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Viktor Orban

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Ancora una fumata nera a Bruxelles sull’embargo al petrolio di Mosca che dovrebbe scattare entro fine anno, e di conseguenza sul varo del sesto pacchetto di sanzioni europee nei confronti della Russia per la guerra all’Ucraina.

Il nuovo round di confronto tra gli ambasciatori dei Ventisette riuniti a Bruxelles sulla proposta illustrata mercoledì a Strasburgo dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è concluso con un niente di fatto. «Ho detto subito che non sarebbe stato facile. Ma non possiamo continuare a inviare ingenti somme di denaro a un Paese che sta conducendo una guerra ingiustificata ai nostri vicini», ha commentato von der Leyen, nel corso di un forum organizzato dalla Faz, rilanciando la necessità di uno stop anche alla dipendenza dal gas di Mosca. Intanto, ha annunciato, l’obiettivo è sostituire con l’idrogeno un terzo del gas russo.

«Dobbiamo slegarci dalle nostre dipendenze dal Cremlino, metteremo fine alle importazioni di petrolio e dobbiamo portare a termine la nostra politica di zero gas dalla Russia», le ha fatto idealmente eco la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo al convegno “The State of the Union” che si è svolto a Firenze.

Il nodo resta resta la durata delle deroghe per alcuni Paesi, in primis Ungheria e Slovacchia, cui si è accodata anche la Repubblica Ceca, e l’entità delle compensazioni economiche per quelli che si troveranno a dover adattare le proprie raffinerie, al momento tarate sul petrolio russo. Sull’embargo «non ci siamo ancora completamente, ma confido che ci arriveremo», ha affermato a fine giornata il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, nel corso di un intervento al Seminario di Salisburgo “Global Europe” confermando lo stallo.

«Abbiamo preso una decisione coraggiosa con questo embargo, perché aggrediamo la principale risorsa di entrate per il Cremlino – ha sottolineato -. E dobbiamo mantenere la nostra unità». Anche Von der Leyen si è detta «fiduciosa» sulla possibilità di portare il «pacchetto in carreggiata». L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell confida in una soluzione entro la fine della settimana. Oggi o domani dovrebbe tenersi infatti un’altra riunione del Coreper per “chiudere” in tempo per lunedì. In caso contrario, ha avvertito Borrell, verrà convocata una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri per discutere la questione.

Intanto l’annunciato veto del presidente dell’Ungheria, Viktor Orban, si è fatto più “pesante”. La proposta Ue sull’embargo «equivale a una bomba atomica» sganciata sull’economia ungherese», ha affermato il primo ministro parlando alla radio di Stato. «Fin dall’inizio, abbiamo chiarito che c’era una linea rossa, che era l’embargo energetico. Hanno attraversato quella linea», ha sostenuto accusando la presidente von der Leyen di aver «attaccato volontariamente o meno l’unità europea» inserendo il greggio nel nuovo pacchetto di sanzioni. Per l’Ungheria, ha sostenuto, non basta la deroga che la Ue sarebbe pronta a concederle per arrivare allo stop delle importazioni di petrolio dalla Russia: fine 2024 invece che entro il 2023, come inizialmente previsto. Stessa proroga verrebbe garantita anche alla Slovacchia, mentre per la Repubblica Ceca arriverebbe alla metà del 2024. Chiede esenzioni anche la Croazia.

«Ci serviranno almeno cinque anni, e anche fondi, per riorganizzare e ricostruire gli stabilimenti. Quindi abbiamo inviato indietro la proposta e alla Commissione europea per una revisione», ha quindi affermato dichiarandosi in attesa di una nuova proposta: «Se è nell’interesse dell’Ungheria saremo felici di discuterne». Orban avrebbe intanto chiesto anche garanzie sulla possibilità di ottenere dall’Unione nuove risorse per investire nella transizione energetica. «Vogliono legare la questione dell’embargo al petrolio russo ai finanziamenti del Recovery Plan, e questo sarebbe un peccato. Non si può legare tutto. Il blocco del petrolio è il blocco del petrolio. Cominciano col dire che sono d’accordo e poi chiedono qualcosa d’altro in cambio. Non è così che si lavora», ha tuonato Borrell. Di ben altro tenore il commento del vice presidente del Consiglio di sicurezza nazionale russo, Dmitry Medvedev, secondo cui Orban «ha fatto un passo coraggioso in un’Europa senza voce. Si è rifiutato di sostenere l’embargo energetico che è distruttivo per l’economia del suo Paese e le folli sanzioni contro le figure religiose (le sanzioni estendono la “blacklist” includendovi anche il patriarca della Chiesa ortodossa Kirill). Sul tavolo resta anche la questione del divieto del trasporto dell’oro nero di Mosca per le navi battenti bandiera degli Stati membri dell’Ue, che costituisce un problema per la Grecia ma anche per Malta e Cipro.

Intanto le ripercussioni economiche del conflitto si fanno sentire in tutto il Vecchio continente e non solo. In Europa, in particolare, secondo l’agenzia Scope Rating, l’Italia e la Germania sono le economie più vulnerabili per via della loro forte dipendenza dall’energia russa, pagando quindi il prezzo più elevato a causa della guerra e dei colli di bottiglia nelle forniture per le restrizioni anti-Covid in Cina. Per il 2022 l’agenzia di rating ha rivisto al ribasso la previsione della crescita italiana a circa il 2,0% -2,5% da circa il 4% prima della guerra. Per il 2023 è stimata all’1,5% -2,0%. “Di conseguenza – si evidenzia nel report – l’Italia raggiungerà il Pil pre-pandemia solo nel quarto trimestre di quest’anno, circa sei-nove mesi in ritardo rispetto a quanto originariamente previsto”. Nonostante una crescita più debole e un’inflazione più elevata rispetto agli altri Stati dell’Eurozona, l’Italia, si sostiene, dovrebbe evitare comunque la stagflazione quest’anno grazie soprattutto al tempismo con cui verranno erogati i fondi Ue.


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