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Sergio Romano

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Giornalista, scrittore, accademico, e ambasciatore in Russia dal 1985 al 1989, Sergio Romano (che ha pubblicato di recente il libro “Il suicido dell’Urss” edito da Sandro Teti con prefazione di Luciano Canfora e introduzione di Ezio Mauro) nell’intervista al Quotidiano del Sud si dice convinto che le sanzioni, per quanto severe e universali possano essere, non potranno avere l’effetto che spera l’Occidente, e cioè indurre Putin a ritirarsi dall’Ucraina, mentre è certo che colpiranno le popolazioni civili, soprattutto i ceti più deboli, impoverendoli ancora di più. Quanto allo sbocco prevedibile del conflitto, Putin, essendo un dittatore, terrà duro perché deve la sua legittimazione non alle urne ma al potere assoluto che controlla in maniera spregiudicata.

Mai erano state adottate sanzioni di tipo commerciale, economico e finanziario così pesanti e su vasta scala. Serviranno?

«Colpiscono tutti, indiscriminatamente, ricchi e poveri. Ma sono soprattutto i ceti più deboli a rimetterci. Le sanzioni di oggi possono essere equiparate agli assedi dei castelli nell’antichità, quando si cercava di fiaccare la resistenza prendendo i popoli che vi erano asserragliati per fame. Ecco, le sanzioni fanno male soprattutto ai popoli, ai ceti più poveri, non certamente ai detentori del potere politico o ai ricchi che hanno mezzi e risorse per resistere bene e a lungo a queste sanzioni».

Potranno le sanzioni riuscire dove ha fallito la diplomazia e indurre Putin a perseguire i suoi obiettivi senza il ricorso indiscriminato alle armi?

«Non credo possa accadere. Non stiamo parlando di un leader democratico: Putin è un dittatore, e resiste nella speranza che altri si oppongano alle sanzioni, perché le sanzioni sono armi a doppio taglio, possono far male anche a coloro che le applicano».

Come finirà questa guerra?

«Finirà. Tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. Ma Putin può resistere più a lungo di un presidente democratico. Tutti questi leader sanno che dovranno prima o dopo rendere conto del loro operato al proprio Paese. Ma Putin è il solo che non ha fretta, perché la sua legittimazione non proviene dalle urne, ma dal potere assoluto che esercita e controlla a piacere suo».

L’Europa è contrapposta alla Russia che in questo momento, a parte la Cina, appare isolata. Sembra di sentire nuovamente spirare i venti gelidi della guerra fredda…

«La Russia è parte dell’Europa e della sua storia, non ho mai avuto dubbi in proposito. Mi sono scontrato con molte persone che non lo credevano, ma ogni volta ho constatato che se non lo credevano avevano una ragione che in fondo era una convenienza a dirlo: perché secondo loro, diplomatici e storici, la Russia rappresenta un ostacolo, una difficoltà che limita il loro Paese. Non ho mai creduto a questo scetticismo verso la Russia. L’Urss non c’è più, basta con la continua ricerca del nemico».

Sarà, ma è la Russia che sta violando la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. È la Russia che minaccia Paesi vicini e vuol tentare di condizionarne le scelte di politica estera: le Repubbliche baltiche, la Finlandia, la Svezia che non fanno parte della Nato, la Moldavia e la Georgia… dove sta ammassando truppe.

«In realtà, eccetto i Paesi della Scandinavia, gran parte di quelli da lei citati erano i satelliti dell’Unione sovietica. Ed erano dei satelliti nell’Europa orientale in cui il rapporto con la Russia è sempre stato un rapporto dialettico. Perché non potevano non riconoscerne l’importanza e al tempo stesso non potevano nemmeno amarla troppo. Questa confusione a un certo punto era presente anche durante la guerra fredda. Erano in quel campo, non potevano certamente prescindere dall’esistenza dell’Urss, cioè di un Paese padrone, in un certo senso. A un certo punto ne sono diventati alleati. Sono Paesi che hanno un patriottismo forte e una sovranità debole. Sembrano due contraddizioni ma non è vero. I polacchi, un po’ meno i cechi, ma certamente gli ungheresi, hanno personaggi molto nazionalisti ma al tempo stesso hanno sempre avuto bisogno di una casa madre in cui trovare una collocazione, la più dignitosa possibile, ma in cui il riconoscimento dell’esistenza della casa madre era inevitabile. Ebbene, questi sono passati dall’Unione sovietica agli Stati Uniti…».

La Russia non accetta che l’Ucraina possa far parte della Nato. La neutralità sembra assumere un forte valore politico.

«Ho cercato di dirlo fin dall’inizio che la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il Paese doveva diventare neutrale. C’erano anche ottime ragioni perché l’Unione europea si esprimesse in questi termini, però devo confessare che non avevo fatto i conti con gli Stati Uniti. Non avevo fatto i conti con il fatto che gli Stati Uniti hanno bisogno di un nemico. Hanno bisogno di un grande nemico perché il nemico giustifica la loro politica, la loro politica delle armi, la loro industria delle armi. Quelle grandi industrie militari della California che cosa farebbero se non ci fosse un nemico?».

Ma gli ucraini hanno paura che il loro Paese possa essere annientato. La Russia vorrebbe imporre una sorta di protettorato su Kiev.

«L’obiettivo di Putin non è conquistare l’Ucraina, perché non sarebbe comprensibile nemmeno nella prospettiva russa. Ho sempre avuto l’impressione che la Russia avrebbe cercato con gradualità di ricostituire quel potere che aveva nel passato. È sempre stata una grande potenza, che avesse quell’ambizione mi sembrava comprensibile e persino inevitabile».

Dietro la Nato c’è la sindrome dell’accerchiamento, oppure l’ambizione di Putin di restituire al proprio Paese la grandeur del passato?

«La Nato è un’organizzazione creata per contrastare la Russia; ma la guerra fredda è finita, o almeno dovrebbe esserlo, e invece si vuole ancora conservare uno strumento di quei tempi: deve essere sciolta o incaricata di obiettivi diversi, utilizzata in altro modo. Putin sa bene che l’Unione Sovietica appartiene al passato».

Secondo alcuni osservatori, l’Unione europea avrebbe fatto troppo poco per favorire i negoziati tra Kiev e Mosca.

«Perché, forse gli Stati Uniti hanno fatto di più? L’Unione europea si è mossa con moderazione e fermezza con la condanna dell’invasione russa, tenendo aperto il canale del dialogo diretto, adottando sanzioni, fornendo aiuti militari a Kiev e dando sostegno umanitario ai profughi. Cos’altro poteva fare? Un coinvolgimento diretto nella guerra non soltanto non è auspicabile, ma peggiorerebbe le cose».


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