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Il palazzo dell'Onu a New York

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Gli orrori della doppia guerra e le grandi crisi demografica, industriale e climatica rendono l’architettura multilaterale fuori dalla storia. Banca mondiale e Fondo monetario non rispondono alla priorità che è il Sud globale. L’Europa dei suoi giganti nani non è un player, come Stati Uniti e Cina, senza nuovi meccanismi di governance. Si ritrova nelle retrovie della partita tra Sud e Nord del mondo che impone una governance globale con strumenti finanziari adeguati. Per scommettere sulle reti e sul capitale umano a partire dal Sud italiano che è il primo punto di congiunzione tra il Nord e il Sud.

Abbiamo dei grandi temi globali che non riescono a trovare un livello di discussione e di soluzioni adeguati. C’è prima di tutto un problema di fondo che riguarda le Nazioni Unite che continuano a riflettere nel Consiglio di sicurezza le rappresentanze di chi ha vinto la guerra a ottanta anni di distanza per cui ci sono i Paesi, ma non c’è l’Europa. Ovviamente all’Onu sono arrivati fino al punto di affidare la guida del Forum sui diritti umani all’Iran, scelta che misura di per sé l’abnormità della situazione.

La governance multilaterale, più che mai fondamentale in un mondo attraversato da due guerre non più regionali, scricchiola spaventosamente nella saldezza dei suoi valori morali e della sua efficacia operativa. Questo dato di fatto rende obbligatorio intervenire sull’architettura di governo multilaterale perché funzioni da baluardo contro le spinte destabilizzanti e, come ha lucidamente sostenuto ieri il Presidente Mattarella nel suo intervento alla conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori d’Italia, occorre una riforma che renda più efficaci meccanismi cristallizzati “a immagine del secondo Dopoguerra” e comporti dunque “una revisione di quegli strumenti di governo economico mondiale che oggi rappresenta una priorità per il Sud globale”. Banca Mondiale e Fondo monetario così come sono non vanno più bene. Da troppo tempo.

A fronte di un mondo in ebollizione dove autocrazie, dittature e mezze democrazie possono prendere il dominio del Sud che è diventato il nuovo Nord del mondo a causa dei carri armati russi in Ucraina che hanno spezzato per sempre i fili dell’asse Est-Ovest e messo in crisi la Germania, non è più neppure concepibile un’Europa che non sia rappresentata nelle postazioni di comando delle organizzazioni multilaterali e che continui a presentarsi come figlia del gioco delle singole nazioni.

In questo contesto lacerato dagli orrori della doppia guerra dove può saltare per aria a Gaza l’università islamica e perdere la vita il rettore e una strage di donne, uomini e bambini unisce nella tragedia ogni giorno il cuore dell’Europa e il Medio Oriente, è altrettanto obbligatorio porsi un’altra domanda strategica: serve meno Europa o più Europa? Meglio ancora: serve più Europa o meno Europa per contrastare quel terrorismo portatore della logica imperialista e della prepotenza che ovviamente avanza ogni volta che la proposta politica democratica perde terreno?

È addirittura banale rispondere che oggi serve assolutamente più Europa che non sia retaggio delle singole nazioni e delle logiche miopi dei suoi nani giganti, ma un soggetto federale nuovo che non si occupi più solo di difendere i suoi interessi, senza peraltro riuscirci e logorandosi spesso in sterili battaglie interne per questo o quel decimale della rovina comune, ma che diventi finalmente un vero e proprio player globale che possa inserirsi avendo voce in capitolo, alla pari con Stati Uniti e Cina, nell’affrontare e risolvere le grandi dinamiche strutturali e le emergenze globali conseguenti che cambiano la vita di ognuno di noi.

Come si affronta il problema della demografia che a furia di girarsi dall’altra parte è diventato un’emergenza dove si confrontano un continente africano che ha da dare da mangiare alla metà della sua popolazione e, di questo passo, a un quarto tra qualche anno e un continente europeo che non fa più figli, passa da una crisi demografica all’altra, e non riesce a trovare mano d’opera sempre più qualificata per sostenere la sua produzione?

Che cosa abbiamo da dire e da fare perché non sparisca la nostra industria europea e ci sia allo stesso tempo una risposta effettiva alla grande crisi della transizione ecologica e, in genere, ambientale? Come ci muoviamo, con quali soldi, con quali strutture, in una logica di lungo periodo di fronte a un fenomeno che può assumere dimensioni incontrollabili come è quello delle emigrazioni che sono il popolo di chi scappa dalla guerra e dalla povertà?

Sull’importanza della pace nel mondo ce ne rendiamo conto solo quando non c’è, ma bisogna andare molto oltre la consapevolezza che è fondamentale per sostenere i processi di crescita e di lotta alle diseguaglianze. Senza una nuova governance europea, che sia espressione dello spirito politico del nuovo Delors e rifletta aggirandola l’esperienza dei Fondatori, è impossibile gestire il necessario allargamento della Unione Europea e misurarsi con le grandi dinamiche strutturali che stanno cambiando tutto con una velocità che è addirittura superiore a quella della miopia sovranista di origine populista o di micro convenienze bottegaie da grandi Stati decaduti.

Ricorrere stabilmente al voto di maggioranza rafforzando i meccanismi di governance è ormai non rinviabile se l’Europa vuole cominciare a esistere. Non possiamo continuare con una storia americana di ricerca che diventa storia di produzione di colossi industriali e un’Europa frammentata e divisa che sparisce dai grandi deal e gioca sempre nelle retrovie della grande partita tra Sud e Nord del mondo che impone una governance globale dotata di rappresentatività politica e di strumenti finanziari minimamente adeguati all’entità delle sfide in essere.

Servono una capacità di visione del mondo e la volontà di scommettere sulle grandi reti e sul capitale umano a partire dal Sud italiano che è il primo punto di congiunzione tra il Nord globale e il Sud globale. Questo ci dicono storia e geografia e sarà duro fare molta strada se si vuole ottusamente continuare ad ignorare questo doppio dato di fatto e l’esigenza ineludibile di una nuova governance mondiale per fare i conti con questa doppia realtà.


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