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Il ministro per il Pnrr Raffaele Fitto

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Sono stati spesi 45,6 dei 101 miliardi ricevuti e siamo il primo Paese come soggetto nazionale attuatore del programma europeo. La spesa effettiva già erogata è superiore perché molti enti locali hanno difficoltà a rendicontare alla banca dati Regis. Il totale delle opere è ora cantierabile e il nuovo credito di imposta con i contratti di filiera spinge sull’acceleratore del Pil che viaggia almeno all’1%. Il super credito di imposta legato alla Zes unica del Sud convoglia qui il massimo di investimenti nazionali e internazionali. C’è un solo problema: l’effetto spiazzamento. Che vuol dire mancanza di manodopera

ABBIAMO scritto prima di tutti che nel Pil 2024 ci sarebbe stata la sorpresa positiva del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr). Che non vuol dire più progetti e parole, ma spesa effettiva, sostegno concreto alle imprese, cantieri aperti, nuova centralità del Mezzogiorno, maggiore prodotto interno lordo, attrazione di capitali nazionali e internazionali nel nuovo Nord dell’Europa che è il Sud italiano. Abbiamo sottolineato, anche qui in assoluta solitudine, che la crescita a dicembre delle costruzioni (+4,4%) segnalata dall’Istat era spiegata dal rapporto Pmi di S&P Global con dati raccolti tra l’11 e il 31 gennaio dove tutte le aziende edili interpellate hanno legato il loro aumento di attività all’entrata in esecuzione dei contratti associati al Pnrr. Abbiamo dovuto constatare che financo il rapporto della Commissione europea sull’attuazione del Pnrr che colloca l’Italia al primo posto in Europa, seguita dalla Spagna e Croazia, non era degno di essere menzionato nella generalità dell’informazione italiana. Abbiamo dovuto altresì constatare che per la medesima informazione sono pari a carta straccia, degne cioè di essere relegate in qualche flash di agenzia o poco più, perfino le parole del commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, ex premier e ministro degli Esteri del Pd, che sono le seguenti: l’Italia sta sfruttando enormemente l’occasione e i Paesi che hanno ricevuto, in termini di rapporto con il Pil, più risorse del Recovery Fund, cioè i Paesi del Sud e dell’Est, crescono più degli altri, mentre i Paesi del Nord e dell’Europa centrale crescono meno.

Nella giornata di ieri con la relazione semestrale sigillata da Bruxelles abbiamo la certezza matematica che su 101 miliardi ricevuti ne sono stati erogati 45,6 di cui 2,6 sono spesa effettivamente avvenuta, ma su progetti esclusi dal Pnrr perché tirati fuori alla rinfusa dai cassetti degli enti locali e, dunque, non coerenti con il nuovo programma europeo per cui continueranno ad essere finanziati a parte.

Detto questo, però, alcuni punti fermi vanno rilevati per la loro forza oggettiva e per quello che possono determinare nella crescita effettiva del Pil italiano 2024 portandola almeno all’1%. Il primo è che la revisione del Piano e la riorganizzazione operativa ostinatamente volute da Fitto sono un successo oggettivo riconosciuto dalle istituzioni europee e di cui tutte le istituzioni territoriali italiane, anche quelle guidate da conduzioni personalistiche nel Mezzogiorno che mettono l’interesse personalistico davanti a quello delle imprese e dei cittadini delle loro Regioni, devono velocemente prendere atto. Il secondo deriva dal fatto che essendo la totalità delle opere del Piano uscita indenne dalle fasi della progettazione, dei bandi di gara e dell’aggiudicazione dei lavori, avremo di certo quest’anno e l’anno prossimo una fortissima accelerazione della spesa effettiva che non potrà non contribuire in modo sostanzioso alla consueta revisione dell’Istat sulle previsioni di Pil che a marzo sono prudentissime e in autunno lievitano magari di un punto e forse più.

Siamo diventati i nuovi tedeschi mentre i tedeschi sono diventati i nuovi italiani. Perché prima eravamo noi a sparare previsioni di supercrescita e poi a tagliare bruscamente i numeri alla prova dei fatti. Ora a fare così sono loro e non più noi. Il terzo punto fermo è che nei 46 miliardi di spesa a oggi documentata manca molta spesa già effettivamente avvenuta perché i migliori soggetti attuatori del Pnrr si sono rivelati i Comuni e molti di essi hanno difficoltà di risorse da impiegare per rendicontare ciò che hanno già fatto e caricarlo sulla banca dati Regis. Quindi, per capirci, l’effetto sul Pil c’è già stato anche se non c’è ancora traccia di rivelazione statistica, diciamo che si scoprirà tutto dopo. Il quarto punto fermo è che proprio grazie alla revisione del Pnrr, attuata attraverso lo strumento del Repower Eu, c’è una filiera di nuovi incentivi fiscali di transizione 5.0 e di filiera che andranno sicuramente a ruba in brevissimo tempo e contribuiranno in modo significativo all’aumento della spesa e del Pil italiano in termini quantitativi e qualitativi.

Il quinto punto fermo, che per noi è infinitamente il più importante di tutti, è che grazie alla scelta storica di fare del Mezzogiorno italiano una sola grande zona economica speciale (Zes) e grazie alla Commissione europea che la ha per la prima volta avallata per l’intero territorio meridionale, è evidente che il credito di imposta per chi opera in questa area del Paese è infinitamente superiore agli altri pur rilevanti incentivi fiscali e non potrà non determinate la corsa delle imprese del Nord già presenti al Sud a concentrare qui i loro investimenti e abbiamo notizie che molte imprese tedesche hanno già deciso di programmare nelle regioni meridionali italiane una parte rilevante dei loro interventi di espansione già programmati. Siamo molto vicini a quella idea forte che questo giornale rivendica del Mezzogiorno italiano come primo Sud dei Sud del mondo e nuovo Eldorado degli investimenti globali. Si sono poste le premesse giuste per cogliere questo risultato straordinario che serve più all’Europa e all’Italia che allo stesso Sud. Perché il grande hub energetico del Mediterraneo a sostegno della manifattura europea o si fa qui o non si fa da nessuna parte. Perché sempre qui, non altrove, ci sono un capitale di innovazione e di primati europei, a partire dall’intelligenza artificiale, e soprattutto un sistema industriale che vale da solo come l’ottava manifattura europea. Perché sempre qui, non altrove, c’è l’unico Nord possibile del nuovo mondo più sicuro e regolamentato visto che è pienamente integrato nelle regole europee e si trova a doversi fare carico della intera economia europea per ragioni geografiche e storiche determinate dal nuovo contesto geopolitico.

Per quanto potrà apparire paradossale e nessuno ve ne parlerà, su questa crescita sana e robusta, che può proseguire nel solco degli ultimi tre anni che ci pongono in testa all’Europa, non in coda, come avveniva nei trent’anni passati, c’è un solo, vero, grande problema. Si chiama effetto spiazzamento. Che è il tipico fenomeno di quando ti trovi di fronte a una quantità di risorse impressionanti pronte ad essere spese perché non hanno più problemi né di rendicontazione, né di autorizzazioni, né di controlli e scopri di non avere mano d’opera sufficiente e specializzazioni all’altezza disponibili. Questo è il vero problema di cui occuparsi da oggi a tempo pieno.


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