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Joe Biden e Xi Jinping

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Si è tenuto ieri l’ennesimo incontro, in questo caso virtuale, tra il Presidente Biden e il Segretario del Partito Comunista Cinese Xi Jinping; è uno dei tanti bilaterali tra i due rappresentanti di Cina e Usa in quanto Biden nel 2009, allora vicepresidente di Obama, fu incaricato di approfondire la conoscenza di Xi proprio in virtù del suo imminente incarico (2012) a leader supremo della Repubblica Popolare Cinese.

Anche se fa seguito a frequenti dialoghi bilaterali, la telefonata di ieri ha assunto un rilievo particolare per l’assoluta peculiarità del periodo in cui si colloca; anzi, per essere chiari è la criticità del contesto globale a rendere opportuna e auspicata la ripresa di un dialogo diretto tra i leader delle due super potenze, che determinano ormai le sorti del Pianeta.

Mai come in questi mesi abbiamo infatti assistito a focolai di tensione e guerre (per il momento locali) che rischiano di avere un impatto globale: basti pensare al conflitto permanente in Siria, la (quasi) guerra civile in Libia, le tensioni (nucleari) con l’Iran, e più in generale di tutto il medio-oriente, la terribile aggressione russa dell’Ucraina e, come se non bastasse, ieri ha rifatto capolino il dittatore nord-coreano Kim Jong-un, che ha minacciato di mettere in campo azioni di deterrenza nucleare nei confronti degli USA e della Corea del Sud, accusati di mascherare un attacco bellico con una esercitazione militare (effettivamente pianificata dai due Paesi nelle prossime settimane), la prima degli ultimi quattro anni.

Insomma, stiamo vivendo un periodo di disordine (entropia) mondiale, che potrebbe sfociare in un qualcosa di drammatico come un conflitto globale.

Ad aggravare la situazione, vi sono le difficoltà interne alle due super potenze, che di giorno in giorno vedono peggiorare il rispettivo quadro economico. Gli americani sono ufficialmente entrati in recessione ieri: i dati del PIL del secondo trimestre sono negativi (-0,9% su base annua) per la seconda volta nel 2022, l’inflazione è alle stelle (mai così alta negli ultimi 40 anni).

Se combiniamo questi dati con l’ulteriore innalzamento di 75 punti base dei tassi di interesse, comminato dalla Fed, comprendiamo che gli USA rischiano di vivere mesi o anni di stagflazione (ovvero crescita economica nulla e prezzi dei beni in continua crescita). La Cina non se la passa meglio; la crescita del Dragone è stata prossima allo zero nel secondo trimestre (dato che non si registrava dal 1980), vi è un forte rischio di bolla immobiliare – tanto che numerose famiglie cinesi hanno platealmente protestato dichiarando di non essere disponibili a pagare le rate dei mutui sulla casa per via del crollo dei prezzi del real estate -, stanno riprendendo i lockdown, che hanno già provocato danni ingenti all’economia cinese, in nome della politica di tolleranza zero; il tutto nel delicatissimo anno in cui si tiene (a novembre) il XX Congresso del Partito Comunista, che dovrebbe incoronare Xi Jinping leader a vita.

È dunque in questo quadro, di grande complessità politica ed economica, che dobbiamo collocare il dialogo di ieri tra i due Presidenti, che fa seguito a una oggettiva escalation della tensione tra le parti. Gli USA accusano la Cina di sostenere la Federazione Russa nella sua guerra – e comunque di non fare nulla per portare Putin al tavolo dei negoziati – Pechino dal canto suo attribuisce a Washington l’ingerenza negli affari interni (cinesi) sulla questione di Taiwan; per non parlare delle reciproche accuse di violazione reciproca dei diritti di navigazione nel Mar Cinese Meridionale. La (lunga) riunione virtuale (durata 2 ore e 17 minuti) non ha determinato novità particolari: il colloquio è stato definito franco e approfondito; probabilmente i due leader hanno rispettivamente ribadito le rimostranze portate avanti in questi ultimi mesi.

Vi è tuttavia da rilevare che mai come in questo caso il simbolo è più importante dei contenuti: il lungo confronto (virtuale) di ieri evidenzia quantomeno la consapevolezza di ambo le parti dell’importanza di tenere aperta una finestra di dialogo, una sorta di (nuova) linea rossa che, collegando direttamente Washington a Pechino, potrà giocare in futuro un ruolo chiave per evitare malintesi e/o fratture insanabili.

Il costo di eventuali fraintendimenti/errori di calcolo potrebbe essere infatti elevatissimo, non solo per Cina e Usa; viviamo positivamente dunque questo simbolo e auspichiamo che l’accadimento della call di ieri rappresenti il preludio ad una ripresa di un dialogo strategico tra le due super potenze; ne abbiamo bisogno tutti per evitare che non si avveri il vecchio adagio “non c’è il due (Pandemia e guerra in Ucraina) senza il tre (ovvero il caos a livello globale)”.


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