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Soldati russi

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Vladimir Putin ha rifiutato ogni ipotesi di compromesso e ha scelto di usare la forza, inviando l’esercito russo nel Donbass. Così facendo ha formalmente violato i confini dell’Ucraina, ma in realtà è intervenuto solo in un territorio già controllato dai suoi. Poiché l’Ucraina non ha reagito militarmente, sino a ora lo scontro aperto, sul campo di battaglia, è stato evitato. Ma i messaggi che giungono dal Cremlino non sono rassicuranti.

Non sappiamo quale sia l’obiettivo tattico di Putin in questa fase, se si accontenterà di quello che ha già preso oppure se vorrà estendere il suo controllo anche a quella parte del Donbass che è ancora ucraino (il che porterebbe probabilmente a uno scontro violento) o se vorrà puntare anche oltre, a Odessa e a Kiev.

L’OBIETTIVO STRATEGICO

Ci ha invece chiarito il suo obiettivo strategico, di lungo termine, e cioè la ricostituzione, quanto più completa possibile, di una grande Russia, ricalcata prima ancora che sulla vecchia Urss, sul passato impero degli Zar. Un’aspirazione che metterebbe fine all’indipendenza che era stata garantita alle repubbliche ex-sovietiche, dopo la dissoluzione dell’Unione.

Un simile disegno revisionista è carico di pericoli e potrebbe facilmente mettere in crisi l’intero scenario internazionale. Non è detto che sia un disegno realistico. La Russia, malgrado il suo imponente armamento nucleare, dagli altri punti di vista ha capacità molto limitate. Il suo stesso maggiore alleato, la Cina, non è affatto in sintonia politica con un tale disegno, sia perché si è sempre dichiarata contraria al mutamento delle frontiere attraverso l’uso della forza (ad esempio, non ha ancora riconosciuto l’annessione russa della Crimea), sia perché un tale disegno potrebbe gravemente interferire con i suoi rapporti con le repubbliche asiatiche dell’ex-Urss.

REAZIONI PERICOLOSE

Tuttavia non è tanto il risultato finale a preoccupare (anche perché sarebbe comunque lontano nel tempo) quanto, molto più prosaicamente, le iniziative intermedie, tattiche o settoriali, che il Cremlino può decidere di attivare. Dopotutto truppe russe sono presenti in territori che erano un tempo considerati parte della Georgia, in Ucraina, nel Nagorno-Karabakh (tra azeri e armeni), in Kazakhstan, in Bielorussia, ecc. Un loro aumento di visibilità potrebbe facilmente moltiplicare i punti di crisi causando reazioni a loro volta potenzialmente destabilizzanti.

Quanto alla crisi in corso, l’incertezza della situazione sul terreno non potrà protrarsi ancora a lungo. Presto capiremo se l’attacco russo continuerà e si approfondirà. In questo caso vedremo anche quale sarà la risposta sul campo dell’Ucraina: più sarà decisa, maggiori saranno le conseguenze politiche e umane del conflitto e più difficile sarà mantenersi fuori dalla sua dimensione militare. Come gestiremo, ad esempio, l’inevitabile flusso di profughi? Tenteremo forse di salvaguardare almeno la parte più occidentale dell’Ucraina, se non altro per limitare l’impatto umanitario del conflitto sui nostri Paesi?

IL RISCHIO FRAINTENDIMENTI

Se la crisi dovesse aggravarsi, sarà difficile mantenere l’unità del fronte occidentale limitando la reazione alle sole sanzioni. Anche evitando un intervento della Nato, sono possibili altre forme più indirette di uso della forza che tuttavia accrescerebbero i rischi di escalation.

Siamo insomma molto vicini al momento in cui diventa essenziale un dialogo diretto con Mosca, oltre che con Kiev, non più per evitare la crisi o trovare nuovi compromessi politici, ma per comprendere e regolare al meglio, per quanto possibile, l’andamento degli scontri, cosicché siano chiari i problemi reali che dovremo affrontare, possibilmente senza fraintendere le intenzioni della parte opposta. Proprio un tale fraintendimento, infatti, potrebbe spingerci a reazioni eccessive o sbagliate, con conseguenze ancora peggiori.

Purtroppo in questi ultimi anni Mosca e Washington hanno progressivamente annullato tutta una serie di accordi e pratiche che prevedevano il mantenimento di un dialogo continuo, anche in caso di crisi (anzi: soprattutto in caso di crisi) tra i responsabili militari. Non si trattava di negoziati diplomatici o politici, ma di semplici scambi di informazioni sulle reciproche attività e intenzioni, che riducevano enormemente il rischio di incidenti e fraintendimenti.

Ora questo dialogo è urgente e necessario. Dobbiamo augurarci che i responsabili politici abbiano la lungimiranza di riattivare quei canali che sono stati così affrettatamente e scioccamente sospesi.


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