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Il presidente del Senegal e dell'Unione africana, Macky Sall, a colloquio con Vladimir Putin

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Sull’emergenza grano scendono in campo i Paesi africani più direttamente penalizzati dalla carenza dei cereali e dei fertilizzanti e dai prezzi stellari che aggravano la situazione di insicurezza alimentare mondiale. Mentre proseguono gli sbarchi di migranti sulle coste italiane, si lavora sodo su tutti i fronti per tentare di arginare la grave crisi alimentare che i 100 giorni di guerra stanno rendendo insostenibile per i territori più provati e che potrebbe avere effetti devastanti anche per l’Italia.

Si fugge dalle guerre ma anche dalla fame, che è di fatto un’altra forma di guerra. Tanti i tentativi che si susseguono, come i bombardamenti, per sbloccare i carichi di grano ucraini al palo nei porti minati del Mar Nero. «Ogni sforzo per sbloccare export del grano dall’Ucraina – ha ribadito il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, con un tweet – lavoriamo a soluzione».

RINCARI STELLARI

L’Africa è la più esposta ai rischi di calamità e carestie, secondo la denuncia di tutte le organizzazioni governative, in primis l’Onu. E ieri è arrivato in Russia il capo di Stato del Senegal e presidente dell’Unione Africana, Macky Sall, per affrontare con Vladimir Putin una serie di questioni, prima tra tutte il via libera all’export di grano.

L’8 giugno dovrebbe essere in programma un altro appuntamento importante: la visita in Turchia del ministro degli Esteri della Russia, Sergej Lavrov, anche questa finalizzata a risolvere la faccenda dei cereali. D’altra parte non ci sono alternative: o si esce dalla fase di stallo o sarà la catastrofe. Ieri la Fao ha aggiornato l’indice dei prezzi mondiali delle principali commodity. E il quadro resta segnato da pesanti rincari. Anche se si rileva una lieve flessione rispetto al mese di aprile (ma non per il grano che continua a crescere del 2,2%), su maggio 2021 l’indice generale si è impennato di quasi il 23%.

I prezzi internazionali del grano, secondo il report della Fao, in media sono solo dell’11% al di sotto del record raggiunto nel marzo 2008. A provocare l’ennesimo segno più, oltre al divieto di export dell’India e alle preoccupazioni per le condizioni dei raccolti in diversi principali Paesi esportatori, le ridotte prospettive di produzione in Ucraina.

Ma sono saliti anche i prezzi del riso, mentre quelli dell’olio vegetale, pur essendo scesi se paragonati ai livelli di aprile, restano nettamente più elevati sul 2021. «Le restrizioni alle esportazioni creano incertezza del mercato – dice il capo economista della Fao, Máximo Torero Cullen – e possono provocare picchi di prezzo e una maggiore volatilità». Un massimo storico dell’indice Fao è stato raggiunto dalle quotazioni della carne al traino di quella di pollame, che riflette anche le continue interruzioni della catena di approvvigionamento in Ucraina.

SPECULAZIONE MONDIALE

La Coldiretti, in base ai dati Fao, ha segnalato il trend preoccupante dei cereali, cresciuti del 29,7%, del latte e dei formaggi (+16,9%), dello zucchero (+12,6%), della carne (+13,6%) e dei grassi vegetali con il boom del 31% anche per il crollo delle spedizioni di semi di girasole dall’Ucraina, che è un grande Paese esportatore, e per la decisione dell’Indonesia di sospendere le esportazioni di olio di palma, di cui il Paese e il primo produttore mondiale.

Se l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari durerà fino al 2024, come previsto da S&P Global Ratings nel rapporto “The Global Food Shock Will Last Years, Not Months”, le persone colpite da grave insicurezza alimentare nel mondo sono destinate a salire oltre i 200 milioni.

A rischiare di più sono 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. E tra i più fragili ci sono le popolazioni del Nord Africa e dell’area subsahariana. I prezzi di mais e grano hanno raggiunto infatti i livelli toccati negli anni delle rivolte del pane.

