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Il Vecchio Continente non sia solo un mercato di consumatori terreno di scorribande tra Cina e Stati Uniti. Dai pannelli solari all’auto la partita è l’esistenza in vita. L’Europa non capisce gli effetti distorsivi causati dalla finanza di Stato cinese e ne paga il conto, mentre l’America di Biden fa quello che deve fare. La rivoluzione del Pnrr, l’ambizione del Piano Mattei, l’Etna Valley sono il segno di un cambiamento avviato in casa iniziando dal nostro Sud. Ora, però, la premier italiana assuma la leadership politica del cambio di strada in Europa contro la concorrenza sleale cinese. Guardate che cosa c’è dietro questa sfida di Catania. Un simbolo del lavoro fatto per affrontare il problema industriale europeo e smetterla di girarsi dall’altra parte. Burocrati e politici insieme.

Da Catania arriva il messaggio della prima azienda italiana, l’Enel guidata da Flavio Cattaneo, che scommette sull’energia del futuro, con i suoi pannelli bifacciali che producono energia dal sole e di rimbalzo dalla terra, assume mille dipendenti, e prosegue un lavoro ricevuto in eredità nonostante un mercato di prezzi globali e un contesto geopolitico di concorrenza sleale cinese completamente cambiati in senso avverso. Questa scelta, esattamente come quella di non mollare sul rigassificatore di Porto Empedocle che è decisivo perché il Sud italiano diventi il grande hub energetico mediterraneo dell’Europa, fa onore al nuovo management dell’Enel.

Si combina con gli indirizzi strategici del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che mette 200 milioni su 1 miliardo di investimenti fatto tutto dall’azienda. Soprattutto, però, pone un tema cruciale di politica industriale europea da cambiare perché il Vecchio Continente non diventi solo un mercato di consumatori, a sua volta terra di scorribande tra Cina e Stati Uniti. Perché se l’Europa continua a dare incentivi per la transizione energetica a tutti, compreso il pannello solare cinese che fa dumping sui prezzi perché interamente sussidiato dal loro Stato, tu Europa stai lavorando e cacci soldi di tutti i cittadini europei per favorire l’industria cinese a discapito di quella europea. Che non vuol dire chiedere di proteggere la tua industria con aiuti assistenziali, per carità, ma di tutelarla dalla concorrenza sleale assistenziale che viene proprio dalla Cina. Se gli Stati Uniti di Biden, non di Trump, studiano di aumentare il blocco con i dazi, perché l’Europa non dovrebbe fare altrettanto?

Ci rendiamo conto che un discorso analogo vale per l’auto dove i prezzi al consumatore, frutto di questa evidentissima catena di distorsioni, sono ovviamente nettamente a favore delle auto cinesi e questo, oltre ad essere sganciato da ogni regola di libero mercato, mette fuori gioco pezzi pregiati dell’automotive italiano, della componentistica, dai freni alle gomme, il cuore industriale dell’Italia? Siamo di fronte a una competizione tra Continenti e, come ha più volte sottolineato prima di tutti Mario Draghi, il rischio reale è quello che l’Europa diventi solo un grande mercato unico di consumatori segnando il suo definitivo declino come player globale. Siamo arrivati, dunque, al punto finale di una grande partita che si gioca tutta in Europa e che coincide con la dimostrazione della sua esistenza in vita. Questa partita si gioca in un’Europa dove c’è una burocrazia europea che non capisce gli effetti distorsivi causati da uno Stato cinese che attraverso la finanza pubblica crea in modo costitutivo la distorsione e l’Europa tutta, chi prima chi dopo, ne paga il conto.

Lo paga solo l’Europa perché, a differenza nostra, l’America ha capito la lezione e si è regolata di conseguenza. In casa nostra il ministro dell’industria francese ha piena percezione del problema, quello tedesco un po’ meno, ma soprattutto i risultati dell’economia in casa sua, dovrebbero aiutarlo a capire che in questo modo tutta l’industria europea marcia verso la rovina. Abbiamo già distrutto il mercato della comunicazione dove una volta l’industria europea, dalle antenne agli apparecchi più sofisticati, dettava legge, mentre ora è quasi tutto in mani cinesi e americane. Vogliamo continuare così? Ci rendiamo conto sull’orlo di quale abisso stiamo ballando?

Giorgia Meloni ha fatto benissimo ad essere ieri a Catania perché la politica vive di gesti e sta facendo bene sia con la revisione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza sia con la sfida del Piano Mattei che sono due facce della stessa grande sfida europea in un contesto geopolitico ribaltato in cui il Sud italiano è il domani e un rapporto alla pari non predatorio con l’Africa diventa decisivo. Si vede finalmente, grazie all’intuizione politica della premier e al lavoro di Fitto, i segni di un risultato rilevante che fa di tutto il Mezzogiorno una zona economica speciale, assicura una regia centrale che blocchi la fabbrica regionale dello spreco dei fondi di Coesione e sviluppo, lancia da Catania con l’Etna Valley la sfida dell’innovazione che si coniuga con quella del Sud italiano come grande hub energetico mediterraneo dell’Europa. Passa di qui il progetto di lungo termine di un Mezzogiorno italiano che crea lavoro e non vive più di sussidi.

Ora, però, Giorgia Meloni deve lanciare una nuova sfida politica dentro l’Unione europea per fare capire a tutti i Paesi, che scontano carenze di leadership politiche, che serve una nuova politica industriale europea e che tutti si muovono in questa direzione perché l’interesse strategico è comune e l’alternativa è la rovina di tutti e la fine dell’Europa. Non solo le imprese italiane, la scelta dell’Enel di proseguire anche se in perdita parla da sola, ma tutte le imprese europee seguirebbero con determinazione perché la partita che si sta giocando attraverso la transizione energetica, che pesa sul bilancio pubblico e si confronta con mercati sussidiati, è quella che vede sul campo l’Europa contro la Cina che è un concorrente commerciale che gioca con le carte truccate.

Di fronte a una sproporzione così evidente di sovvenzioni pubbliche e addirittura a un ruolo dell’Europa a favore dei sovvenzionati extraeuropei non potremo che diventare un continente di consumatori e di finanza. Se una politica industriale che riconosca il ruolo prioritario del Sud nel mondo di oggi è un fatto nazionale, è evidente che il rischio capitale che oggi corre l’Europa è quello di diventare tutta intera il Sud del mondo che è rappresentato da un Paese solo di consumatori da 400 milioni di persone. La premier italiana è quella che può assumere questa leadership politica e fare capire all’Europa il cambio di strada da intraprendere con assoluta velocità. Se avrà il coraggio di prendere questa iniziativa in modo pubblico e trasparente avrà gli europei a favore e qualche ministro che storce il naso, ma di sicuro tutta l’industria europea si sentirà coinvolta in questa campagna comune contro la concorrenza sleale cinese.

Anche le autorità antitrust che vanno sempre addosso solo alle imprese europee dovrebbero porsi il problema che se il cittadino spende oggi di meno per un dumping sussidiato dallo Stato cinese e non regolato, possiamo anche continuare a punire le imprese europee, ma domani quando queste imprese spariranno dal mercato il monopolista sussidiato egemone non potrà che alzare i prezzi. Guardate quante cose ci sono dietro questa sfida di Catania. Ci piace vederla come il simbolo per affrontare il grande problema industriale europeo e smetterla di girarsi dall’altra parte. Burocrati e politici insieme.


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