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Antonio Tajani eletto segtretario di Forza Italia ieri al congresso

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Esprime un caposaldo solido del popolarismo europeo che spazia dalla consapevolezza dell’urgenza di una difesa comune come di una politica industriale priva di ideologismi. Il frutto politico maturo di un credito internazionale e di un’esperienza sul campo riconosciuti che aiutano la premier a contare in Europa e danno forza all’Italia che bandisce derive demagogiche e sovraniste. Mette insieme la sfida del nuovo Mezzogiorno e della nuova Africa con quella del talento giovanile da valorizzare in casa.

AL NETTO delle emozioni personali e dei riferimenti espliciti al Maradona della politica, Silvio Berlusconi, che ne esemplifica per lui il peso di un’eredità così ingombrante da potere essere accettata solo con un gioco di squadra che coinvolge tutti, dai big ai quadri, dagli amministratori del territorio ai militanti, Antonio Tajani ha dimostrato in questa due giorni del congresso di Forza Italia di essere per il Paese un caposaldo solido del migliore popolarismo europeo che spazia dalla consapevolezza di una difesa comune a quella di una politica industriale priva di ideologismi. Costituiscono insieme il frutto maturo di un credito internazionale e di un’esperienza sul campo riconosciuti da tutti.

Si è fatto interprete della storia politica di un partito che ha avuto il premier che ha governato più a lungo questo Paese, ma è sembrato non esistere mai perché era un unicum assoluto espressione di un uomo che ha costruito un impero partendo da zero che nel capitalismo delle grandi famiglie italiane in fuga è l’eccezione che dice oggi la sua alla grande e di un uomo (lo stesso) che sulle ceneri della Prima Repubblica e del ciclone Mani Pulite si è inventato anche qui da zero una sua nuova creatura politica e la ha portata alla vittoria al primo tentativo. Parlare di Berlusconi impone una complessità di argomenti che hanno segnato anche la storia giudiziaria di questo Paese, che hanno aperto, chiuso e riaperto parentesi controverse che a volte sembrano sopravvivere perfino alla sua morte, ma nulla può scalfire la forza di una presenza che nell’azione di governo come nella specifica gestione dell’economia e dell’industria della comunicazione e, soprattutto in politica estera, alternando iniziative storiche come Pratica di Mare a un tema reputazionale che ha scalfito senza mai abbattere il peso della sua presenza, ha di certo costruito un pezzo significativo della storia di questo Paese dalla Seconda Repubblica fino a oggi.

Partendo da qui e dal famoso quid che non si trovava mai in nessuno per succedere politicamente a Berlusconi in vita, Tajani sembra avere trovato la chiave perché quella storia personale diventi una storia comune e candidi Forza Italia a bandiera di una sintesi europeista e atlantista che affonda le sue radici nel patrimonio dei Fondatori che furono De Gasperi, Schuman e Adenauer, tre uomini di confine certo, ma uno italiano, uno francese, uno tedesco. L’esperienza ventennale alla guida delle istituzioni europee con consenso sempre crescente come presidente del Parlamento europeo e, molto più a lungo, come vicepresidente e commissario europeo in postazioni sempre strategiche, fanno di Tajani la carta internazionale dell’intero centrodestra, ancora prima di quella di Forza Italia che, però, proprio per il bagaglio di conoscenze e esperienze accumulato negli anni a livello personale dal suo leader, vede elevata la propria storia politica a un rango di motore del popolarismo europeo che salda le esperienze tedesche e italiane e ha in Weber come nella von der Leyen e nella Metsola alleati forti di un programma che non ammette sbandamenti sovranisti e che può condurre l’Europa a recuperare il ruolo che le appartiene, ma ha perso da troppo tempo, di player globale alla pari con Stati Uniti e Cina.

Questa visione che le guerre in Ucraina e in Medio Oriente rendono obbligatoria ha oggi nel nostro Paese in Tajani e in Forza Italia un punto di riferimento certo che parla al Nord come al Sud del Paese, che vede nel Mezzogiorno italiano la frontiera della nuova Europa con la sua Silicon Valley e il suo grande hub energetico del Mediterraneo, che sa dialogare e investire alla pari con l’Africa. Che bandisce il linguaggio della demagogia e costruisce sulle cose da fare la grande politica estera, preservando la solidità storica delle alleanze europeiste e atlantiste, e la grande politica interna. A partire da quel garantismo che si muove dal riconoscimento della sacralità dell’indipendenza della magistratura giudicante, che è sana e a cui dobbiamo essere grati nella sua stragrande maggioranza, ma che non può continuare a chiudere gli occhi di fronte agli orrori della magistratura inquirente politicizzata che fabbrica mostri e allontana gli investimenti nazionali e internazionali. Forse oggi, senza il peso sulle spalle del groviglio berlusconiano con interessi personali e tifoserie assetate di sangue, sarà più facile agire sui principi violati da ricostituire e sulle ragioni di merito e di diritto che vanno ripristinate per fare dell’Italia un Paese normale dove i nostri talenti scelgono di restare perché guadagnano di più e possono esprimere meglio che altrove il loro talento.

Questa è la grande questione del lavoro futuro ed è quella su cui il partito che si presenta al giudizio degli elettori come la casa dei moderati sarà giudicato. Sui sogni, anche berlusconiani, di pagare meno tasse, pesa l’ipoteca di una rocciosa realtà di debito pubblico e serve tempo, meglio dire le cose come stanno e non indulgere troppo al banchetto delle illusioni.


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