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Giancarlo Giorgetti, ministro per l'Economia e la Finanza

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Non avendolo per cercare un accordo con le opposizioni e non avendo le opposizioni la lungimiranza per proporlo, invece di negoziare in Europa la diluizione degli oneri da bonus edilizi su scadenze lunghe per ridurre il debito/Pil dal 2024, tagliare la spesa degli interessi e spingere la crescita, scegliamo di fare il compitino per un nuovo Patto fuori dalla storia che ci obbliga a portare il debito/Pil del 2024 al 137,8% e a farlo salire per tre anni fino al 139,8%. Si consegna così la crescita italiana nelle mani di un negoziato appeso all’Europa che minaccia di ripartire dalle vecchie procedure del solito mercato di autunno.

QUESTO documento di economia e finanza (Def) asciutto all’inverosimile di numeri e parole prova a chiudere in termini contabili la stagione del superbonus e lascia irrisolta la scelta del cammino da intraprendere per ripartire. Resta la difficoltà oggettiva di trovare spazi di agibilità fiscale per tornare a fare politica economica crogiolandosi dietro la polemica elettorale di un Paese paralizzato per colpa di una norma del passato che crea debito e sulla quale nessuno ha il coraggio di aprire un dibattito serio anche con tutte le opposizioni per allentarne la presa e negoziare in Europa un piano quindicinale di rimborsi con tanto di tetti per le cessioni di crediti di seconda, terza e quarta mano.

La resilienza dell’economia italiana è un dato oggettivo. È la prima crescita europea dal post Covid a oggi. Siamo anche il Paese tra i grandi che ha fatto meno debito pubblico nuovo negli anni seguenti alla pandemia e quello che ha avuto la maggiore discesa di debito/Pil, oltre 17 punti, nello stesso periodo. È ovvio che gli elementi di rimbalzo dopo la chiusura dell’economia del mondo si sono del tutto esauriti. C’è bisogno di consolidare la ripresa effettiva a tassi da record delle nostre imprese esportatrici del Nord come del Sud, il primato del turismo e dei servizi, il processo di riunificazione tra le due Italie che è finalmente ripartito sul piano dell’occupazione, della manifattura e del dinamismo dei servizi.

C’è, soprattutto, bisogno in Italia come in Europa ancora di una forte spinta dalla mano pubblica per sostenere l’economia in un contesto geopolitico segnato da tre guerre intrecciate tra di loro e tutte, direttamente e indirettamente, con ricadute sul nostro Paese. Serve in Europa, e suo tramite in Italia, ancora più che negli Stati Uniti, un Inflation Reduction Act (IRA) tipo quello americano e investimenti massicci nelle transizioni ecologiche e digitali sempre con fondi pubblici capaci a loro volta di mobilitare investimenti privati. In Italia ormai da mesi si parla solo di Superbonus come riflesso di un problema reale importante e, ancora prima, di una speculazione politica con evidenti intenti elettorali senza prendersi nessuna cura dei danni che l’economia del Paese subisce e le conseguenze che ne scaturiscono per le generazioni future. Senza che nessuno abbia neppure l’onestà intellettuale di dire che a febbraio dell’anno scorso con questo esecutivo è stato varato un decreto che avrebbe dovuto chiudere le cataratte, ma che nel 2023 con superbonus e affini il conto è stato ancora più salato del 2022 perché si è fatto un decreto zeppo di deroghe che ha riaperto le cataratte.

Morale: non avendo il coraggio di cercare un accordo con le opposizioni e non avendo le opposizioni la lungimiranza per proporlo, invece di andare a negoziare in Europa qualcosa che ci permetta di diluire gli oneri su scadenze lunghe riducendo il rapporto debito/Pil dal 2024, diminuendo la spesa per interessi e spingendo la crescita, abbiamo scelto di fare il compitino presuntamente richiesto dall’Europa scegliendo la strada di politiche condivise che portano il debito/Pil del 2024 al 137,8% che sale per tre anni fino al 139,8% e si mette il problema della crescita italiana nelle mani di un negoziato tutto appeso all’Europa che minaccia di ripartire dalle vecchie procedure del solito mercato di autunno. Poiché in quei numeri il debito sale negli anni su un piano fiscale strutturale, ci sarà bisogno di un negoziato con la Commissione che porti a chiudere un occhio sul debito concentrandosi sul deficit strutturale.

Il nuovo patto europeo inizia dalle vecchie procedure del vecchio mercato d’autunno, come abbiamo già detto, ma a nostro avviso cadrà come cartapesta alla prima prova con la realtà della anemica crescita tedesca e francese mentre noi come Italia se non avessimo avuto la gran crescita che abbiamo avuto saremmo ancora al 145% del debito/Pil. Voglio dire che abbiamo tutte le carte in regola per spalmare il conto dei bonus e continuare a fare crescita su crescita confermandoci con Spagna e Portogallo la nuova locomotiva europea. Serve un po’ di coraggio, proprio quello che al momento sembra mancare.


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