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Papa Francesco

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BASTAVA ascoltare come il Papa ieri leggeva il testo della catechesi all’udienza generale, un testo non suo, preparato come sempre dagli “uffici”, ma che lui si sforzava di rendere più diretto, più incisivo, ripetendo certe frasi o facendo delle aggiunte a braccio, ecco, bastava ascoltare come il Papa pronunciava il discorso all’udienza generale, e si sarebbe capito una volta di più lo stato di profonda sofferenza, ma anche di frustrazione, e perfino di stanchezza, che provano ai piani alti della Santa Sede, nel dover constatare l’inutilità di ogni sforzo per fermare la guerra in Ucraina.

IL RUOLO PERDUTO  

Ma perché il Vaticano non riesce più ad avere un peso, a svolgere un ruolo da protagonista, nei conflitti che continuano a sconvolgere l’umanità? Solo per l’incancrenirsi delle situazioni, dei conflitti? Solo per la colpevole incapacità delle organizzazioni internazionali, e l’Onu in primis, nell’evitare il peggiorare di quelle situazioni, nel rimuovere le cause di quei conflitti? O non anche per l’indeterminatezza delle scelte compiute dalla Santa Sede negli ultimi anni? Si contesta la logica “mondana” della geopolitica, ma se ne è rimasti, in qualche modo, invischiati, se non prigionieri.  

Sì, certo, le parole di Bergoglio, ieri, erano parole forti. Forse, anzi, tra quelle più forti dette dal capo della Chiesa cattolica da quando è scoppiata la crisi ucraina. «…l’aggressione armata di questi giorni, come ogni guerra, rappresenta un oltraggio a Dio, un tradimento blasfemo del Signore della Pasqua, un preferire al suo volto mite quello del falso dio di questo mondo. Sempre la guerra è un’azione umana per portare all’idolatria del potere».  Un bellissimo discorso per ricordare, Vangelo alla mano, che cosa sia la vera pace, la pace di Gesù. Un bellissimo discorso ma che aveva, all’origine, il solito vizio di fondo: la mancanza di un riferimento preciso, nomi, cognomi, Paesi, luoghi, responsabilità. Niente di niente.  

L’OSSESSIONE EQUIDISTANZA

E così, se non si parla mai espressamente di Putin, né di Mosca, e ora, incredibilmente, penosamente, da domenica non si parla più neppure di Ucraina, è  inevitabile che tutto diventi generico, sfumato, evasivo. E, peggio ancora, che tutti – aggressore e aggredito – siano messi sullo stesso piano. Ma questa “equidistanza” – diciamolo nel suo termine positivo – può davvero favorire una eventuale opera di mediazione? Se il Papa non cita Putin, per non dar l’impressione di considerarlo in assoluto il solo responsabile di questa tragedia, non pensa che un simile atteggiamento possa venir preso malamente, ossia come troppo di parte, da Zelensky?  «La pace che Gesù ci dà a Pasqua – ha detto ieri Francesco – non è la pace che segue le strategie del mondo, il quale crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie forme di imposizione».

E invece, la pace del Vangelo, si può imporre?  È una domanda che sorge spontanea, ripensando a quanto stava progettando la Santa Sede per la Via Crucis al Colosseo, cioè di coinvolgere una famiglia russa e una famiglia ucraina, le quali avrebbero dovuto portare insieme la croce in segno di pace. Intenzione nobilissima, evangelica, senza però tener conto della inopportunità – sul piano della sensibilità umana, prima ancora che religiosa – di un evento del genere, e proprio nel momento in cui Mosca sta scatenando un nuovo sanguinoso attacco.  C’è stata infatti la critica immediata del nuovo ambasciatore ucraino presso la Santa Sede. Ma, ancora più doloroso e significativo, c’è stato l’intervento dell’arcivescovo greco-cattolico di Kiev, Shevchuk. Ha definito i testi e i gesti previsti per la XIII stazione della Via Crucis non solo incomprensibili ma addirittura «offensivi».  E ha fatto sapere di aver ricevuto «numerosi appelli» da parte dei fedeli, che gli chiedevano di trasmettere alla Santa Sede «la grande indignazione e il rifiuto di questo progetto da parte degli ucraini di tutto il mondo».

STRATEGIA DA RIPENSARE  

La “ossessione” dell’equidistanza, evidentemente, continua a imperare nelle stanze vaticane. Come anche per il ventilato incontro del Papa con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill.  Tutti a dire che ci sarà, e che sarà necessario. Ma, almeno a giudicare in questo momento, a che servirà? Non sarà un ulteriore motivo di confusione? Domenica scorsa, quasi contemporaneamente, papa Francesco invocava una «tregua pasquale», e Kirill invece benediceva la guerra, invitava il popolo russo a raccogliersi attorno alle autorità, ai leader, al potere che è «una istituzione inalienabile, creata da Dio».

Papa Francesco rievocava Cristo sulla croce, il suo ultimo comandamento, quello di «amare i nemici», e Kirill invece, sollecitando una mobilitazione generale in difesa della madrepatria, chiedeva di «amare i fratelli» e, per essere più chiaro, di «respingere i nemici, sia interni che esterni».

La pace di Gesù, diceva ieri Bergoglio, «non è frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé». Parole che, viste come sono andate finora le cose, dovrebbero forse ispirare un qualche ripensamento nella strategia delle gerarchie vaticane.


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