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Lo stop iniziale imposto dalla resistenza ucraina all’avanzata russa e l’apertura del tavolo negoziale in Turchia avevano fatto sperare in una rapida conclusione della guerra o, quanto meno, in una sospensione dei combattimenti. Nulla di tutto questo è accaduto. Al contrario, né da parte russa né da parte ucraina provengono segnali distensivi, di possibile compromesso.

Ci si era illusi, per qualche momento, che la disponibilità espressa da Volodymyr Zelensky di accettare uno statuto di neutralità dell’Ucraina, e un qualche ammorbidimento, quanto meno verbale, della posizione di Vladimir Putin, che non sembrava più insistere sull’obiettivo di conquistare l’intero Paese e di “epurarlo” politicamente, potessero preludere a una sorta di tregua armistiziale.

LA TATTICA DI MOSCA

Invece la Russia ha utilizzato questo tempo per riorganizzare e potenziare il suo attacco, focalizzandolo maggiormente (ma non esclusivamente) sull’area Mariupol/Donbass, mentre l’Ucraina ha ricevuto nuove forniture di armi, più sofisticate e performanti. La guerra è quindi continuata, con la Russia che attua una strategia di feroce livellamento preventivo del campo di battaglia con l’uso intenso di armi pesanti a lunga gittata, mentre gli ucraini tentano di rallentare e indebolire le forze russe e di tagliare le loro linee logistiche.

Naturalmente aumenta anche la tensione tra le forze difensive schierate dalla Nato e quelle russe, non solo nei dintorni dell’Ucraina, ma anche nel Baltico, attorno alla penisola di Kaliningrad (l’antica Koenigsberg, dove nel 1795 Immanuel Kant pubblicò il suo famoso trattato “Per la pace perpetua”) trasformata da Mosca in una gigantesca base aeronavale e missilistica nel bel mezzo di un mare largamente controllato dalla Nato e dai suoi alleati nordeuropei.

Malgrado tutto, però, nessuno sembra realmente pronto, oggi, a puntare su un allentamento della tensione militare. Probabilmente Putin, dopo la severa lezione subita durante la prima fase della guerra e ora anche dopo l’affondamento del Moskva, la nave ammiraglia della squadra navale basata a Sebastopoli, nella neo-riannessa Crimea, cerca una qualche forma di vittoria, un successo politicamente spendibile, che gli permetta o di proseguire nella guerra con il consenso del suo popolo, ovvero di ricercare una tregua a condizioni per lui favorevoli.

LE STRATEGIE DI KIEV

La posizione ucraina è ovviamente speculare a quella russa. Kiev intende accrescere al massimo livello possibile il costo, umano ed economico, delle operazioni militari avversarie, e possibilmente negare loro la opportunità di chiudere le regioni occupate in una bolla impenetrabile ai contrattacchi: preludio essenziale per arrivare poi a decretare il distacco di quei territori dalla madrepatria.

Intanto l’Ucraina procede a porre le basi di una sua maggior sicurezza futura, stringendo legami formali con l’Unione europea e rafforzando il suo rapporto con Washington. A guardare dunque le azioni dei contendenti, sembra di poter dedurre che ambedue si preparano a una guerra ancora lunga, senza reali prospettive di tregua e ancor meno di armistizio.

Questa però è una situazione che comporta conseguenze negative anche sul più largo teatro internazionale. Le polemiche sul G-20, il confronto con la Russia nel Fondo monetario e nella Banca mondiale, le intricate manovre diplomatiche dei tanti Paesi che cercano di evitare di schierarsi operativamente contro la Russia (anche quando condannano l’attacco all’Ucraina, come per esempio nel caso dell’Indonesia) stanno mettendo a dura prova quel che ancora resta e funziona del governo del sistema globale. Ne deriva una crescita dell’incertezza e un aumento dei rischi di rottura e di confronto anche in altre parti del mondo.

Nel complesso si percepisce un netto prevalere di tatticismi opportunistici (basta guardare alla posizione diplomatica assunta da Israele nei confronti della Russia), che alimentano la sfiducia nella capacità e nella volontà delle classi dirigenti mondiali (e non solo si quelle russe ed ucraine) di imporre almeno una tregua alla guerra, se non la pace.

NÉ PAURA NÉ IMPAZIENZA

In tal modo, inoltre, si attenua e rischia di sparire la capacità dei più di continuare a distinguere tra la ragione e il torto, o quanto meno tra l’aggredito e l’aggressore. La paura, alimentata dall’assenza di prospettive di pace, alimenta posizioni negazioniste (né con Mosca, né con Kiev) che tendono a evitare ogni giudizio di valore, mettendo ogni violenza sullo stesso piano e rendendo quindi impossibile ogni comprensione della storia quale realmente è.

Una guerra lunga, in Europa, di questo rilievo politico, non potrà concludersi facilmente senza vinti e senza vincitori, anche se è possibile che le potenti macchine propagandistiche, maneggiate dai “troll” mediatici delle maggiori potenze, cerchino di mascherare e falsare il risultato, almeno per un tempo.

È essenziale evitare che l’aggressore possa farsi forte di una vittoria reale e permanente, anche se è possibile che opportunità politiche spingano a concedergli un successo tattico che possa sfruttare propagandisticamente a fini interni. Ma è una strada molto difficile e ambigua, un desiderio che Putin potrebbe cercare di sfruttare per ottenere un successo politico molto più sostanziale: quel successo che le armi non gli hanno sinora dato. Attenzione, dunque, a cedere all’impazienza o alla paura. In questa partita bisogna anche saper gestire il tempo di una guerra lunga.


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