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Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin

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Non è facile leggere l’andamento di questa guerra e ancora più difficile e incerto è l’esercizio di prevederne gli sviluppi. La guerra ha già cambiato aspetto varie volte.

Nelle aspettative di Vladimir Putin doveva probabilmente ridursi a una sorta di marcia trionfale per ricondurre l’Ucraina intera nel grembo di Madre Russia. Probabilmente pensava che l’opposizione si sarebbe limitata allo scontro con poche e deboli milizie di estrema destra. Invece si è trovato a combattere tutto un popolo, deciso e bene armato.

A questo punto l’obiettivo è probabilmente divenuto la decapitazione della leadership ucraina attraverso la conquista delle maggiori città e il controllo della rete energetica. Anche questo obiettivo è stato abbandonato, dopo aver constatato che le forze impegnate nella battaglia erano numericamente e qualitativamente insufficienti a distruggere la resistenza.

NUOVA STRATEGIA RUSSA

Nuovo cambiamento di quadro: ora l’obiettivo sembra essere essenzialmente la conquista delle due regioni meridionali di Donetsk e Luhansk, nonché della regione di Mariupol che collega quelle terre alla Crimea. In tal modo la Russia assumerebbe il controllo dell’intero mare di Azov e guadagnerebbe un accesso territoriale diretto alla Crimea.

Nel frattempo le forze penetrate nel nord dell’Ucraina, che minacciavano le principali città del Paese e la capitale Kiev, sembrano arretrare, forse preparandosi a lasciare il terreno o forse per riorganizzarsi in vista di nuovi attacchi.

In questo frangente le forze ucraine, che avevano tentato invano di rompere l’assedio di Mariupol, questa volta sembrano aver lanciato un riuscito colpo di mano in territorio russo, distruggendo il deposito carburanti di Belgorod, che rifornisce le truppe che avevano tentato di espugnare Karkhiv.

Nessuna di queste mosse può essere considerata decisiva. Le conquiste territoriali russe sono molto fragili e il loro mantenimento richiede la costante presenza di forti guarnigioni. D’altro canto la resistenza e i contrattacchi ucraini possono impedire la vittoria dei russi, ma non possono bloccare il proseguire dell’attacco.

In altri termini sembriamo avviarci verso uno scenario di guerra lunga, guerra di posizione, dai fortissimi costi economici e umani, in particolare per gli ucraini, sul cui territorio viene combattuta. Oggi come oggi la conclusione della guerra sembra legata a due possibili sviluppi: al crollo psicologico e politico di uno dei due contendenti, oppure a un accordo di pace negoziato tra le parti.

LA REALE DISPONIBILITÀ DI PUTIN

Non possiamo escludere lo scenario del crollo (o del mutamento di regime) né per l’Ucraina né per la Russia, anche se per ora non sembrano esservi segnali in tal senso.

Chi punta a questa soluzione mette probabilmente in conto tempi piuttosto lunghi: pensiamo a precedenti quali la guerra del Vietnam o la stessa Prima guerra mondiale. Nel frattempo potrebbe avvenire di tutto e di più, in particolare in Europa.

Molto più allettante è la soluzione negoziale, che però deve fare i conti con l’effettiva disponibilità delle parti a trattare per raggiungere un compromesso accettabile, di cui però ancora oggi non si vedono le possibili forme. Molto sembra dipendere da Putin personalmente: egli non ha ancora chiarito quale sia la sua reale disponibilità.

Ed è su questo punto che si agita la diplomazia internazionale, cercando nei modi più diversi di stabilire un dialogo reale col presidente russo e di scoprire se e come sia possibile influenzarne le scelte. In questa direzione vanno i tanti colloqui bilaterali con Putin tentati in questi giorni dai maggiori politici europei, senza però che essi sembrino aver sortito effetti significativi.

L’argomento è stato anche affrontato nel vertice tra Cina e Unione europea, in particolare con Xi Jin Ping, sia per convincere la Cina a non aiutare militarmente la Russia e a non favorire tentativi di aggiramento delle sanzioni economiche, sia per sfruttare i buoni uffici del più importante alleato rimasto al Cremlino. Anche in questo caso, però, l’iniziativa non sembra aver raggiunto risultati significativi, forse anche perché, almeno in questa prima fase, la Cina potrebbe ritenere che questa guerra le stia portando più vantaggi che svantaggi.

IL TEMPO STRINGE PER I PAESI “ASTENUTI”

C’è in molti Paesi come un senso di attesa. Molti, dal Brasile al Sud Africa, pur condannando l’invasione russa, non intendono schierarsi apertamente contro Mosca, per convenienze particolari o anche semplicemente per non favorire un predominio politico-ideologico americano (ed europeo). In alcuni casi, come quello dell’India, il Paese tenta di giocare contemporaneamente partite diverse, con la Russia contro il Pakistan e con gli Usa contro la Cina. Posizioni altrettanto intricate vengono tentate, per esempio, dalla Turchia.

Il conflitto tra Russia e Ucraina diviene così una sorta di reagente, una cartina al tornasole che rivela le ambizioni e le priorità un po’ di tutti i Paesi interessati, direttamente o indirettamente, al rapporto con i due protagonisti. Con la Russia in primo luogo, naturalmente, che ha una rete di relazioni internazionali molto estesa e ben rodata, ma anche con l’Ucraina che in qualche caso ha un’importanza strategica, come ad esempio nel caso dell’Egitto che importa da Kiev gran parte del suo grano.

Anche questa situazione, però, non può prolungarsi indefinitamente nel tempo. Inevitabilmente, col proseguire della guerra, delle sanzioni e delle contro sanzioni, le posizioni intermedie diverranno sempre più difficili da mantenere: la pressione a schierarsi a favore di uno dei due contendenti tenderà ad aumentare, ed è prevedibile che favorirà più l’Ucraina che la Russia.

Se al Cremlino dovessero condividere una tale analisi, dovrebbero anche prepararsi a forti concessioni negoziali, pur di chiudere l’avventura.

Vedremo nei prossimi giorni.


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