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Cosa resterà dell’Europa al termine della pandemia? Cosa rimarrà dell’insieme di tutte le regole europee quando si comincerà a intravedere la luce, in fondo al tunnel dell’emergenza sanitaria? Siamo di fronte alla Finis Europae? I segnali di questi giorni non sono certo confortanti.

Se consideriamo gli assi portanti del processo di integrazione che va dagli anni Cinquanta alla fine del XX secolo, sembrano essere rimessi in discussione uno a uno, se non cancellati con un tratto di penna.

La libera circolazione delle merci e dei capitali, nello specifico delle merci, ha subìto un duro colpo di fronte alla decisione franco-tedesca di bloccare le vendite di materiale medico di prima necessità indirizzate verso l’Italia.

Decisione improvvida e contraria a qualsiasi forma di solidarietà europea, poi stigmatizzata dalla Commissione, ma in parte mantenuta soprattutto sul fronte della produzione tedesca.

EUROPA INCRINATA

Se si passa alla libera circolazione delle persone, la situazione non migliora. La chiusura del cosiddetto spazio di Schengen, più che legittima per quanto riguarda le frontiere esterne dell’Europa, è stata poi furbescamente proposta anche tra Paesi membri, ancora una volta dal blocco austro-tedesco e ben presto imitato da altri, in primo luogo dalla Spagna.

La politica monetaria e la politica economica, gli assi almeno potenziali di Maastricht, sono stati in questi giorni strapazzati ed emblematicamente calpestati dalla nota e scellerata conferenza stampa di Christine Lagarde, in realtà prigioniera della solita e stantia ortodossia di matrice tedesca.

Non a caso al coro delle rettifiche, le Commissione, principali le Banche centrali, il Parlamento europeo e numerose cancellerie di peso (tra tutte quella francese), è mancata una voce tedesca, si tratti del membro teutonico della Bce o del potente presidente della Banca centrale di Berlino.

Vi è infine un quarto elemento che sta definitivamente incrinandosi e che è destinato ad andare in frantumi se la deriva dovesse accentuarsi, ed è la fiducia, anche minima, nelle potenzialità dell’europeismo come strumento in grado di contribuire a migliorare le vite dei cittadini delle singole realtà nazionali.

Non solo, dunque, si stanno sgretolando gli assi portanti della struttura comunitaria, ma sta venendo meno un livello già minimo di sua legittimazione. Basterà un’inezia ai differenti euroscetticismi o anti-europeismi per mettere in fila tutte le contraddizioni di questo buio periodo, una volta passata l’emergenza sanitaria.

CI RESTA POCO

Ebbene, le radici di questa drammatica situazione, anticamera di una vera e propria Finis Europae, affondano nel doppio fallimento (istituzionale e di legittimazione) del periodo 2002-2005, quello tra la Dichiarazione di Laeken e il “no” referendario francese al Trattato costituzionale europeo.

Il Trattato era il tentativo, migliorabile e perfettibile, ma comunque determinante, di fornire uno status giuridico all’Unione europea, di darle una dignità giuridica sovranazionale e dall’altro lato gettare il seme e finalmente irrigarlo di una qualche forma anche embrionale di patriottismo europeo. Invece si è buttato via tutto, sull’onda di veti nazionali contrapposti e di un patologico sovrapporsi tra piani della politica interna e piani della politica europea.

Oggi non abbiamo l’Europa comunitaria, non abbiamo il patriottismo europeo e non abbiamo nemmeno Stati nazionali capaci di affrontare le sfide titaniche che il XXI secolo ci impone.

IL REPLAY DI 100 ANNI FA

Il 19 marzo di 100 anni fa, il Senato Usa definitivamente affossava la ratifica della Società delle Nazioni. Le potenze mondiali “alle ali”, cioè gli Stati Uniti e la nascente Unione Sovietica, avrebbero imposto il loro dominio globale, marginalizzando progressivamente l’Europa.

A cento anni di distanza si sta riproponendo un quadro simile (Usa ad ovest e potenze “autoritarie” ad est, Cina e Russia in testa) ma con un’aggravante fondamentale: l’Europa non sembra avere più al suo fianco quell’alleato statunitense che la ha salvata dal nazifascismo e ha contribuito a forgiarne il processo di integrazione.

La Finis Europae dovrebbe mettere i brividi, in quanto progressiva disgregazione interna del processo di integrazione europeo, almeno quanto lo sfilacciamento del decisivo rapporto euro-atlantico. Qualcuno si è reso conto che stiamo ballando sul Titanic?


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