La guerra coinvolge gli scambi di oltre un quarto del grano mondiale con l’Ucraina che insieme alla Russia controlla quasi il 30% degli scambi internazionali con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16% del commercio di mais (30 milioni di tonnellate) e il 65% di olio di girasole (10 milioni di tonnellate). A soffiare sui prezzi c’è però anche la speculazione, la stessa che sta infiammando nuovamente la benzina, con un prezzo medio che si è attestato ieri su 1,952 euro al litro al self service (ma il servito supera i 2 euro), mentre il diesel è arrivato a 1,864 euro. E l’intreccio pericoloso tra listini dei carburanti e alimentari potrebbe provocare ulteriori rialzi sui beni di prima necessità, dal pane alla pasta.

La speculazione – ha ribadito Coldiretti – si sposta infatti dai mercati finanziari a quelli delle materie prime agricole, dove i prezzi non li fanno i mercati, ma i movimenti finanziari. Insomma, il conflitto ha sparigliato tutte le carte dei sistemi alimentari mondiali, ma ha soprattutto messo in luce le strette connessioni tra le aree più lontane del pianeta.

E se era abbastanza chiara la situazione di dipendenza dell’Europa per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici, sul cibo è stata quasi una scoperta. Anche se scontata, tenuto conto dell’orientamento dei Paesi sviluppati a ridurre gradualmente l’attività agricola negli ultimi decenni. La questione ambientale, anche nell’Unione europea, negli ultimi anni, ha preso il sopravvento e infatti una quota considerevole di ettari, oltre 4 milioni, era stata messa a riposo.

INVESTIMENTI E SICCITÀ

Con la guerra il quadro è cambiato e si è sbloccato il vincolo. L’Italia dispone di 200mila ettari. Ma ci sono le reali condizioni per sfruttare questa nuova miniera? «Bisogna invertire la tendenza – ha detto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – e investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei». Intanto, però, bisogna risollevare le imprese finite nel vortice di una profonda crisi finanziaria. Senza risorse, infatti, sarà impossibile investire nelle nuove tecnologie, come le Nbt, necessarie per rafforzare le piante e metterle in condizioni di affrontare i guasti creati dai cambiamenti climatici.

Uno dei quali è la mancanza di acqua. Anche se è scattato l’allerta meteo e temporali al Nord, il problema è cronico e strutturale. La pioggia, in genere, secondo un copione ormai consolidato, se arriva colpisce violentemente e dunque porta più danni che ristori, ma soprattutto non si riesce a trattenere l’acqua. L’ultimo Osservatorio delle risorse idriche dell’Anbi ha decretato che in regioni come il Lazio si rischia il razionamento anche per la potabile.

Il presidente dell’Associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque, Francesco Vincenzi, sollecita interventi d’emergenza. Bisogna subito avviare – aggiunge il direttore generale dell’Anbi, Massimo Gargano – gli interventi infrastrutturali già finanziati e in avanzato iter procedurale, capaci di aumentare la resilienza dei territori, ma sono necessari anche – sottolinea – decisioni politiche per avviare nuove opere finalizzate ad aumentare le riserve d’acqua in un Paese dove crescono segnali allarmanti sul piano idrico.

Secondo la mappa dell’Anbi la situazione è grave per tutti i fiumi toscani, piove troppo poco in Abruzzo dove si sono toccati deficit superiori al 90%, giù i volumi idrici nelle Marche. Dal Centro al Sud cambia poco. In Campania il fiume Garigliano rimane sui livelli più bassi degli ultimi anni, così come i bacini del Cilento. In vistosa decrescita anche i volumi trattenuti negli invasi della Basilicata e della Puglia, con cali rispettivamente di oltre 7 milioni e quasi 8 milioni di metri cubi. Sos in Calabria per quanto riguarda la diga S. Anna di Isola Capo Rizzuto che trattiene 5,98 milioni di metri cubi contro una media di 11,23 negli scorsi 6 anni. Poca acqua, infine, in Sardegna dove le temperature puntano sui 40 gradi.


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