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Raffaele Fitto e Giorgia Meloni

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Mentre tutti si stracciavano le vesti sui ritardi, avevamo avvisato che si andava nella direzione opposta. Che si era colta l’opportunità storica del nuovo Piano Marshall europeo per fare la prima delle riforme strutturali italiane. I risultati conseguiti ci dicono che saremo a breve l’unico Paese europeo a incassare la quarta rata e che rappresentiamo un modello per tutti offrendo al governo Meloni la base politica per vincere la battaglia del patto europeo che esce dalla gabbia dei decimali, rinnova la scelta degli investimenti comuni e salva l’Europa e il grande malato tedesco.

Eravamo stati facili profeti. Mentre tutti si stracciavano le vesti sui ritardi italiani nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) avevamo più volte cercato di avvisare che si andava nella direzione totalmente opposta. Che si era viceversa colta l’opportunità storica del nuovo Piano Marshall finanziato con gli euro di oggi invece dei dollari di allora e frutto dei primi eurobond della storia europea per provare a fare la prima di tutte le riforme strutturali di cui ha vitale bisogno questo Paese.

Stiamo parlando della riforma della macchina pubblica italiana degli investimenti. Fino a oggi primatista assoluta in Europa per inefficienza avendo come suoi principali conducenti quei capi delle Regioni che hanno legato il loro nome alla peggiore performance temporale e qualitativa nell’utilizzo dei fondi europei di coesione e sviluppo e all’esercizio clientelare dei loro poteri di spesa che hanno frammentato la capacità decisionale del Paese e reso praticamente impossibile individuare le priorità strategiche nazionali.

Hanno di fatto impedito per due decenni la crescita dell’intero Paese bloccando ogni serio processo riformista e, soprattutto, hanno determinato condizioni di paralisi o di forte rallentamento nell’attuazione dei grandi programmi di investimenti infrastrutturali di rete materiali e immateriali che fanno da tempo la differenza tra i Paesi che corrono e creano reddito e lavoro e i Paesi che stanno fermi bruciando ricchezza e allargando diseguaglianze e povertà.

Questo è il merito principale del lavoro certosino e innovatore condotto dal ministro Fitto che ha deciso di sporcarsi le mani con il problema storico vero della crescita italiana. Si è fatto carico del nuovo contesto economico e geopolitico causato dai carri armati russi in Ucraina, la conseguente guerra mondiale delle materie prime e il ritorno dell’inflazione, oltre che da ultimo il rallentamento globale legato anche al nuovo conflitto in Medio Oriente, e lo ha fatto intelligentemente sempre in pieno accordo con le istituzioni europee. È un fatto che la Commissione ha valutato positivamente il Piano di ripresa e resilienza modificato dell’Italia, che include un capitolo RePowerEU. Il piano dell’Ita – lia ha ora un valore di 194,4 miliardi di euro (122,6 miliardi di euro in prestiti e 71,8 miliardi di euro in sovvenzioni) e copre 66 riforme, sette in più rispetto al piano originale, e 150 investimenti.

Il senso profondo del nuovo piano è quello di rimarcare un solco riformista di qualità che va a incidere in modo strutturale su settori fondamentali per l’economia italiana quali sono la giustizia, gli appalti pubblici e il diritto della concorrenza, e qui in casa bisogna accelerare senza riguardi per interessi lobbistici vecchi e nuovi, ma mette anche in cantiere una serie di investimenti nuovi o rafforzati che mirano a promuovere la competitività e la resilienza dell’Italia, la transizione verde e digitale coprendo una gamma di settori strategici quali sono le energie rinnovabili, le catene di approvvigionamento verdi e le ferrovie. Per chi ha sempre strepitato fuori tono e fuori luogo in casa, è bene che si sappia che nessuno avrebbe potuto fare diversamente da quello che si è fatto perché è cambiato il mondo e non si poteva non tenere conto che con il balzo dell’inflazione e le perturbazioni delle catene di approvvigionamento occorreva fare una nuova proposta.

