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CROLLA la spesa alimentare delle famiglie, chiaro segnale della difficoltà a reggere il ritmo degli aumenti delle bollette, del pieno macchina e del carrello della spesa. L’inflazione morde e i piatti a tavola si sguarniscono. E lo scenario che si prospetta è sempre più cupo.

La guerra non si ferma e il barometro dell’economia mondiale (e italiana) volge al peggio. Due i dati che ieri hanno disegnato il quadro. Le vendite al dettaglio che, secondo l’Istat, per quanto riguarda i beni alimentari registrano un calo in volume di quasi il 2% a fronte di un incremento in valore del 3,1% e il trend dei prezzi mondiali delle derrate alimentari. Numeri tanto distanti a livello territoriale quanto vicini nella ricaduta per i bilanci delle famiglie.

I prezzi dei prodotti alimentari mondiali hanno raggiunto il livello più alto di sempre cioè da quando è stato istituito l’indice nel 1990. E’ il verdetto della Fao che ha fotografato a marzo una situazione tragica per le derrate alimentari con impatti devastanti per la situazione dei Paesi più poveri. La guerra nell’area del Mar Nero, sottolinea il report pubblicato ieri, ha infatti provocato “un diffuso shock sui mercati dei cereali di base e degli oli vegetali”. L’indice ha toccato una media di 159,3 punti con una crescita del 12,6% rispetto a febbraio, ma con un +17% per il grano e i cereali grezzi. Federazione Russa e Ucraina, insieme, hanno rappresentato rispettivamente circa il 30% e il 20% delle esportazioni globali di grano e mais negli ultimi tre anni. Per il grano, influenzato anche dalle preoccupazioni per i raccolti degli Stati Uniti, l’indice si è impennato del 19,7%, e del 19% per il mais. E ancora, aumenti record (+23,2%) per l’olio vegetale trainato dall’olio di semi di girasole ci cui l’Ucraina è il principale esportatore del mondo. Per effetto del girasole è salita anche la soia che, tra l’altro, risente delle minori esportazioni del Sud America.

Ma segni positivi la Fao li rileva per tutti i prodotti alimentari dallo zucchero (+6,7%) alla carne (+4,8%) fino ai rialzi rilevanti per latte e formaggi (+23.6% rispetto allo scorso anno). Mentre le prospettive sono tutte da rivedere. Secondo la Fao infatti la produzione mondiale di grano nel 2022 si sarebbe dovuta attestare su 784 milioni di tonnellate.

A mancare all’appello i raccolti dell’Ucraina relativi alla coltivazione invernale. La produzione infatti non arriverà sul mercato per la distruzione diretta dei campi, per l’impossibilità di raccogliere e per i trasporti. La Fao inoltre ha rivisto al ribasso l’andamento della commercializzazione nella campagna in corso. Una situazione che – ha commentato la Coldiretti – nei Paesi più ricchi provoca inflazione, mancanza di alcuni prodotti e aumenta l’area dell’indigenza alimentare ma anche gravi carestie nei Paesi meno sviluppati. E’ quanto è accaduto negli anni con le drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che peraltro è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina. Ma in difficoltà sono anche Paesi come il Congo che importa da Mosca il 55% del suo grano e da Kiev un altro 15%.

A causa del disastroso conflitto c’è un buco pari a un quarto del grano mondiale. Ucraina e Russia controllano, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga, circa il 28% sugli scambi internazionali con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16 % degli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) e il 65% di quelli di olio di girasole (10 milioni di tonnellate). Non ci saranno poi le semine primaverili sulla metà di ettari coltivati in Ucraina ( 7 su un totale di 15) e saranno bloccate le spedizioni dai porti del Mar Nero verso i Paesi “ostili”. Le quotazioni sono destinate a crescere e inevitabilmente si scaricheranno sui consumatori.

Le aziende intanto sono ai limiti, pressate dal caro bollette e dagli acquisti più onerosi. Un cortocircuito che non potrà che impoverire il Paese. Un trend confermato dal segnale dell’Istat. Si compra meno e si paga di più e dunque per molti nuclei familiari, già provati da due anni di pandemia, la scelta obbligata è dirottare verso acquisti low cost. Le vendite nei discount infatti sono aumentate del 7,7%. Il risultato dei discount – secondo Coldiretti – evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo. D’altra parte le imprese agricole e dell’industria alimentare sono costrette ad affrontare costi elevatissimi da quelli energetici agli aumenti record di materie e non solo alimentari. Costa di più il vetro, i barattoli, il legno, la carta per le etichette e gli imballaggi, le retine senza contare la logistica.

Anche Confcommercio evidenzia come la più penalizzata “è la componente alimentare, su cui cominciano a pesare anche gli effetti degli aumenti dei prezzi indotti dai rincari registrati alle fasi antecedenti il consumo”. Le maggiori criticità, secondo l’organizzazione del commercio, le avvertono le piccole imprese schiacciate dai rincari dell’energia.

Per Assoutenti si è verificato quanto pronosticato e cioè che gli aumenti su beni di prima necessità quali pane, pasta e ortofrutta, avrebbero portato a un taglio dei consumi delle famiglie. “Il taglio della spesa alimentare da parte degli italiani è un segnale allarmante” che secondo Assoutenti “deve spingere il Governo ad adottare misure straordinarie, soprattutto in considerazione dell’andamento al rialzo dell’inflazione. E la ricetta per l’Associazione “ Sono i prezzi amministrati almeno per i generi di prima necessità come i beni alimentari, per bloccare le speculazioni e contrastare gli effetti del caro-bollette e della guerra in Ucraina”. La Confesercenti, da parte sua, mette in evidenza il recupero per le vendite del settore non alimentare che hanno particolarmente sofferto durante la pandemia. Nel 2021, dai dati di Confesercenti, si evidenzia infatti un gap di 5,5 miliardi di fatturato da recuperare con il picco di abbigliamento e calzature che supera i 3,6 miliardi. Ma l’andamento crescente dell’inflazione e il rallentamento del recupero a causa della crisi internazionale allontana prospettive favorevoli. Con bollette sempre più incandescenti e prezzi di prima necessità gonfiati la strada degli acquisti per i cittadini è sempre più stretta.

E intanto ieri al Consiglio dei ministri agricoli dell’Unione europea il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, è tornato sul tema della sicurezza alimentare e della situazione dei mercati agricoli in Europa alla luce del conflitto bellico in Ucraina, che ha acuito – ha spiegato il ministro – un contesto già difficile a causa delle problematiche dovute alla pandemia, alla siccità, alle patologie zootecniche e ai costi energetici già in aumento prima del conflitto. Per questo Patuanelli ha chiesto «di mettere a disposizione degli agricoltori tutti gli strumenti straordinari per sostenere le loro attività produttive così fondamentali per la vita dei cittadini europei». Per l’Italia recuperare le posizioni non sarà facile. Ci sono 200mila ettari che si potranno utilizzare perché “liberati” dal set aside, ma come ha ricordato Coldiretti “il nostro Paese negli ultimi 25 anni ha perso ¼ della propria superficie coltivabile per colpa dell’insufficiente riconoscimento economico del lavoro in agricoltura”. Da qui l’appello del presidente dell’organizzazione, Ettore Prandini a «invertire la tendenza e investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei».


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