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La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente russo Vladimir Putin

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La guerra in Ucraina ha messo a nudo tutte le fragilità europee. Una sicuramente è quella di previsione perché nessuno dei leader continentali e dei media immaginava un confitto di questa portata ma credeva che al massimo Putin si sarebbe fermato al Donbass. I buchi nelle previsioni derivano dall’intelligence ma anche dai centri di studi strategici: in Europa ne abbiamo molti ma Bruxelles non è dotata di un suo centro strategico, se non alla Nato. Questo deriva dalla mentalità prevalente nei Paesi dell’Unione europea e che in Italia ha la sua massima espressione nella disattenzione alla politica internazionale. Del resto l’Unione europea non ha mai avuto una politica estera e di difesa comuni e soltanto adesso muove i primi e incerti passi.

Da questo deriva che al di là della retorica dell’unità di intenti l’Europa appare come sottomessa alla Nato e alle direttive imposte dagli americani. La stessa Alleanza Atlantica del resto non è così unita come vuole sembrare, se non in un intento: evitare una guerra a tutti costi con Mosca. Eventualità per altro cui si deve preparare perché non è immaginabile al momento che la questione ucraina sia risolta soltanto da una tregua o da quale frettoloso accordo pace. La mancanza di unità è sottolineata dalla Turchia, Paese membro della Nato dagli anni Cinquanta, che non ha messo sanzioni alla Russia e ha confermato l’acquisto da Mosca di batterie anti-missile S-400.

Se l’Europa non vuole una guerra deve spingere la Nato e gli Usa un accordo con Mosca. Sono anni che si devono rinnovare gli accordi sui missili balistici e su quelli di teatro e soprattutto sono anni che la Russia mostra insofferenza verso l’espansione della Nato a Est. Purtroppo invece di arrivare a patti, l’Europa ha lasciato che fossero gli americani a occuparsi delle questioni chiave dell’Est europeo. Tanto è vero che gli Stati Uniti avevano già rifornito di armi sofisticate e di consiglieri militari gli ucraini che altrimenti non avrebbero resistito così tanto all’esercito russo. Sono stati gli Usa a fare la politica europea nei Paesi orientali dell’Unione, Bruxelles si è limitata agli aspetti economici e giuridici.

L’altra fragilità europea è quella economica ed energetica. Ci voleva una guerra per scoprire che buona parte dell’Europa dipendeva da Mosca? La scellerata iniziativa di Putin ha sconvolto l’Ucraina con morti, distruzione e profughi, ma ha messo al tappeto anche l’Europa che prende dalla Russia in media il 40-50% del suo gas. Ora sono gli Stati Uniti che ci venderanno il gas per sganciarci, progressivamente, dalla dipendenza da Mosca: con prezzi superiori a quelli russi in media del 20% e soprattutto senza una garanzie reali di forniture continue.

Il caso Nord Stream 2 è emblematico di come confliggono gli interessi americani ed europei. Non si tratta soltanto di una questione economica ma strategica. Voluto fortemente dalla ex cancelliera Angela Merkel, il Nord Stream era la vera leva politica ed economica che tratteneva Putin da azioni dissennate come la guerra in Ucraina. Molti non lo avevano capito perché attribuivano al gas russo una valenza soltanto economica: aveva invece un enorme valore politico per tenere agganciata Mosca all’Europa.

Uscita di scena la Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero. La guardiana di Putin e del gas non c’era più e gli americani hanno capito che il presidente russo era diventato più pericoloso ma anche più vulnerabile. Per due mesi gli Usa hanno avverto dell’invasione dell’Ucraina perché sapevano che contestando, come hanno fatto, il Nord Stream 2 si apriva una falla. I gasdotti sono stati il cordone ombelicale che ha legato Mosca all’Unione europea, la dipendenza dava a Putin un senso di sicurezza, lo strumento per condizionare gli europei e renderli più docili e interessati alle sorti della Russia.

Quando Mosca ha capito che con il debole cancelliere Scholz il Nord Stream 2 non sarebbe stato al sicuro ha cominciato le minacce all’Ucraina che in precedenza russi e tedeschi avevano pagato perché non protestasse troppo per la realizzazione del gasdotto, assai temuto dalla Polonia in quanto visto come uno strumento di espansione dell’influenza Putin. Gli americani per altro avevano già messo alle corde anche la Merkel, obbligandola ad acquistare quantitativi di gas liquido americano di cui Berlino allora non aveva alcun bisogno.


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