Ciò che qualifica la nuova proposta italiana è avere dimostrato di agire in continuità con l’approccio riformista del governo Draghi assumendo ancora maggiori impegni sul percorso di modernizzazione del Paese elevando da 59 a 66 il numero delle riforme e 5 su 7 delle nuove sono relative al capitolo REPowerEU. Per la precisione, includono:

  • 1) riordino degli incentivi alle imprese, con l’obiettivo di razionalizzare e fornire strumenti semplici ed efficaci al settore produttivo;
  • 2) coesione, per estendere alle politiche di sviluppo e di riduzione delle diseguaglianze l’approccio orientato ai risultati del PNRR;
  • 3) testo unico per le procedure in materia di energie rinnovabili, razionalizzare e semplificare il quadro normativo e autorizzativo;
  • 4) riqualificazione dei lavoratori (pubblici e privati), per l’innalzamento delle competenze in materia di efficientamento energetico e produzione di energia da fonti rinnovabili;
  • 5) riforma dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) a partire dal 2026;
  • 6) misure per ridurre i costi di connessione alle reti del gas per gli impianti di produzione di biometano;
  • 7) strumenti per le imprese per ridurre il rischio finanziario legato all’acquisto di energia da fonti rinnovabili. Repower Eu si concentra sul rafforzamento delle reti di trasmissione e di distribuzione dell’energia elettrica, sulla sicurezza energetica e sull’accelerazione della produzione di energia rinnovabile.

Sono contemplate anche misure intese a ridurre la domanda di energia, aumentare l’efficienza energetica, creare e rafforzare le competenze necessarie per la transizione verde e promuovere i trasporti sostenibili. Soprattutto, questo è il vero sostegno immediato alla crescita, ci sono 6,3 miliardi per non abbassare i giri del motore produttivo italiano finanziando gli incentivi alle imprese 5.0 che, come abbiano scritto appena qualche giorno fa, rappresentano la più riuscita delle riforme europee nell’incentivazione fiscale degli investimenti delle imprese che ha regalato all’Italia, che è il Paese con il più elevato numero di settori merceologici e di prodotti, il podio mondiale nei processi di digitalizzazione e di robotizzazione del ciclo produttivo. In totale, con le varie misure di filiera e settoriali, il sostegno alle imprese arriva fino a 12,4 miliardi di euro. Sono cose molto serie su cui sarebbe bene che chiedesse pubblicamente scusa chi fino a oggi ha strepitato seminando panico e lavorando contro l’interesse del Paese.

Ovviamente non lo farà. Come dirà poco o niente chi dovrebbe invece sottolineare lo sforzo di coesione a monte non a valle, approvato dalla Commissione europea, posto alla base del nuovo Repower Eu e dell’intero Piano europeo che fa tutt’uno con la scelta della Zona economica speciale unica (Zes) per l’intero Mezzogiorno che ne fa l’Eldo – rado naturale nell’attrazione di capitali produttivi internazionali e nella valorizzazione di quelli già in essere che sono più di quello che tutti immaginano. Bisognerà prestare molta attenzione a vendere nel mondo capovolto questo asset strategico che è il nostro Mezzogiorno della manifattura di qualità e dell’innovazione con strutture tecniche all’altezza.

Così come si dovrà vigilare sui costi della copertura della rimodulazione soprattutto per le gare dei comuni delle aree interne come di quelli delle grandi città, che sono stati però toccati meno del previsto, attraverso i fondi di coesione e sviluppo o di altro tipo senza creare nuovo debito e interruzioni di cassa. Anche queste scelte fanno parte di quella rivoluzione riformista che è stata avviata dal governo Meloni con la scelta politica di competenza di riunire tutte le deleghe presso un unico dicastero e portata avanti dal ministro Fitto con la forza della volontà non di accatastare carte, ma di superare i muri della frammentazione burocratica e decisionale italiana e fare finalmente le cose.


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