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Vladimir Putin

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Lo Stato Maggiore russo ha annunciato che gli obiettivi della 1^ fase di quella che continua a chiamare “operazione militare speciale” in Ucraina erano stati raggiunti e che stava iniziando la 2^ fase. Essa si prefiggerebbe l’occupazione dell’intero Donbass e la distruzione del grosso delle migliori forze ucraine in esso ancora schierate (si tratta di dieci Brigate con circa 40.000 soldati). Qualora gli obiettivi della 2^ fase siano davvero quelli e, ammesso ma non concesso che i russi siano in grado di raggiungerli, Putin garantirebbe una continuità territoriale dalla Russia alla Crimea e potrebbe affermare di aver smilitarizzato l’Ucraina.

Diversi fatti inducono a ritenere che Putin abbia ridimensionato gli obiettivi che aveva annunciato prima dell’inizio dell’aggressione all’Ucraina: denazificazione, ritorno del paese alla Madre Russia, smilitarizzazione, de-occidentalizzazione e altri più “gustosi” ricordati anche dal Patriarca Kirill nella sua benedizione alle truppe.

Perché Putin lo fa? Si sta semplicemente adeguando alla realtà della situazione militare sul campo? Cerca di guadagnare tempo per fare affluire rinforzi o per vedere se la Cina lo aiuta o perché spera ancora che prevalgano in Occidente i “cacadubbi” alla Conte e diminuisca il sostegno all’Ucraina? Ha Putin rinunciato all’escalation dell’uso di armi chimiche, biologiche o nucleari?

A parer mio, sta prendendo atto della realtà. Sin dall’inizio abbiamo sostenuto sulle pagine di questo giornale che Putin non potesse realizzare gli obiettivi “totali” che aveva annunciato anche per semplici ragioni tecniche: per realizzarli doveva occupare le città, ma la carenza di fanteria glielo rendeva impossibile. I carri armati, di fronte a una resistenza urbana ben armata, non possono farcela. I missili, l’artiglieria e i bombardamenti aerei possono distruggere le città, ma non occuparle. Gli obiettivi che si poneva Putin così come la strategia per realizzarli andavano mutati. La strategia sembra sia in corso di essere adeguata. Lo era già stata con il passaggio da una di “guerra lampo” a una di “guerra di logoramento”. Per essa ai russi mancavano uomini e mezzi. Dalle notizie frammentarie che ci giungono dal campo di battaglia, le forze russe hanno raggiunto quello che Clausewitz chiama “punto culminante della vittoria”. Si tratta di questo: uno attacca perché è più forte di chi si difende; a mano a mano che avanza vede allungarsi le sue vie di rifornimento, deve difenderle e diventa più debole fino a un punto – quello culminante della vittoria – oltre il quale un ulteriore avanzata lo rende più debole del difensore che può allora, dice il generale prussiano, “impugnare la spada fiammeggiante della vendetta”. È quanto avvenuto attorno a Kiev, in cui si vedono potenti carri T-80 russi, apparentemente intatti, abbandonati nel fango.

I contrattacchi ucraini non si spingono a fondo. Sono, sia a Kiev che a Kharkiv, puntate offensive che fanno arretrare le forze russe per una trentina di chilometri, per poi ripiegare e infliggere al nemico nuove perdite. Lo ha spiegato chiaramente il gen. Andrii Yermak, che ha espresso scetticismo sul fatto che Putin abbia abbandonato i suoi obiettivi iniziali, per accontentarsi del Donbass e della distruzione delle forze ucraine in esso schierate e che rischiano di essere circondate da Sud-Est, una volta che sarà stata conquistata Mariupol, rendendo disponibili i circa 20.000 soldati e mercenari russi ora impegnati nel suo assedio.

