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Xi Jinping e Joe Biden

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Stati Uniti e Cina su Taiwan proseguiranno nel paradigma dell’ambiguità strategica che garantisce un sostanziale equilibrio di pace

Sui media occidentali si sprecano gli articoli che riportano della possibilità di una invasione imminente di Taiwan da parte della Cina e si ricorre alle recentissime esercitazioni militari (navali e aeree) di Pechino nelle acque territoriali di Taipei per dimostrare questa tesi.

Mi paiono commenti di parte, espressione di una conoscenza solo parziale delle dinamiche in atto nel Far East e sullo scacchiere globale. Cerchiamo di mettere ordine in questa articolata matassa di confronti/scontri tra i vari attori in gioco.

A questo riguardo, occorre in primis osservare che queste ultime esercitazioni militari – intraprese come reazione allo scalo tecnico a Los Angeles della Presidente di Taiwan (Ms Tsai), che ha incontrato lo speaker della Camera USA (Senatore Mc Carty) – avrebbero potuto essere molto più rilevanti. Paragonabili per numerosità, ad esempio, a quelle che si verificarono l’estate scorsa in occasione della visita di Nancy Pelosi a Taipei. Nella realtà sono calibrate per non interrompere gli sforzi diplomatici in corso e tenere la porta aperta al dialogo con Washington. Tanto che Pechino ha anche segnalato la propria disponibilità ad incontrare quanto prima alti diplomatici americani – percependo il bisogno di un ammorbidimento delle posizioni.

LA CINA NON HA CONVENIENZA AD INVADERE TAIWAN E GLI STATI UNITI LO SANNO

Dal punto di vista geopolitico e strategico, Pechino non avrebbe del resto alcuna convenienza ad invadere Taiwan oggi, per molteplici ragioni. L’eventuale (e quasi impossibile) invasione dell’isola produrrebbe infatti un disastro diplomatico ed economico. In particolare, farebbe terra bruciata di tutti i rapporti diplomatici che la Cina sta cercando faticosamente di tessere con i paesi limitrofi – con cui l’interscambio commerciale sta crescendo costantemente -. Sancirebbe, d’altro canto, una definitiva rottura delle relazioni con l’Europa, che rappresenta il motore economico principale – in questo momento non sostituibile – per la leadership del Partito Comunista alle prese con una economia interna sempre più fragile – per via della bolla immobiliare e dell’elevato livello di indebitamento raggiunto dal sistema (oltre il 300% del PIL) -. Per non parlare dell’aurea di colonialismo che verrebbe attribuito a tutte le relazioni in essere tra Cina e Paesi africani, che si troverebbero nella necessità di liberarsi immediatamente dal giogo cinese.

È, in questo quadro, dunque probabile, che Cina e Stati Uniti stiano recitando una parte in commedia (giustificata dalle relative debolezze interne, mascherate da affermazioni forti), essendo consapevoli che l’invasione di Taiwan sarebbe un disastro annunciato per entrambi. Il rischio è però che la gabbia dello spartito, da recitare per sostenere il rispettivo posizionamento, possa diventare talmente vigorosa da trasformarsi in profezia autoavverante.

COSA FARE PER EVITARE DI CADERE IN UNA SITUAZIONE DI NON RITORNO

Cosa fare dunque per evitare di cadere in una situazione tanto deprecabile quanto non voluta da tutti i contendenti? Gli Usa, in quando democrazia libera portatrice di valori positivi, dovrebbero focalizzare i propri sforzi nell’arrestare o almeno rallentare la spirale di azione-reazione che hanno innescato con dichiarazioni sempre più aggressive nei confronti dell’atteggiamento cinese verso l’ex Isola Bella: le loro affermazioni non hanno fatto altro che rendere la crisi più vicina e probabile.

Sia chiaro questo non significa per Washington abbandonare gli sforzi volti a (i) sostenere la capacità di difesa (militare) di Taiwan e/o (ii) diversificare la propria postura difensiva nella regione dell’Indopacifico. Significa invece evitare di ricorrere ad una inutile assertività (circa l’invasione di Formosa da parte di Pechino) e mettere in campo tutte le azioni necessarie per far abbassare la temperatura del confronto tra Cina e Usa.

Per essere ancora più concreti, Washington dovrebbe assicurare a Pechino che non intende promuovere la separazione permanente o l’indipendenza formale di Taiwan dalla Cina, volendo invece proseguire nel paradigma dell’ambiguità strategica che da quarant’anni a questa parte, dando un colpo al cerchio – ovvero sostenere la difesa di Taipei – e un colpo alla botte – attraverso il riconoscimento formale di una sola Cina, quella con capitale Pechino – ha garantito condizioni di pace e ha permesso all’ex Isola Bella di diventare il centro del mondo per la produzione di semiconduttori, che è forse il vero pomo della discordia (a dispetto delle dichiarazioni valoriali dei contendenti).


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