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Alexander Lukashenko

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C’è qualche cosa fuori dal tempo che avviene nel cuore dell’Europa orientale ma accade qualche cosa di paradossale anche nell’Unione. Siamo stretti ormai tra Lukashenko ed Erdogan.

La cerimonia di insediamento segreta svoltasi ieri a Minsk di Alexander Lukashenko non è un buon segnale per l’autocrate della Bielorussia e neppure per la Russia di Putin che lo tiene in sella. Ma anche l’Europa manda segnali ambigui, come se avesse paura di ripetere gli errori commessi in Ucraina.

SANZIONI BLOCCATE

Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno criticato la violenta repressione della polizia contro i manifestanti pacifici e Bruxelles non ha riconosciuto la validità delle elezioni del 9 agosto vinte da Lukashenko con un imbarazzante 80 per cento dei voti. Ma nei giorni scorsi il veto di Cipro al Consiglio dei ministri degli Esteri a Bruxelles ha bloccato nuove sanzioni a Minsk. L’ostruzionismo di Nicosia non è motivato da questioni di merito _ il ministro Nikos Christodoulides si è detto infatti d’accordo ad andare avanti sul dossier _ ma è legato alla richiesta inoltrata ai partner europei di una presa di posizione altrettanto incisiva nei confronti della Turchia, da tempo impegnata nelle perforazioni illegali alla ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, in violazione della sua sovranità.

Una situazione paradossale: la Bielorussia è l’ultimo satellite sopravvissuto alla fine dell’Urss e della cortina di ferro mentre la Turchia di Erdogan è un membro da oltre mezzo secolo della Nato ma che non rispetta come Lukashenko i diritti umani e civili.

IL FALLITO GOLPE

L’autocrate di Minsk mette in galera gli oppositori, Erdogan, dopo il fallito golpe del 2016, ha gettato in carcere i capi del partito curdo, regolarmente eletti alle urne, e centinaia tra giornalisti, scrittori e intellettuali, la cui unica colpa è contestare la sua leadership. Non solo. Erdogan fa il bello e il cattivo tempo nel Mediterraneo orientale e in Libia: soprattutto perché noi lo abbiamo lasciato fare.

Erdogan ci ricatta con i tre milioni di profughi siriani e mediorientali che si tiene in casa, profumatamente pagato da Bruxelles con miliardi di euro, poi apre e chiude i rubinetti dell’emigrazione quando vuole mettere sotto pressione la Germania e l’Europa. Ecco perché in fondo facciamo fatica a mettere alle strette anche Lukashenko e queste cose a Minsk e a Mosca le sanno perfettamente.

STATO INDIPENDENTE

Certo la Bielorussia è probabilmente a una volta epocale del suo tragitto come stato indipendente. Minsk ottenne l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Nel 1994 Aleksander Lukashenko, ex ufficiale dell’esercito e direttore di un’azienda agricola di stato, ha vinto le prime elezioni presidenziali.
Da allora è sempre rimasto al potere. Sotto la sua guida la Bielorussia non ha avviato la transizione verso un’economia di mercato come la grande maggioranza degli altri Paesi dell’ex blocco sovietico e le proprietà delle grandi aziende è rimasta in mano allo stato.
Nel 1999 Russia e Bielorussia, che sono molto simili per lingua, cultura e religione e sono state insieme per grande parte della loro storia, hanno firmato un trattato di unione che avrebbe dovuto portare a un’integrazione sempre più profonda e alla creazione di un unico stato federale. Il progetto però è rimasto in gran parte sulla carta mentre l’economia di Minsk resta comunque dipendente dai sussidi e dai prestiti russi.

UNA MELA AVVELENATA

Per Mosca la Bielorussia potrebbe diventare una sorta di mela avvelenata. Il Cremlino infatti è assai tentato di portare avanti il progetto di unione ma potrebbe essere un grave errore. Se è vero infatti che Putin ha dato il suo pieno sostegno a Lukashenko è anche evidente che tra i due corre una certa diffidenza: basti pensare alla clamorosa visita a Minsk nel febbraio scorso del segretario di stato americano Mike Pompeo. Negli ultimi tempi le contorsioni geopolitiche di Lukashenko lo hanno portato ad avvicinarsi all’Occidente più di quanto non sembri.

Se l’autocrate bielorusso consegnasse il Paese a Putin, le proteste per la democrazia assumerebbero il carattere di una lotta nazionale per l’indipendenza. In realtà Mosca ha buttato molti soldi in Bielorussia e ora il regime di Minsk appare sempre di più un investimento sbagliato.


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