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Il cambio di paradigma voluto dal duo Meloni-Tajani è quello indicato da questo giornale in tempi non sospetti e si ritrova nello spirito del Piano Mattei con i suoi capitoli operativi. Perché alle parole seguano i fatti c’è, però, bisogno di volontà politica e capitali dell’Europa. Che diventi un player geopolitico, come gli Stati Uniti, e lavori per una governance e una architettura finanziaria che uniscano il Sud e il Nord del mondo. Da Banca mondiale e Fondo monetario logiche nuove sui debiti degli Stati. Con tre guerre in atto cambiare la governance globale, significa anche realizzare il partenariato alla pari con l’Africa e fare del Sud italiano la nuova locomotiva.

Siamo impressionati dell’identità di vedute tra Piano Mattei e la scelta storica del governo italiano di fare dell’Africa la priorità della sua presidenza di turno del G7 e la Carta di Napoli che ha raccolto principi fondanti e allegati operativi frutto del lavoro della prima edizione del Festival Euromediterraneo dell’economia (Feuromed) organizzato da questo giornale in collaborazione con Commissione e Parlamento europei. A partire da quello spirito non predatorio, che significa consapevolezza che è in gioco la crescita loro e nostra, e dalla strategia di investire sul capitale umano per costruire la nuova classe dirigente euromediterranea, su energia, infrastrutture, acqua e agricoltura facendo dell’Italia il grande hub mediterraneo dell’intera Europa e il ponte naturale tra il Continente più ricco di materie prime e più povero nel reddito e l’Europa stessa.

Per costruire una grande alleanza alla pari che metta in comune il patrimonio di intelligenze giovanili e permetta di affrontare insieme le sfide cruciali della vecchia e nuova economia in un contesto geopolitico complicato da tre guerre, Ucraina, Medio Oriente, Mar Rosso, intrecciate pericolosamente tra di loro. È merito di Giorgia Meloni avere avuto questa intuizione strategica e avere collocato questa Conferenza di Roma a livello di capi di stato e di governo. È merito del suo vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, avere sottolineato in ogni forma la presenza di tutti i vertici dell’Europa alla Conferenza di Roma. L’incrocio di questi due elementi attribuisce portata storica in sé all’evento che, ci permettiamo di aggiungere noi, potrà avere, però, benefici di lunga durata solo se diventerà a tutti gli effetti il grande progetto dell’Europa intera.

Solo se l’Europa intera e l’Africa avranno insieme la lungimiranza di vedere nel Sud italiano, per ragioni geografiche, storiche, di regolamentazione, di sicurezza e di industrializzazione, il primo dei Sud del mondo e, quindi, la naturale locomotiva dell’unica crescita possibile per spegnere la polveriera dei quattro mediterranei infuocati dalle guerre e per fare i conti della storia con l’asse Est Ovest che Putin ha fatto saltare invadendo l’Ucraina e scatenando la guerra mondiale delle materie prime. Tutto questo, però, nemmeno basta se l’Italia e, dietro di essa l’Europa, non si porranno il problema di essere soggetti attivi per togliere all’Africa il cappio del debito lanciando un appello per una moratoria del 50% del debito africano se è vero, come è vero, che l’Etiopia nel dicembre dell’anno scorso non è riuscita a pagare una cedola di 33 milioni di dollari del suo unico titolo di Stato internazionale e se sono già tre i default sovrani in questo continente così ricco e così povero allo stesso tempo in meno di ventiquattro mesi.

Il più grande e popoloso Paese africano, la Nigeria, spende il 90% delle sue entrate fiscali per pagare gli interessi del suo debito e non può fare spesa sociale. Capirete bene, a questo punto, perché abbiamo lanciato questo appello nel giornale di ieri e, forse, sarà anche più facile capire le parole di Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, che ha voluto iniziare il suo intervento di ieri a Roma ricordando a tutti il pesante fardello del debito, l’instabilità politica e il deficit di finanziamento adeguato con cui loro si misurano ogni giorno con enormi difficoltà.

Per la verità, è andato anche molto oltre perché ha detto chiaro e tondo che sul Piano Mattei “avremmo preferito essere consultati prima” e che è ora di passare dalle parole ai fatti perché non bastano più le promesse quando si ha la matematica certezza di non poterle mantenere. Non siamo qui, è la sostanza del ragionamento di Moussa Faki Mahamat, per tendere la mano e chiedere aiuto, ma per perorare un cambio di paradigma per un mondo più giusto e coerente dove servono condivisione e amicizia. Questo cambio di paradigma è quello per il quale questo giornale è impegnato da tempi non sospetti e dal quale è nato Feuromed. Questo cambio di paradigma è, soprattutto, ciò da cui è partita l’intuizione strategica di Giorgia Meloni del Piano Mattei che appartiene alla grande politica.

Può diventare realtà non solo se coinvolgerà, come è giusto, l’intero sistema Italia a partire dalle aziende delle infrastrutture energetiche, ma se avrà dietro l’Europa con la volontà politica di impegnarsi su questi territori, che significa perseguire anche una nuova governance mondiale, e soprattutto se vorrà metterci i capitali che servono. Perché con i 5,5 miliardi di euro di dotazione italiana del Piano Mattei non si va molto avanti quando la Banca mondiale stima in 3 trilioni di dollari i fondi necessari per sostenere la sola transizione energetica dei 54 Paesi africani. C’è bisogno di un’Europa che diventi un player geopolitico globale alla pari con gli Stati Uniti se si vuole affrontare, sia pure con enorme ritardo, il problema di una nuova governance del mondo e di una nuova architettura finanziaria che si misurino con il nuovo Sud e il nuovo Nord.

Servono una nuova Banca mondiale e un nuovo fondo monetario con teste e braccia che operino in modo diametralmente diverso sui debiti degli Stati. Lo chiedeva Ciampi quando di guerre all’orizzonte non se ne vedevano proprio, figuriamoci ora che tutto è cambiato. Occuparsi seriamente della nuova governance globale e, soprattutto, attuarla, significa fare non a chiacchiere il partenariato alla pari con l’Africa.


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