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In Parlamento solito dibattito propagandistico su sanità, privatizzazioni, casi Ilva e Stellantis, abolendo perfino la crescita del Sud, ma il governo rischia in politica estera sull’ordine del giorno leghista, subito limato, che apre a posizioni filorusse sull’Ucraina in combutta con i grillini e su protagonismi di ritorno putiniani e trumpiani. Se la stabilità italiana cede sulla politica estera, diventa plastica la crisi di leadership europea che ha portato a un Patto così complicato da essere inattuabile. Si aggiungerebbe a recessione-crisi politica tedesca e debolezza francese. La sfida della Meloni si vince in Europa con alleanze giuste e cambiando, ma si costruisce in Italia evitando sbandamenti in politica estera.

Si è arrivati perfino a presentare un ordine del giorno firmato dal capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, non proprio un passante, per chiedere un cambio di strategia del governo Meloni sull’Ucraina. Un ordine del giorno pacifista di taglio putiniano sul quale si è subito buttato il movimento Cinque Stelle. Perché si annotava esplicitamente che il governo deve impegnarsi “nelle competenti sedi europee” per una “concreta e tempestiva iniziativa volta a sviluppare un percorso diplomatico, al fine di perseguire una rapida soluzione del conflitto”. È durato poche ore questo ordine del giorno e, alla luce del ritiro e della nuova stesura, la preventiva difesa di Romeo (“non cambia nulla”) segnala a maggior ragione un problema politico vero all’interno della maggioranza. È sparito il riferimento “al supporto delle azioni militari che la pubblica opinione non condivide”.

L’avvio di una azione diplomatica per una “rapida soluzione del conflitto” diventa l’invito, in un percorso diplomatico, a “persegui – re una soluzione del conflitto per giungere a una pace nel ripristino del diritto internazionale”. Tutta l’attenzione è concentrata sulla politica interna in uno stucchevole dibattito propagandistico che tocca invece temi serissimi come la sanità, le privatizzazioni e i casi Ilva e Stellantis e non risparmia neppure il question time della premier, Giorgia Meloni, in Parlamento, facendo perfino sparire la crescita del Sud. Paradossalmente, però, dove il governo rischia di più è proprio in politica estera se si dovessero aprire varchi che legittimano posizioni filorusse dentro la coalizione di maggioranza che si muovono in combutta con l’ala grillina.

Ancora di più se si pensa che siamo alla vigilia di elezioni americane sulle quali aleggia ormai fortissima l’ombra di Trump e, di certo, in un quadro geopolitico segnato da due guerre regionali diventate ormai globali e intrecciate tra di loro, un protagonismo di ritorno filoputiniano e filotrumpiano di componenti rilevanti dell’esecu – tivo Meloni indebolirebbe strategicamente la posizione dell’Italia in casa e in Europa. Perché non ci sarebbe più spazio per una politica di privatizzazioni di lungo termine come strumento di politica industriale o per affrontare sempre con la stessa logica le grandi questioni dell’auto e dell’acciaio, ma nemmeno per rendere conto che più di qualcosa si sta muovendo nella direzione giusta in un’economia del Mezzogiorno che è uscita dal Covid, per la prima volta da trent’anni in qua, facendo meglio del Nord in termini di crescita e di nuova occupazione a tempo indeterminato.

Che non significa affatto tutto ciò avere risolto il problema del divario, ma piuttosto contezza reale del buono che si è fatto per affrontare il molto dei problemi che si hanno ancora davanti con la consapevolezza che il nuovo Nord dell’Europa è il Sud italiano e senza questo nuovo motore energetico si ferma la manifattura europea. Il tema della politica estera e della serietà nella finanza pubblica, due binari stretti su cui il treno del governo Meloni non ha deragliato, è l’unico che può fare saltare tutto anche con un piccolo sbandamento per la delicatezza globale del quadro geopolitico e le difficoltà delle due tradizionali leadership europee che sono quelle tedesca e francese.

In Germania siamo a sette giorni di sciopero dei ferrovieri, una recessione conclamata, una coalizione di governo che non ha più la maggioranza nel Paese con estrema destra e estrema sinistra che volano nei sondaggi come non era mai successo prima. Se a un quadro politico tedesco di sovranismi di vario colore a doppia cifra e coalizione Giamaica ai minimi, si aggiungono le congratulazioni del vicepremier Salvini a Trump e gli sbandamenti putiniani degli ordini del giorno leghisti il problema europeo si ingigantisce. Anche perché la situazione francese non è tanto migliore unendo un tentativo di Macron di risollevarsi dalla medesima debolezza politica e un’economia che non è in recessione, ma non vive i suoi tempi migliori. Se la stabilità politica italiana che è percepita da tutti in Europa come un punto di forza entra in difficoltà proprio sulla politica estera, diventa addirittura plastica la crisi di leadership europea che ha portato a un nuovo patto di stabilità e crescita fuori dalla realtà storica che viviamo e complicato al punto tale da essere inattuabile.

È il frutto delle debolezze di leadership politiche nazionali che hanno pensato alle loro opinioni pubbliche e non all’interesse europeo. Si è arrivati a cumulare parametri nominali come il deficit/Pil con correzioni strutturali evitando criteri più semplici e omogenei come la spesa primaria che è al netto degli interessi ed è facilmente confrontabile tra un Paese e l’al – tro. Ci sono la confusione e la debolezza dell’Europa politica di oggi in questo nuovo Patto che ha annullato il buon lavoro fatto dalla Commissione per inseguire miopie elettorali nazionali. La grande sfida della Meloni si vince in Europa facendo le alleanze giuste e cambiando le cose, ma si costruisce in Italia evitando sbandamenti pericolosi in politica estera.


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