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Erdogan

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Nella battaglia navale per il gas offshore del Mediterraneo orientale l’Italia ha scelto di mettersi d’accordo con Erdogan e sfilarsi dal confronto ingaggiato dall’asse tra Francia-Grecia-Cipro-Israele-Emirati con la Turchia. Tutto questo al netto di sorprese mentre la Germania tenta una mediazione tra Atene e Ankara fortemente interessata: Berlino deve tenere buono Erdogan che, profumatamente pagato dall’Unione europea, ha in mano il rubinetto di profughi sulla rotta ellenica e balcanica verso il cuore del continente.

La “Patria Blu”, il Mediterraneo che ci interessa direttamente, è finita sotto il controllo di Erdogan e noi ne abbiamo preso atto mestamente. A fine agosto l’Italia ha perso ufficialmente la Libia, già disintegrata dall’intervento militare di Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna nel 2011 che pose fine, con la nostra complicità passiva e attiva, al regime di Gheddafi, il nostro maggiore alleato nel Mediterraneo.

Il governo libico di Tripoli, quello per intenderci di Al Sarraj, ha concesso per 99 anni alla Turchia il porto di Misurata che potrà andare e venire con le sue navi da guerra e commerciali in un approdo libico strategico dove teniamo anche un ospedale militare da campo con 350 soldati che su richiesta dei turchi ci prepariamo a spostare o a smobilitare.

Ai turchi è stata assegnata anche la base aerea di Al Watiya dove secondo il rivale di Tripoli, il generale Khalifa Haftar, Ankara ha già schierato 50 caccia da combattimento.

L’accordo è stato firmato in agosto alla presenza del ministro della Difesa turco e di quello del Qatar, una chiara indicazione che la Libia occidentale, quella con la maggiore presenza economica ed energetica italiana, finirà nelle mani dei militari turchi e in quelle finanziarie di Doha.

Insomma l’Italia si prepara a contare sempre di meno nella sua ex colonia anche se la pillola è stata indorata da un accordo con Erdogan che darebbe il via libera alle navi dell’Eni per trivellare il gas nel Mediterraneo orientale dove due anni fa una nave italiana era stata cacciata dalla marina turca. Il condizionale è d’obbligo perché il “reiss” turco, una sorta di Sultano atlantico visto che è membro della Nato, molto spesso non rispetta i patti e ha dimostrato più volte di non tenere in nessun conto il diritto internazionale.

Nel Mediterraneo orientale è in corso un conflitto per la “Patria Blu” che fa ancora più a pezzi l’atlante del disordine Nato.

L’espansione di Erdogan va dall’Egeo alla Sirte, ma anche oltre Suez _ in Mar Rosso (Somalia) nel Golfo (Qatar) _ e ha un nome: Mavi Vatan, la Patria Blu, così viene chiamata dagli strateghi dell’ammiragliato turco. Nel concreto significa che le navi da guerra turche stanno accompagnando quelle per l’esplorazione delle risorse energetiche offshore nell’Egeo, da Cipro fino a Castellorizo, mentre sull’altro fronte si muovono la marina greca, quella francese e si alzano in volo i droni di Israele, con l’Egitto in allerta per difendere gli accordi recenti con Atene. Intese che come quella stipulata il 6 agosto tra Atene e il Cairo per una zona economica esclusiva tra i due Paesi sono il controaltare a quelle stipulate da Erdogan con la Tripolitania di Sarraj, occupata dalle truppe e dai jihadisti di Ankara in guerra contro il generale Haftar, l’Egitto, gli Emirati, la Russia e la Francia.

Il memorandum commerciale tra la Turchia e Tripoli, accanto alle basi militari libiche ottenute dai turchi, ormai lega Serraj mani e piedi al suo protettore. All’Italia restano gli interessi dell’Eni, il gasdotto Greenstream con la Sicilia e il bruciante capitolo dei profughi che gestiamo in condominio con la Turchia, il guardiano pagato dall’Unione europea di tre milioni di rifugiati siriani, che all’inizio dell’anno ha tentato di destabilizzare la Grecia inondandola di profughi e schierando le forze speciali ai confini. A noi il compito umanitario di salvare la gente in mare e quello di smontare i lager dei rifugiati in Libia, a Erdogan di aprire o chiudere le valvole della “Quarta Sponda”, in circostanze per niente chiarite dall’ultima telefonata tra Conte e il presidente turco.

I confini marittimi del Mediterraneo, dove aleggia insistente l’eco dell’esplosione del Libano, sono ribollenti. Coinvolti ci sono Paesi dell’Alleanza Atlantica con la Francia e la Turchia, su fronti contrapposti in Libia, l’Italia stessa _ con gli interessi dell’Eni in Libia, in Egitto e nell’Egeo _ la Grecia, sempre ai ferri corti con Ankara, questa volta appoggiata anche da Israele oltre che dall’Unione europea, con gli Usa in posizione quanto meno ambigua: tra la Turchia e la Grecia a Washington non hanno ancora deciso davvero con chi stare, come del resto in Libia.

Ma dal punto di vista economico la posta è così alta? Certo per Egitto, Israele, Cipro e Libano le risorse sono ingenti e significative per le ricadute economiche e ambientali. Ma il famoso gasdotto EastMed, che doveva portare le risorse di gas dell’Egitto e del Levante fino all’Europa, sembra ormai saltato, almeno secondo l’Eni: troppo costoso e complicato politicamente.

L’escalation di Erdogan nell’Egeo sta in pratica dimezzando il potenziale di questo bacino offshore. Se la ride la Russia che fornisce il 50% del gas alla Turchia, vede sfiorire progetti concorrenziali come il gasdotto EastMed e la Nato sempre più a pezzi mentre gli Usa probabilmente sono meno disposti a battersi per i diritti della Grecia o di Cipro e maggiormente inclini a lisciare il pelo a Erdogan, padrone di una parte della Libia e attore ineludibile in Siria per tenere sotto pressione Putin. E così nella nuova Patria Blu della Turchia sprofondano i progetti di cooperazione e affiorano vecchi e nuovi conflitti.


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