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Zelensky e Putin

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SULLA guerra in Ucraina e sul modo con cui farla cessare se ne sentono di tutti i colori. Rispetto alle analisi strategiche pacate e informate, dominano le emozioni, i preconcetti ideologici e la mancanza di conoscenza dei fatti. Molte analisi sono fatte in perfetta buona fede. Altre certamente no.  Molte affermazioni sul come Putin abbia deciso l’aggressione sono chiaramente finalizzate dai loro autori, se non a giustificarlo, almeno a mantenere un’equidistanza fra aggressore e aggredito. Molte proposte su come fare finire il conflitto o, almeno, giungere a una tregua temporanea dimostrano una completa ignoranza dei meccanismi propri delle guerre e delle condizioni che permettono una pace di compromesso, tramite negoziati fra le due parti che si combattono, anziché con l’annientamento del vinto.  

DUE TIPI DI PACE

La pace viene acriticamente contrapposta alla guerra, mentre tutta la storia insegna che in ogni conflitto si contrappongono sempre due tipi di pace differenti: nel caso ucraino, quella di Putin contro quella di Zelensky. Nessuno fa la guerra per la guerra, ma per la pace che sempre la segue. Quest’ultima riflette il risultato delle operazioni militari e le valutazioni benefici/costi fatte dai due avversari nel decidere se conviene loro continuare a combattere e arrendersi o iniziare trattative di pace. Non per nulla Clausewitz dice che l’attività umana più simile alla guerra è il commercio, Un affare viene concluso solo quando fra venditore e compratore viene trovato un punto d’incontro sul prezzo del prodotto.

Come dimostrato dai gesuiti padre O’Brian della Georgetown University (The Practice of Just and Limited War) e Joblin (L’Eglise et la guerre) della Gregoriana – le cui idee sono riprese sia nella lettera di Giovanni Paolo all’Assemblea Generale dell’Onu del giugno 1982 sulla liceità morale della dissuasione nucleare, sia nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1985 – la teoria della “guerra giusta” presenta strette analogie con quella clausewitziana della guerra limitata. Oggi tale dottrina agostiniano-tomistica tradizionale non sembra godere in Vaticano di grande consenso. Domina la tesi che la guerra possa essere espunta dalla storia e che, comunque, la guerra non possa essere mai giusta. Non è stato precisato, se non in termini retorici, come sostituire la teoria tradizionale. Nulla di nuovo in verità.

La maledizione della guerra è nella storia antica come la guerra. Il suo inconveniente è che lascia le cose come stanno, con l’aggiunta del rischio che la guerra da limitata diventi “santa”, benedetta da Dio e dai suoi rappresentanti in terra, come ha fatto il Patriarca Kirill nell’aggressione di Putin in Ucraina.

CONDIZIONI PER TRATTARE  

Come, un po’ maliziosamente ha detto padre Niebuhr, consigliere spirituale di Morganthau, il grande politologo realista, la pretesa di eliminare la guerra dalla realtà sarebbe analoga a quella di abolire il peccato originale. È un’affermazione condivisibile anche da molti non-credenti che di storia si interessano. Beninteso, tutti auspicano la fine del sanguinoso e devastante conflitto in Ucraina. Ma non serve a nulla l’appello alla trattativa quando non ne esistono le condizioni.

A parer mio solo un’approfondita analisi strategica può aiutare a prevedere quando esse si creeranno e non saranno semplici mosse propagandistiche, cioè battaglie nella guerra delle informazioni, che accompagna ogni conflitto. Essa è sempre più diffusa ed efficace con i nuovi media, che sono a copertura globale, che diffondono notizie e immagini in tempo reale e che tendono a drammatizzare situazioni già di per stesse drammatiche, anche per motivi di audience. Lo si è visto nel caso dei massacri di Bucha. L’indignazione che hanno suscitato è stata amplificata da quell’ottimo comunicatore che è Zelensky.

A parer mio, ha esagerato mostrando di voler stravincere sul piano comunicativo, chiedendo di sottoporre Putin e i diretti responsabili del massacro a una nuova “Norimberga” oltre che alla Corte penale internazionale per i crimini di guerra.

