e dei Sud del mondo e ritiene che non esista altra via per uscire dal piano inclinato che porta verso la grande guerra globale al di fuori di una cooperazione che ha però bisogno di alcune premesse fondamentali. Senza le quali come alternativa ci sono solo la guerra e l’odio. Punto. Bisogna rendersi conto che senza queste premesse di umanità nemmeno la migliore volontà di cooperazione può funzionare. Purtroppo, c’è qualcosa di ancora più delicato. L’alternativa alla mancata cooperazione, anche all’eventuale tentativo abortito di realizzarla, è l’odio tra i popoli che emerge in modo novecentesco se non ottocentesco.

Si accetta senza nemmeno rendersene bene conto la legge che già viene diffusa della destabilizzazione come la grande rivincita contro quella egemonia conquistata dall’Occidente nel mondo proprio nell’Ottocento e nel primo Novecento. Dimenticando che quella egemonia rifletteva un principio di supremazia, ma aveva anche la volontà di diffondere un desiderio di umanesimo che oggi va ancora rivisto ma è di sicuro addirittura più importante di allora. Se non si è in grado di percepire l’importanza strategica di questo passaggio si cade nella trappola tesa da Hamas, Putin e da tutte le frange estremiste che porta dritti dritti allo scontro di civiltà.

L’astensione nel voto sulla risoluzione delle Nazioni unite preserva all’Italia quel ruolo di neutralità che ci può fare parlare con tutti. Siamo all’interno della tradizione andreottiana o craxiana, in genere italiana, che ci consente di mantenere la credibilità di potere dialogare con tutti. Questo ruolo non lo può svolgere l’America, la Francia e neppure la Germania per il suo passato, perché tutte e tre per motivi diversi non potranno mai condannare Israele se non si ferma nell’uso eccessivo della forza.

Noi siamo invece credibili per avvisare tutti che bisogna fermarsi un attimo prima che i Sud del mondo esplodano in tutte le piazze del mondo. Noi siamo e sempre più dobbiamo essere espressione di una piazza di dialogo non colonizzatrice come erano i conquistadores. Noi siamo il cuore del sud del mondo e banalmente il Mediterraneo è ancora almeno per un po’ il cuore del mondo. Proprio le vicende di questi giorni dimostrano che il mondo moderno ha un grosso problema a dialogare con l’altro mondo musulmano, ebreo, arabo e così via. C’è un risentimento verso l’altro ricambiato che si può almeno provare a superare attraverso il dialogo affinché questa paura e questo rifiuto dell’altro si trasformino in qualcosa di positivo.

Il Mediterraneo deve tornare ad essere il luogo dove si incontrano tante sapienze, non un teatro di guerra dove la regola diventa quella di tirare fuori il coltello da gettare nella pancia dell’altro. Di certo Netanyahu, con i suoi riferimenti biblici che rievocano stermini o i tempi della guerra e della pace, non aiuta e la comunità nazionale deve cominciare a porsi seriamente il problema della sua leadership. Possono aiutare le riflessioni dell’ex primo ministro francese de Villepin sull’Occidentalismo prima dell’invasione in Iraq e sull’errore di scambiare da secoli le radici nobili di un pensiero che si ritiene necessariamente comune, ma che miliardi di persone non condividono perché non la pensano come noi.

Bisognerebbe riprendere il discorso della fiducia nel proprio modello trovando il modo di avviare un dialogo che lo costruisca, non che lo imponga. I palestinesi non sono in grado di esprimere una linea politica, lo hanno fatto un po’ all’inizio, poi hanno superato le vecchie teorie marxiste e sono in parte confluiti su quelle dell’estremismo islamico. Bisogna cercare di aprire uno spazio comune di dialogo perché si costruisca uno spirito di verità e di coesione per cui diventi un valore condiviso l’Occidente come fondamento della civiltà. Perché è fondato su un vero umanesimo non come espressione di una teoria politica fondata solo sulla tutela dei suoi interessi. Fu così nell’origine, senza essere capito, perché l’Occidente nasce come il frutto di una riflessione sul modo di essere uomini e tale da coinvolgere tutti.

Questa riflessione va allargata anche alla religione e al cristianesimo che diventa religione universale quando si sposa con la cultura filosofica greca e romana e così diventa una proposta universale. Il dialogo non può essere il riconoscimento reciproco di fondamentalismi, ma il luogo in cui ci si sforza di trovare un terreno comune su cui si superano i fondamentalismi. La piazza del mondo dove ciò può avvenire siamo noi. Questo senso profondo della storia cerchiamo almeno di coglierlo e di difenderlo unitariamente.


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