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L'acciaieria Azovstal a Mariupol distrutta dalle bombe

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ALLA fine è stata Mosca a pronunciare la parola che sembra avvicinare la fine dell’assedio di Azovstal: resa. Quella sarebbe stata annunciata da 265 militari ucraini evacuati dall’acciaieria di Mariupol fra la notte e la mattina di ieri. «Ieri (lunedì, ndr) è iniziata la resa dei militanti dell’unità nazionalista Azov e dei militari ucraini bloccati nello stabilimento Azovstal di Mariupol – ha riferito il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov.  

LO SCAMBIO DI MILITARI

«Nell’ultimo giorno – ha proseguito – 265 militanti hanno deposto le armi e si sono arresi, di cui 51 gravemente feriti». I combattenti ucraini sono stati trasferiti sul territorio dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, dunque in zona ostile. Ma sulla loro sorte sono giunte le rassicurazioni del Cremlino. Il portavoce Dmitri Peskov ha detto che «il presidente Vladimir Putin ha garantito che saranno trattati in linea con le leggi internazionali in materia».

Il governo ucraino, ovviamente, non ha confermato la versione di una resa ma – questo l’aspetto più significativo – non l’ha neanche smentita, limitandosi a celebrare il valore dei suoi soldati e delle milizie battutesi per la difesa di Azovstal. Mikhaylo Podolyak, consigliere di Volodymyr Zelensky, ha azzardato un paragone storico niente male. «Ottantatre giorni di difesa del Mariupol passeranno alla storia come le Termopili del XXI secolo – ha twittato – I difensori di Azovstal hanno rovinato il piano russo di catturare l’est dell’Ucraina. Questo ha completamente cambiato il corso della guerra».

Zelensky, da parte sua, ha ringraziato in un videomessaggio i combattenti «tra cui ci sono feriti gravi che hanno bisogno di cure. Voglio sottolineare che l’Ucraina necessità di eroi ucraini vivi. Questo è il nostro principio». La viceministra della Difesa, Hanna Malyar, ha detto che l’Ucraina è stata «costretta» a scambiare i militari feriti con prigionieri di guerra russi, «poiché non c’era altro modo per salvarli». L’operazione, in ogni caso, non si è conclusa. Incerto il numero di persone che sono ancora  nell’hub industriale  ma entrambe le parti hanno confermato il viavai di nuovi convogli di soccorso.  

TRATTATIVE FERME

La “cooperazione” fra Kiev e Mosca su Mariuopol non deve far illudere sulle possibilità di una ripresa del dialogo. Al contrario, il ministro russo degli Esteri, Sergej Lavrov, ha evidenziato che al momento i negoziati non si stanno svolgendo in alcuna forma. Uno stallo confermato da Podolyak: «Attualmente il processo negoziale è sospeso – ha affermato – Dopo l’incontro di Istanbul non ci sono stati cambiamenti, nessun progresso. La Federazione russa resta ancora sulle sue posizioni stereotipate. Ma ogni guerra finisce al tavolo delle trattative, e questo processo sarà moderato da Zelensky». Le tempistiche, però, rimangono poco chiare, anche perché sui colloqui pesa il gelo fra Mosca e Washington, nonostante la telefonata fra ministri della Difesa della scorsa settimana. Ieri Putin, parlando agli imprenditori petroliferi russi, ha ribadito la sua visione di una Ue sotto lo scacco americano. «I Paesi dell’Unione europea – ha sottolineato – attuano sanzioni contro la Federazione russa sotto la pressione degli Stati uniti e questo provoca danni alle proprie economie».  

IL FORCING DI KIEV

Per Putin questa politica energetica si sta traducendo in un «suicidio economico» dei Paesi Ue. «Gli europei – ha detto – ammettono apertamente di non poter ancora abbandonare del tutto le risorse energetiche russe, è tanto più evidente che alcuni Stati Ue, nel cui bilancio energetico la quota di idrocarburi russi è molto alta, non potranno farlo per molto tempo, non saranno in grado di abbandonare il nostro petrolio».  

Ma sul punto continua il forcing di Kiev. «Credo  che davanti a una minaccia del genere l’Europa debba essere più unita – ha detto la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk ad Agorà extra (Rai 3) – Gli altri Stati dell’Europa devono far capire all’Ungheria  che solo la solidarietà e l’embargo possono fermare la guerra».


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