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I leader del G20 nei pressi della Fontana di Trevi

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Lotta alle multinazionali che non pagano le tasse, lotta alle diseguaglianze, lotta al riscaldamento globale, lotta al Covid… Il menù del G20 era ricco, ma quel che è stato servito era ‘ottimo e abbondante’, come il rancio dei soldati? I risultati sono stati interlocutori, anche se i comunicati, come al solito, sono incoraggianti.

Sulle tasse alle multinazionali è stato fatto un grosso passo in avanti, ratificando al massimo livello quel che si era già concordato a Londra (ma, come al solito, tutto dipende poi dall’applicazione: ‘il diavolo sta nei dettagli’).

Sull’ambiente, tutto è rimandato all’incontro in corso a Glasgow, ma è difficile pensare che, con Cina, Russia, India e Australia poco convinti, sia possibile pensare a impegni vincolanti. Quello che incoraggia sta a livelli più bassi di quelli dei grandi della Terra: la consapevolezza del pericolo che corre il pianeta (ne abbiamo uno solo!) si sta diffondendo e la pressione dal basso si farà più forte e più diffusa, e questa pressione forse otterrà quel che le stanze ovattate dei grandi consessi non riescono a ottenere.

Per quanto riguarda la lotta al Covid, questa procede, e le risalite dei contagi, specie in Europa, erano state messe in conto dall’allentamento delle restrizioni. Il rischio calcolato (in qualche caso calcolato male, come nel Regno Unito) scontava una ripresa dei nuovi casi che sarebbe stata poi contenuta e invertita dall’incedere inesorabile delle vaccinazioni. I vaccini, intanto, fanno sì che i nuovi contagi siano meno letali e richiedano meno ospedalizzazioni rispetto al passato. Il grande interrogativo sta nei Paesi poveri, dove le vaccinazioni sono basse. E qui la comunità internazionale è bene intenzionata a istradare massicci aiuti, in un atto di intelligente altruismo che ridonda a beneficio dei Paesi ricchi (non saremo al sicuro se tutti non saranno al sicuro).

Il filo rosso che lega tutte queste lotte è l’andamento delle economie. Se la ripresa continua, tutto sarà più facile. Altrimenti, le tensioni andranno a strappare il fragile tessuto degli accordi. Per questo è importante capire come sta andando l’economia, in questa coda dell’anomala crisi da pandemia.

Partiamo dalla principale locomotiva dell’economia mondiale, la Cina. Qui gli ultimi dati segnalano un netto rallentamento, dovuto a diverse ragioni: da un lato, l’inasprimento delle restrizioni in presa diretta con la politica di ‘Covid-zero’ perseguita dalle autorità (se questa politica sia corretta è un’altra questione).

Dall’altro lato, l’incertezza iniettata nell’economia dalle crociate del Presidente Xi contro indebiti arricchimenti e strapotere delle grandi società tecnologiche cinesi. La ‘common prosperity’ che Xi vuole è lodevole, ma la mano è pesante. Dall’altro lato ancora, i diktat governativi sulla chiusura di fabbriche e miniere, dettati dalle preoccupazioni per l’inquinamento atmosferico. Tuttavia, è da pensare che anche dopo il rallentamento la Cina continuerà ad essere il più grande contributore della crescita planetaria.

Nel resto del mondo, e segnatamente in Italia, la ripresa continua, malgrado le tensioni sull’inflazione e qualche segnale di aumento dei tassi di interesse. L’inflazione è l’ingrediente per molti più preoccupante di questa fase del ciclo. Da dove vengono le tensioni sui prezzi? “Quel che non strozza ingrassa”, dice una vecchia battuta, significando, con un po’ di ottimismo, che ciò che non fa male fa sicuramente bene. Letta all’incontrario, la battuta si può parafrasare in “Quel che strozza, fa dimagrire”. Ed è appunto quel che sta succedendo, in giro per il mondo, con tante strozzature che vorrebbero dimagrire la ripresa e finiscono con l’ingrassare l’inflazione (in questo caso, “quel che strozza ingrassa”…). L’anomalo bestiario di questa crisi vede i problemi del ciclo sorgere dall’offerta e non dalla domanda. Ma in che cosa consistono queste strozzature?

Il premio Nobel dell’economia Paul Krugman ha usato un’efficace metafora: come, quando si riparte velocemente da un semaforo, può succedere che le ruote girino a vuoto sfrigolando sull’asfalto, così, in un’economia che riparte la domanda di materie prime impenna verso l’alto, premendo sui prezzi. Così, quando la ruota del ciclo ha svoltato verso l’alto, domanda e offerta hanno faticato a ingranare.

Se guardiamo alle previsioni sugli andamenti dell’economia internazionale dall’inizio dell’anno ad oggi, vediamo che la ripresa si è rivelata più ardita del previsto, e la domanda di materie prime ha premuto su un’offerta che aveva sofferto di passate riduzioni della produzione e di scarsi investimenti in nuova capacità produttiva. Questo è vero specialmente per gli investimenti in fonti energetiche, ma è vero anche per altre ‘materie prime’ del XXI° secolo, come i microchip.

Tuttavia, anche se la “magia” dell’offerta che risponde prontamente alla domanda è stata messa in sordina da vari fattori, il mercato funzionerà e gli investimenti riporteranno in equilibrio domanda e offerta. Una fattezza inaspettata di questa discrasia fra domanda e offerta è emersa nel mercato del lavoro. Le strozzature di cui abbiamo parlato riguardano anche il difficile equilibrio fra quanti si offrono di lavorare e quanti lavori sono richiesti dalle imprese.

Qui l’aneddotica è infinita. Dalla Malaysia – dove non si trova chi vada ad arrampicarsi per procurare l’olio da palma – all’Australia, dove si moltiplicano i posti vacanti richiesti da ristoranti che hanno bisogno di personale – all’America, dove mancano i lavoratori stagionali necessari ai raccolti in California – al Regno Unito, a corto di conducenti di camion… Quel rimescolamento di dinamiche settoriali indotto dalla pandemia, e quell’inaspettato abbrivio della ripresa, porta a tensioni che poi si ripercuotono sull’inflazione, quando le imprese devono aumentare i salari per attirare lavoratori. Questo aumento rischia di trasformare le tensioni temporanee dei prezzi sui mercati dei beni in una spirale prezzi-salari che porterebbe a un più alto gradino permanente di tassi di inflazione attizzando le aspettative. Con un conseguente più ravvicinato aumento dei tassi di interesse, che sarebbe pericoloso per un mondo che si è (giustamente) indebitato per contrastare la crisi da coronavirus.

Questo scenario negativo è peraltro poco probabile. Il mondo è indebitato con se stesso, non con i marziani, e la ripresa, dopo che gli attriti fra domanda e offerta saranno sanati dalla magia del mercato, continuerà. E se i salari aumentano, non è male, porteranno più potere d’acquisto, dopo che per anni la quota dei redditi di lavoro è stata sacrificata. Quello che conta per l’inflazione non è il costo del lavoro, ma il costo del lavoro per unità di prodotto (clup). E qui il progresso tecnologico, che continua imperterrito, porta a maggiore produttività e tiene il clup sotto controllo.


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