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Papa Francesco tra le rovine di Mosul

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Sono invidiosi del Papa. Schiumano rabbia i leader e i media internazionali per il suo storico viaggio in Iraq: lui è stato l’unico capo mondiale mai entrato a Mosul rasa al suolo dai jihadisti e dai raid americani contro l’Isis.

È stato l’unico a incontrare il grande ayatollah sciita Alì Sistani, l’unico a portare in questo Paese, stravolto da 40 anni di guerre e massacri, tre giorni di pace, di serenità e di gioia: abbiamo visto gli iracheni cristiani cantare e ballare, i musulmani applaudire ed entusiasmarsi, le armi hanno taciuto mentre il Papa faceva a Erbil il suo discorso in italiano, ed erano in italiano anche i cartelli che annunciavano la sua visita.

Grazie al Papa siamo usciti anche noi dalla nostra provincia dove ci hanno regalato decenni di governi insulsi e persino umiliati proprio in politica internazionale, basti pensare alla Libia e all’Egitto del caso Regeni. Pur indirettamente questo papa argentino è un nostro patriota, oltre che il capo dei credenti cattolici.

Mai forse avremmo immaginato di arrivare a questo punto ma Papa Francesco sta attuando, oltre che naturalmente il suo compito pastorale, anche i dettami della nostra costituzione e delle nostre leggi, che sono contro la guerra, contro l’esportazione delle armi e della violenza. Certo sulle armi si guadagna, sono posti di lavoro e il senatore Renzi fa il pendolo come un commesso viaggiatore tra l’Arabia Saudita del principe assassino Mohammed bin Salman e gli Emirati, i maggiori acquirenti di armamenti americani, europei e italiani. Eppure dice di essere un buon cristiano. Forse non è neppure un buon italiano o magari, semplicemente, un italiano buono.

Il Papa dà così fastidio ai potenti della terra che persino il New York Times, in apparenza tanto democratico e liberale, lo boicotta. L’articolo sul viaggio in Iraq si dilunga su chi portava o meno la mascherina ma mai una volta che venga sottolineato dove stava andando il pontefice: in una terra dove gli americani nel 2003 hanno fatto una guerra inutile e devastante che ha disintegrato un’intera regione basandosi sulle false prove che Saddam Hussein deteneva armi di distruzione di massa.

Quella guerra fu approvata con il suo voto in Senato anche dall’attuale presidente degli Stati Uniti, il cattolico Joe Biden, che piace tanto proprio al New York Times perché ha battuto Trump. E tutto questo avveniva 18 anni fa mentre un altro grande Papa, Giovanni Paolo II, tuonava contro la guerra e riceveva il braccio destro di Saddam Hussein, il cristiano Tareq Aziz, nel tentativo di evitare un conflitto che avrebbe quasi eliminato i cristiani dal Medio Oriente e precipitato interi popoli nell’inferno.

Schiumano rabbia i leader mondiali perché nessuno di loro ha il coraggio del Papa. Ma come diceva Don Abbondio, “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Così sul viaggio del papa è meglio “sopire e troncare”, citando sempre un altro personaggio manzoniano. Perché è assai scomodo ammettere che ha fatto di più il Papa per la pace in Medio Oriente in tre giorni che legioni di leader e diplomatici in un secolo di falsi accordi e pacificazioni effimere.

È suo il vero patto di Abramo che ha stretto con Ali Sistani, con tutti gli iracheni e anche con noi: basta guerre, basta armi, basta intolleranza. Si sbaglia chi pensa di misurare in un tempo breve quello che accade sotto i nostri occhi e che gran parte dei media e dei leader, forse stupiti, stenta ad accettare: il peso specifico di questo viaggio lo soppeseremo nell’onda lunga della storia ma già nell’immediato Bergoglio ha instaurato un clima mai visto in questo Paese dove ho vissuto insieme agli iracheni 40 anni di guerre, di morte, di sopraffazione dei più deboli e vulnerabili.

Il suo patto di Abramo vale, almeno moralmente, assai di più di quello tra Israele e le monarchie del Golfo voluto da Trump e caldeggiato da Biden: quello non è un accordo per la pace e la composizione dei conflitti ma contro l’Iran e tutti i popoli della regione che non si arrendono alla violenza e ai soprusi, alla legge del più forte, di chi ha più armi, più soldi, più tecnologia.

Il patto di Abramo degli americani è un accordo che divide tra buoni e cattivi. I buoni sono gli alleati dell’Occidente e i maggiori clienti di armamenti degli Stati uniti, i cattivi coloro che non si arrendono all’ingiustizia e al doppio standard applicato da Washington e dall’occidente ai popoli della regione.

Il Papa è bravo perché tratta tutti sullo stesso piano di umanità e non fa differenze. Per questo lo ascoltano anche i musulmani. È bravo anche a fare diplomazia perché questo è viaggio è nato molti anni fa con un dialogo interreligioso straordinario e mai troppo pubblicizzato.

Certo il Papa non è un leader democratico, viene eletto una volta sola e da un conclave ristretto. In compenso non deve dire troppe bugie e nonostante sia pure lui condizionato dall’ambiente, dalle persone e dagli eventi, rimane un uomo libero. Quello che ha dato il Papa nel viaggio in Iraq è soprattutto questo: una lezione di libertà.


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