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La Russia è riuscita a evitare il default avendo pagato i 117 milioni di dollari di cedole legate a due bond in scadenza lunedì. È quanto ha spiegato il ministro delle finanze, Anton Siluanov, in un’intervista rilasciata a RT Arabic. JPMorgan ha fatto sapere di aver ricevuto il pagamento, di averlo elaborato e di aver inviato i fondi a Citigroup, che ha il compito di effettuare la liquidazione. “I piani di una guerra lampo di natura economica contro la Russia sono falliti” annuncia il Cremlino. Nei giorni scorsi Mosca aveva ipotizzato di pagare in rubli il debito verso i creditori di Paesi che hanno sanzionato la Russia. Lo prevede esplicitamente un decreto di Vladimir Putin dello scorso 5 marzo. Ma il contratto prevede chiaramente il pagamento in dollari e quindi un eventuale saldo in rubli comporterebbe comunque un’insolvenza.

Il default solo sfiorato, però, non cambia il quadro generale. Il quadro economico è stato completamente stravolto “da un giorno all’altro” come ha ricordato il governatore Visco. “Nella situazione attuale – ricorda – anche la stabilità finanziaria è esposta a rischi significativi, derivanti da potenziali interruzioni dell’approvvigionamento energetico e dalla loro conseguenze per l’economia reale e gli intermediari, nonché dalle dislocazioni in mercati finanziari”.

Ma ci sono anche i rischi per l’inflazione su cui si sofferma Christine Lagarde. “Le ultime proiezioni dello staff della Bce – che includono una prima valutazione dell’impatto della guerra – vedono l’inflazione, in media, al 5,1% quest’anno. In uno scenario più severo, l’inflazione potrebbe superare il 7% nel 2022”, dice la presidente della Bce, Christine Lagarde, intervenendo alla conferenza “The Ecb and Its Watchers XXII”.

La guerra in Ucraina pone rischi significativi per la crescita “I rischi principali passano attraverso i prezzi dell’energia e la fiducia”. Proprio per questo la Bce resterà molto flessibile sulle decisioni da prendere. Vuol dire che non seguirà la strada segnata dalla Fed che ha ritoccato i tassi dello 0,25% e annuncia di essere pronta ad altri incrementi se sarà necessario. La Banca d’Inghilterra lo ha già fatto portando il tasso di riferimento allo 0.75%. La Bce, invece resta ferma nelle sue convinzioni: la crescita non va fermata.

“La guerra ha gettato un’ombra sull’Europa – dice la Lagarde – Ha messo in discussione i principi fondamentali della nostra sicurezza, basati sulla sovranità territoriale e sul rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani” e “ha rivelato la nostra vulnerabilità collettiva, nata dalla dipendenza economica da attori ostili”. Ecco perché i piani sono più che mai orientati alla flessibilità, “quando le condizioni necessarie saranno soddisfatte, potremo compiere ulteriori passi verso la normalizzazione delle politiche, ma siamo anche consapevoli dei rischi di fondo causati dalla guerra e dell’incertezza che sta creando in tutte le direzioni”.

Che significa? Che la Bce pronta a utilizzare “un’ampia gamma di strumenti”e “se necessario, possiamo progettare e implementarne di nuovi per garantire la attuazione della politica monetaria mentre ci muoviamo lungo il percorso della normalizzazione delle politiche, come abbiamo dimostrato in molte occasioni in passato”. E se l’inflazione dovesse arrivare davvero al 7%? “In questo caso, la politica economica dell’Eurotower sarà aggiornata tempestivamente, assicura Lagarde, “abbiamo deciso deve essere governata da tre principi: facoltatività, gradualità e flessibilità”.

Gli appuntamenti sono incalzanti. Il prossimo è fissato al 31 marzo, con cedole da pagare per circa 360 milioni di dollari, quello successivo il 4 aprile, che vale ben due miliardi dollari. Non sono previste forme di pagamento alternative, quindi in rubli, rispetto alla valuta di emissione, quindi dollari. Vuol dire che se Mosca non dovesse attingere al suo salvadanaio in valuta, mancherebbe di rispettare la scadenza.

Su poco meno di 60 miliardi di debito del governo centrale, circa 20 sono denominati in valuta estera, gli altri quaranta in rubli. Il conto è diverso se si tiene conto delle aziende e banche russe, che invece hanno circa 90 miliardi di dollari di obbligazioni in valuta estera: il grosso è costituito da bond di aziende molto note come Gazprom (oltre 28 miliardi), Russian Railways (quasi 5 miliardi), Rosneft e Lukoil (2,5 e 2,3 miliardi rispettivamente), banche di primo piano come Vtb e Alfa Bank (2,3 e 2,1 miliardi), Vnesheconombank (3,8 miliardi), Sberbank (3 miliardi). Tuttavia gli incassi legati alle forniture di gas e petrolio (circa un miliardo al giorno) consentono al Cremlino di guardare a queste scadenza con relativa tranquillità.

Mosca ha approntato un piano da nove miliardi di dollari per fronteggiare le sanzioni, tra queste la possibilità di ricorrere alle riserve in yuan, la valuta dell’alleato cinese. “Vediamo la pressione che i paesi occidentali mettono sulla Cina”, ha detto qualche giorno fa il ministro delle Finanze russo. Circa il 15% dei suoi 630 miliardi di riserve sono in yuan, e un altro 22% in lingotti d’oro tutti detenuti all’interno della Federazione Russa.


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