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Roberto Mapoletano

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Si è usata l’arma estrema contro una manovra che fa debiti per sostenere la base storica della Cgil colpita dall’inflazione in un Paese che ha il debito pubblico più alto in Europa. È una manovra che sostiene lavoratori e pensionati e rinnova i contratti del pubblico impiego. La distanza tra la presa di posizione politica di Cgil e Uil, che si traduce nello sciopero generale, e la realtà è questa volta esagerata. Il flop dello sciopero di Cgil e Uil è figlio di questa distanza esagerata.

Non è cosa. Non è più tempo di scioperi oggi. Sono purtroppo diventati una cosa del passato perché il sindacato non riesce più a fare sentire lo sciopero come un fatto profondo. Di Vittorio definiva lo sciopero l’arma estrema. È lo stesso uomo, bracciante figlio di bracciante, che fa onore alla grande storia della Cgil, anche nella sua indipendenza dalla politica di un Pci all’epoca potentissimo che lo portò in solitudine a schierarsi contro i carri armati russi in Ungheria. La memoria di Di Vittorio onora questa grande storia della Cgil esattamente quanto oggi Landini la disonora riducendola a poltiglia movimentista e usando i lavoratori per inseguire disegni di leadership politica di una Sinistra effimera e frammentata. Chi scrive crede fortemente nel ruolo del sindacato e della concertazione e ritiene lo sciopero uno dei pilastri fondanti di democrazie solide. Guai a metterne in discussione ruoli e poteri anche in minima misura perché si ledono i tratti costituenti della partecipazione e della creazione di benessere e lavoro.

Molto spesso le grandi stagioni di rinascita, faccio il solo esempio del ’93 dopo la grande crisi italiana del ’92, sono legate a patti sociali come fu l’accordo sulla politica dei redditi nel luglio di quell’anno realizzato dal governo Ciampi mettendo insieme i leader delle grandi organizzazioni sindacali, in prima fila Trentin che sull’addio alla scala mobile firmò e si dimise rientrando da protagonista, e delle imprese che tutti insieme dimostrarono con i fatti il senso profondo dell’interesse collettivo, che tutela produzione, lavoro e reddito familiare, come motore responsabile di scelte comuni. Sono le scelte che servono per cambiare un Paese e farlo correre.

Il flop dello sciopero generale a pezzetti di ieri di Cgil e Uil contro “l’attacco alla democrazia” era scontato perché è il frutto maturo della stessa crisi di rappresentanza che vivono il sindacato e i partiti. Se la Cgil e la Uil e, soprattutto, le leadership di Landini e Bombardieri che le guidano, non esprimessero questa crisi al massimo livello non avremmo avuto il ricorso politico all’uso dell’arma estrema in un contesto geopolitico segnato da due guerre che cambia le priorità e obbliga tutti a occuparsi di cose concrete, non di bandiere ideologiche o di calcoli politici.

Senza questa malattia profonda di decontestualizzazione dalla realtà che attraversa i due sindacati, diventa impossibile ipotizzare uno sciopero generale contro una manovra che mettendo a rischio i conti di tutti gli italiani fa deficit per confermare 10 miliardi di riduzione del cuneo fiscale a favore dei lavoratori fino a 35 mila euro, stanzia 5 miliardi per i lavoratori del pubblico impiego, decide 4,3 miliardi di tagli alle aliquote Irpef dei redditi più bassi, detassa di 1,6 miliardi i fringe benefit e fa altro ancora sempre e solo tutto a favore dei ceti più deboli e delle fasce di lavoro dipendente e pensionato meno ricco.

Diciamola tutta fino in fondo: guardando i fatti la manovra del governo Meloni è la tipica manovra della Cgil, di certo una manovra non di destra ma di sinistra, contro la quale manovra però la Cgil decide addirittura di usare l’arma estrema dello sciopero generale e fa ovviamente flop. Fa sciopero, usa l’arma estrema, ribadisco, contro una manovra che fa debiti per sostenere il reddito fisso, che è la base storica della Cgil, colpito dall’inflazione e lo fa, per di più, in un momento segnato dal rallentamento globale causato da due guerre e in un Paese che ha il debito pubblico più alto in Europa rispetto al prodotto interno lordo. È tutta una manovra a sostegno di lavoratori e di pensionati e che, dopo tanto tempo, riesce a fare un po’ di rinnovi contrattuali nel pubblico impiego. La distanza tra la presa di posizione politica di Cgil e Uil, che si traduce nello sciopero generale, questa volta è oggettivamente esagerata. Il flop dello sciopero di Cgil e Uil è figlio proprio di questa distanza esagerata.


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