SHOW E BUFFONATE

La mia quadriennale esperienza in Bosnia-Erzegovina per l’attuazione degli accordi di Dayton mi ha insegnato che l’intervento della Corte può determinare grossi guai, rendendo più difficile, se non addirittura bloccando, in nome della Giustizia, il processo di pace. Dopo laboriose trattative durate quasi due anni, ero giunto con le “parti” a un accordo per avere in Bosnia reparti multietnici, anziché separati fra serbi, musulmani e croati, pronti a combattersi l’un l’altro. Il mio allora capo, che era il ministro degli Esteri austriaco, volle fare uno show, facendo firmare l’accordo a Vienna con i ministri della Difesa e i capi di stato maggiore delle tre etnie.  I serbo-bosniaci, che per la paura di essere arrestati non lasciavano mai il loro territorio, avevano voluto che l’invito fosse firmato addirittura dal presidente della Repubblica austriaca, pensando di essere tutelati da “sorprese”. Qualche servizio d’intelligence (verosimilmente anglofono) aveva passato l’informazione alla Corte dell’Aja. Il generale Talic, capo di stato maggiore della repubblica Serba fu arrestato nel mio ufficio, dove stavamo concordando  i dettagli della cerimonia di firma dell’accordo. Risultato: fallimento dell’unificazione delle unità e qualche attentato e manifestazione di protesta, che interruppero per qualche tempo gli accordi di pace e per anni l’unificazione delle forze armate.  

Nel caso di Putin, si venderebbe la pelle dell’orso prima di catturarlo e si rafforzerebbe la sua indisponibilità a ogni compromesso (ammesso, ma non concesso che ce l’abbia.). Tra le disinformazioni più ricorrenti  sono quelle che gli aiuti militari americani ed europei all’Ucraina siano la causa del conflitto o, almeno, della sua continuazione, e quelle che Putin sia stato provocato dalla Nato e dagli Usa e costretto ad attaccare per salvaguardare interessi vitali della sicurezza russa. Tratterò la questione in un altro articolo, data l’opportunità di un’analisi approfondita, vista la rilevanza che ha nel dibattito pubblico in Italia.

Tra quelle che a parer mio sono “buffonate” mi limito a due. La prima è l’ignobile battuta di un noto personaggio televisivo secondo cui quella di Mariupol sarebbe una fiction. La seconda riguarda il Vaticano. La possibilità di “mediazione” del Santo Padre è ipotizzabile solo dopo una buona bottiglia di grappa. La sua visita a Kiev, molte volte annunciata, ma che sarebbe tuttora allo studio, sta divenendo una barzelletta, eccetto per gli esperti dell’infowar di Zelensky. Per fortuna, non andrebbe più con il Patriarca Kirill (quello che ha benedetto l’aggressione russa e che vorrebbe liberare l’Ucraina dal “peccaminoso obbrobrio” dei gay). Avremmo dovuto mandare la, “Folgore” a proteggerlo dalle sassate.

Non vedo proprio cosa andrebbe a fare, se non prestarsi a un po’ di propaganda per Zelensky, che già gli ha fatto lo scherzo di mandargli una bandiera ucraina da Bucha, con lo stemma delle forze armate di Kiev. Tutt’al più potrebbe tentare una difficile mediazione fra le due autorità ortodosse ucraine: il Patriarca Filarete (della Chiesa autocefala, legata a Costantinopoli) e il Metropolita Onofrio, fedele al Patriarcato di Mosca.

IL PUNTO DI SVOLTA

Le condizioni per una concreta trattativa di pace si creeranno solo se gli ucraini riusciranno a battere o, almeno a respingere la seconda fase dell’aggressione russa a Est e a Sud del loro Paese. Invece, se dovessero aver successo i russi, ritengo improbabile che gli ucraini si arrenderebbero o accetterebbero mutilazioni territoriali. Inizierà invece una terza fase del conflitto. Consisterà in una feroce guerra di guerriglia che durerà anni, fino alla “rieducazione” completa del popolo ucraino, che secondo la Tv di Mosca potrebbe durare anche 25 anni.


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