Gli errori dell’intelligence, che ha verosimilmente detto a Putin quello che lui voleva farsi dire sono stati all’origine di quelli strategici. Invece di concentrarle su un solo obiettivo, le scarse forze disponibili sono state disperse su tre direttrici di attacco: Kiev, Donbass e lungo la costa del Mar Nero verso Odessa. Carenza di fanteria, scarsa logistica ed errori tattici, hanno rapidamente consentito alla fanteria e alle forze territoriali ucraine di bloccare l’avanzata. La strategia è stata mutata in quella di logoramento. Le forze ucraine sono più resilienti e in grado di assorbire maggiori perdite. Con la mobilitazione generale hanno milioni di soldati pronti a morire per la loro Patria. I russi hanno una ridotta capacità di assorbire forti perdite e poca speranza di riuscire a logorare l’esercito ucraino. Come già avvenuto a Groznyj e ad Aleppo, hanno cercato di terrorizzare la popolazione civile, nell’illusione di indurre i militari a cedere per evitare carneficine di donne, vecchi e bambini e la distruzione di intere città. I centri urbani, con l’eccezione di quello strategico di Mariupol, sono stati colpiti da artiglierie e missili. Particolare effetto mediatico hanno avuto in Occidente le immagini delle armi ipersoniche aviolanciate Kinzhal e dei missili navali Kalibr (già impiegati in Siria dopo essere stati lanciati da navi nel Mar Caspio).

Malgrado la propaganda e le immagini agghiaccianti, il bombardamento delle città non può portare alla vittoria. Occorrono le fanterie. I russi ne hanno poche. Il loro declino demografico non consente la mobilitazione di masse di soldati, come nelle due guerre mondiali. Inoltre, con una natalità di meno di due figli per donna, non possono permettersi consistenti perdite. Nella riforma militare attuata nello scorso decennio hanno teso a sostituire gli uomini con la potenza di fuoco. Con essa, le città si possono distruggere, ma non conquistare. Stanno perciò facendo ricorso a ceceni e siriani. Appare che alle difficoltà logistiche e tattiche, si siano verificati, nei reparti più provati, anche problemi morali e di disciplina. Sono amplificati dalla propaganda ucraina, ma sono stati confermati anche dall’intelligence britannica, presente sui vari campi di battaglia e anche in taluni reparti russi. Sembra che un comandante di brigata sia stato ucciso dai suoi soldati e che in taluni reparti si siano verificati rifiuti d’obbedienza agli ordini di avanzare.

A parte questo, i russi non dispongono dei mezzi convenzionali idonei a radere al suolo intere città, come accadde nella seconda guerra mondiale. Hanno pochi bombardieri; una settantina, riservati alle forze nucleari. I missili di cui abbiamo parlato hanno una testata di 6-800 kg, non di diverse ton. I cacciabombardieri hanno poche bombe guidate. Per lanciare quelle non guidate devono volare a bassa quota, divenendo vulnerabili agli Stinger dati all’Ucraina anche dall’Italia ed efficaci fino a 3.500 m di quota. L’unica grande vulnerabilità ucraina consiste nel rifornimento di armi e munizioni. Chi si oppone ad esso, agisce, consapevolmente o no, ha scarsa importanza, a favore di una vittoria di Putin. L’attuale stasi dell’avanzata russa e il ridimensionamento degli obiettivi del Cremlino, derivano dall’eroica resistenza ucraina. Sarà la fermezza e l’unità dell’Occidente a dissuadere Putin dal ricorso ad armi di distruzione di massa. La dissuasione ha concorso ad evitare che la guerra fredda si trasformasse in calda. Giovanni Paolo II l’aveva capito bene.

La sosta nelle operazioni potrebbe essere utilizzata dal comando russo per concentrare le forze e impiegarle su un unico obiettivo strategico, il cui raggiungimento possa essere presentato da Putin come una vittoria significativa e consentirgli di dichiarare un “cessate il fuoco”, salvando la faccia e il suo potere al Cremlino. Tale obiettivo è, con ogni probabilità, il Donbass. È stato anche detto alle truppe che la guerra terminerà il 9 maggio, anniversario della vittoria nella “Grande guerra patriottica”. È però altrettanto probabile che gli ucraini non accetteranno perdite territoriali tanto ingenti quanto l’intero Oblast del Donbass. Non cederanno, soprattutto se riusciranno a sottrarre all’accerchiamento russo le forze schierate a protezione delle province dell’Oblast non facenti parte delle due repubbliche secessioniste del Donetsk e del Lugansk.


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